domenica 29 settembre 2013

Allora


Guardi oltre


Se di sera


Ho una storia da raccontarti


Antea


A priori


A posteriori


Vestales




venerdì 27 settembre 2013

Inchini


L'ho letto, da qualche parte


Non ricordo dove, l'ho letto, ma saranno una decina di anni che quelle parole mi tornano ogni tanto in mente. Se non ricordo male, doveva essere la traduzione di una delle Upanishad. Diceva - questo lo ricordo bene: l'universo è il sogno di tutti gli esseri viventi che stanno dormendo. Parole che fanno un effetto simile a quelle del racconto famoso del sogno di Zuang-zi, il quale, dopo aver sognato nel sonno di essere una farfalla che volava felice, nella confusione del risveglio si chiede se è Zuang-zi che ha smesso di sognare di essere una farfalla oppure se è una farfalla che ha cominciato a sognare di essere Zuang-zi.

Se la confusione di Zuang-zi non fosse stata transitoria, avrebbe avuto qualche problema. Lo stato di veglia è ben diverso da quello del sonno: la percezione del sogno, vissuta tale e quale nella veglia, ci porterebbe a perdere le coordinate spazio-temporali che ci permettono di conoscere e muoverci in modo adeguato nel mondo, con uno spazio in cui gli oggetti si dispiegano e un tempo in cui si sviluppano gli avvenimenti. Il fatto che nella veglia viviamo momenti particolari in cui si affaccia la modalità percettiva onirica fa pensare che questa modalità non scompaia del tutto nella veglia, così come molti aspetti del sogno derivano dalla vita della veglia. Ma noi viviamo due diverse avventure, quella della veglia e quella del sogno, e se quella del sogno invade quella della veglia cominciamo a dire e fare cose strane, per quelli che sono svegli.

L'universo è la percezione di tutti gli esseri sensibili che lo stanno percependo sia da svegli che, in parte, dormendo. Percezione non solo visiva, intendo. E comprende gli stessi esseri che lo stanno percependo. Anche quelli che dormono hanno una percezione attiva dell'ambiente in cui stanno dormendo del tipo di quella della veglia. E la percezione del sogno sognato? Che dice, dell'universo?

giovedì 26 settembre 2013

Después todo


Inca


Nessuno mi può aiutare, nemmeno tu


"Per il carattere cattivo tutti gli altri sono sempre non-io e, in fondo, soltanto la propria persona è veramente reale, mentre gli altri non sono che fantasmi ai quali riconosce un'esistenza relativa, in quanto possono essere mezzi per i suoi fini od ostacoli a questi fini. Trovandosi nel bisogno non fa affidamento sull'assistenza altrui; se la chiede, lo fa senza fiducia; se la ottiene, la riceve senza vera gratitudine, perché non la può capire altro che come effetto della stoltezza altrui. Egli è incapace di riconoscere il proprio essere in quello altrui persino quando gli si rivela attraverso chiari indizi. Da ciò deriva il carattere rivoltante di ogni ingratitudine. L'isolamento morale, nel quale si trova inevitabilmente, lo porta anche alla disperazione."

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)

mercoledì 25 settembre 2013

To be


Conoscenza, bontà e cattiveria


La bontà e la cattiveria, scrive Schopenhauer, sono strettamente connesse al modo di percepire e conoscere se stessi e il mondo. "Il prevalere dell'uno o dell'altro dei due modi di conoscere si rivela non solo nelle singole azioni ma in tutta la qualità della coscienza, nell'interiore atmosfera che nel carattere buono è così essenzialmente diversa da quella del cattivo. Quest'ultimo sente dappertutto una dura parete divisoria tra sé e tutto ciò che fuori di lui. Per lui il mondo è un non-io assoluto e il suo rapporto col mondo è originariamente ostile, sicché il tono fondamentale dei suoi sentimenti è odio, sospetto, invidia, gioia del danno altrui. Il carattere buono invece vive in un mondo omogeneo alla sua natura: per lui gli altri non sono del tutto un non-io, bensì "io un'altra volta". Perciò il rapporto originario tra lui e gli altri è amichevole: egli si sente intimamente affine a tutti gli esseri, prende parte al loro bene e al loro male e fiduciosamente presuppone in loro la stessa partecipazione. Di qui nasce la pace nel suo intimo e quell'atmosfera sicura, tranquilla, soddisfatta per cui ognuno si sente bene vicino a lui."


Per la psicoanalisi è fondamentale ciò che accade nei primi giorni, mesi e anni di vita. Si è portati a ipotizzare che nei primi giorni e mesi la madre è per il neonato il mondo animato, l'altro essere umano - sia che da subito il neonato distingua sé stesso dall'altro, sia che in quel rapporto privilegiato si formi questa distinzione. Ciò che accade in quel rapporto, e con meno incisività nei rapporti precoci con presenze diverse dalla madre, deciderebbe della qualità percettiva del bambino crescente rispetto all'altro da lui. Se le cose sono andate bene, l'altro fino a prova contraria è amico - se queste prove contrarie avvengono a prima formazione avvenuta, non hanno potere più di tanto. Se le cose sono andate male, l'altro fino a prova contraria è ostile - se queste prove contrarie tardano, avranno poi sempre meno potere sul bambino.

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)


domenica 22 settembre 2013

Red iron


A good life


Come nel sogno


"La commozione e la gioia che proviamo ad ascoltare, più ancora a vedere, più che mai a compiere noi stessi una nobile azione si basano, nel più profondo, sul fatto che ci danno la certezza di trovare, al di là di ogni molteplicità e diversità degli individui, una unità che effettivamente esiste e ci è accessibile. Come nel sogno noi siamo dentro a tutte le persone che ci appaiono, così avviene nella veglia, anche se non lo comprendiamo altrettanto facilmente."

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)
 

sabato 21 settembre 2013

Il furto sistematico


"I preti si sforzano di far passare la miscredenza e l'immoralità come una stessa cosa: da ciò dipende il fatto che il non credente è considerato dal credente identico a chi è moralmente cattivo, come appare già dall'uso di espressioni come senza dio, ateo, pagano, eretico e simili, usate come sinonimi di moralmente cattivo."

La religione, scrive Schopenhauer, pone il suo dogma alla base della morale, togliendo all'esistenza della compassione negli esseri umani la sua naturalità, il suo essere sempre esistita. La misteriosa meraviglia dell'atto compassionevole non ha bisogno di comandamenti: quando un essere umano è portato a non ledere gli altri, e se può ad aiutarli, lo fa per una spinta interna insopprimibile, ed è proprio questa il fondamento della vera moralità. Pensare e predicare che lo faccia per un dogma, per una dottrina, anzi che lo possa fare solo per un dogma e una dottrina poiché se non è credente è con ciò stesso moralmente cattivo, è stravolgere la realtà umana. Ogni religione si impone nel mondo proprio usando "l'appiglio" della compassione, sentita dagli esseri umani anche se non riescono a capirla in quanto fenomeno originario, quindi senza spiegazione.

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)

Up


venerdì 20 settembre 2013

Autostima


Non tutte le cose che vogliamo è possibile averle o farle, o che avvengano per una combinazione fortunata di eventi. Ma tra quelle che possiamo avere o fare, cioè tra quelle che è in nostro potere avere o fare indipendentemente dalla fortuna, se passa il tempo e non ce le procuriamo o non le facciamo significa che non le vogliamo. O comunque che c'è un volere più forte del volere che pensiamo e diciamo - quello che preferiamo pensare e dire, con una ripetizione quasi meccanica che ci dovrebbe far capire che c'è qualcosa che non va, quasi sempre ci fa più comodo, lede meno la nostra immagine ideale.
"Io voglio questa cosa" penso e dico, ma poi, gira e rigira, finisce sempre che non ce l'ho, o non la faccio. A un certo punto sarebbe il caso che capissi che quella cosa non la voglio come penso e dico, o soprattutto dico.
Per le cose che erano possibili o sono possibili sarebbe il caso di lasciar parlare la realtà della nostra vita attuale e della nostra storia. Ho voluto ciò che ho avuto e fatto; voglio ciò che ho e faccio.
Questa sì che è buona autostima, anche ci costasse un po' di dolore: l'autostima è buona se corrisponde alla nostra realtà attuale e alla nostra storia; non è una buona autostima se ci fa più forti e belli di quelli che siamo stati e siamo. E' buona autostima pensare e dirsi: sono stato uno stupido, sono uno stupido, se questa è stata o è la realtà. Ombre e luci si congiungono alla nostra reale esistenza, ne sono parte, invece di essere allontanate da noi, sotterrate e scomparse le ombre e lanciate in cielo come fuochi d'artificio le luci.
Per le cose che sono possibili, è la realtà della nostra vita, la nostra storia, che ci dice quale è stata e quale è la nostra volontà - possiamo precisare: la nostra volontà predominante, ma forse è meglio dirsi: la nostra volontà.

giovedì 19 settembre 2013

Topo Grigio



"Un carattere egoista sarà dominato soltanto da motivi egoistici e i motivi che parlano alla compassione o alla cattiveria non la spunteranno contro di essi: questo carattere non sacrificherà il proprio interesse per vendicarsi del suo nemico, ma neanche per aiutare il suo amico."

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)

martedì 17 settembre 2013

Qualora


"La metà più vecchia degli uomini dovrebbe essere migliore della metà più giovane, qualora tutti i numerosi istituti religiosi e gli sforzi moraleggianti non siano falliti al loro scopo."

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)

lunedì 16 settembre 2013

Non di morte naturale.


Nel 1964 mi iscrissi alla facoltà di Scienze Biologiche dell'Università di Roma. C'era un'auletta in cui amavo andare a studiare, quella dell'Istituto di Genetica. Nell'aula grande frequentavo le lezioni di genetica tenute da Giuseppe Montalenti, e mi ero iscritto, per simpatia verso quell'uomo, ad un altro suo corso complementare, facoltativo, che Montalenti teneva in un'auletta del piano superiore. Eravamo ben pochi, forse al massimo una ventina, a frequentare quel corso secondario dal nome strano che nessuno conosceva, e quando ci eravamo iscritti non sapevamo che cosa avremmo studiato. Si chiamava Ecologia.
Fu in quell'auletta, da quell'uomo, che sentii dire una cosa che lasciò interdetto non solo me.
Ci guardammo, noi studenti, mentre lui era rivolto altrove. Ci chiedevamo silenziosamente se avevamo capito bene quello che Montalenti aveva detto: eravamo sorpresi, increduli, impauriti forse - da un improvviso manifestarsi di un'alito di follia di quell'uomo così calmo e sapiente? Cosa aveva detto? Avevamo capito bene le sue parole?
Aveva detto: "Il Mar Mediterraneo sta muorendo."


Oggi, mentre una conclusione si va formando in me sulla mia condizione di uomo su questa terra - questo comunque meraviglioso andare - me infinitesima parte dell'andare di una specie - mentre una conclusione difficile si apre strada mentale di consapevolezza sulla qualità di questo andar di specie di cui sono infinitesima parte, mi tornano in mente, come spesso è accaduto, quelle parole, quello stupore incredulo di noi che le sentivamo.
Muorendo, un mare!


Non di morte naturale.
Ucciso.

domenica 15 settembre 2013

Il silenzio dell'analista


Impunità di specie


"Lo stesso capitò a William Harris, che soltanto per godere del piacere di cacciare viaggiò all'interno dell'Africa negli anni 1836 e '37. Nella descrizione di quel viaggio racconta che, dopo aver abbattuto il primo elefante, una femmina, andò la mattina seguente a cercare l'animale caduto: mentre tutti gli altri elefanti erano fuggiti da lì, il piccolo dell'elefantessa aveva passato tutta la notte accanto alla madre e ora, senza alcun timore, venne incontro ai cacciatori con le più vive ed eloquenti manifestazioni della sua disperazione e li cingeva con la sua piccola proboscide chiedendo il loro aiuto. A quel punto Harris fu preso da un sincero pentimento del suo gesto ed ebbe l'impressione di aver commesso un assassinio."

(A. Scopenhauer, Il fondamento della morale)

sabato 14 settembre 2013

The Thimble Theatre


It


La grande via


Eppur mi muovo


La piccola via

Lo sguardo della scimmia

 
"Giovanni il Battista si presenta esattamente come un santo indiano, ma... vestito di pelli di animale! - che sarebbe un orrore per ogni indù, tanto è vero che persino la Regia Società di Calcutta ottenne la sua copia dei Veda soltanto contro la promessa che non la si sarebbe rilegata in pelle alla maniera europea... La pietà verso gli animali è talmente legata alla bontà del carattere che si può affermare che l'uomo crudele con gli animali non può essere buono. Ricordo quell'inglese il quale in una battuta di caccia in India aveva sparato ad una scimmia e non aveva più potuto dimenticare lo sguardo che gli aveva rivolto l'animale morente."

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)

Un architetto tra i fichi d'India


venerdì 13 settembre 2013

Origini


"Che la morale del cristianesimo non tenga conto degli animali è un suo difetto che farebbe meglio a confessare invece di continuare a perpetuare, e di esso dobbiamo stupirci tanto più in quanto questa morale segna per il resto la massima concordanza con il brahmanesimo e il buddhismo ed è soltanto espressa con minor vigore e non portata alle estreme conseguenze. Perciò quasi non si può dubitare che, come anche l'idea di un dio diventato uomo (Avatar), venga dall'India, e attraverso l'Egitto sia arrivata in Grecia, di modo che il cristianesimo sarebbe un riverbero della luce originaria indiana."

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)

I' vorrei


"In Europa è un orrore e un delitto seppellire il cane fedele accanto al sepolcro del padrone, dove, per fedeltà e attaccamento, come non se ne trovano nella specie umana, ha talvolta atteso la propria morte."

Non è vero, che non si trovano fedeltà e attaccamento tra gli esseri umani. Comunque, si capisce cosa vuole dire.

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)


L'indifferenza verso gli animali


"La presunta mancanza di diritti da parte degli animali, l'illusione che le nostre azioni verso di loro siano senza importanza morale o che non esistano doveri verso gli animali, è una rivoltante grossolanità e barbarie, la cui fonte in Occidente sta nel giudaismo."

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)

Ciò che per il fuoco è la pioggia


"Ciò che per il fuoco è la pioggia, è per l'ira la pietà. Quando uno, preso dalla collera contro un altro, medita di infliggergli un grande dolore, gli consiglio di immaginare vivamente di avergli già fatto il male, vederlo ora soffrire fisicamente o mentalmente o per la sua miseria, e dire: questa è opera mia."

Qui Schopenhauer, secondo la sua visione della vera compassione, che è partecipazione immediata alle sofferenze dell'altro e azione in suo favore senza nessun intervento di altro che sia diverso da questa istintiva reazione emotiva, avrebbe dovuto fermarsi al "vederlo ora soffrire fisicamente o mentalmente o per la sua miseria". 
L'aggiunta del pensiero: "questa è opera mia" implica l'intervento di altro rispetto alla vera compassione.

Schopenhauer pensa che dalla compassione, forza naturale della psiche umana, nascano la giustizia e l'amore. Forse, almeno in parte, quel pensare "questa è opera mia" apre verso il senso di giustizia, ma resta il fatto che implica comunque una responsabilità soggettiva, cioè in questo caso una colpa. E il senso di colpa non è radice di amore.

Ci sono persone incapaci di provare partecipazione immediata, istintiva, alle sorti di un altro essere umano - si può dire: incapaci di amare, anche se poi, per altre vie, se la cavano bene a livello di manifestazioni di amore. Altre vie come, appunto, un senso di giustizia, o un senso di colpa: l'altro deve essere amato, è giusto così, e poi, se non lo faccio, non posso riparare la mia colpa di non sentire gran che nei suoi confronti - come anche nei confronti di chiunque che non sia me stesso - anzi, ho pensato di fargli del male, gli ho fatto del male, anche se non se ne è accorto nessuno, e ora devo riparare o sono guai per me.
L'amore come riparazione all'aggressività: c'è chi pensa che questa sia l'unica fonte dell'amore.
Schopenhauer non è tra questi: quell'aggiunta avrebbe dovuto usarla con l'attenzione analitica di cui si mostra complessivamente capace, o non usarla affatto.

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)



giovedì 12 settembre 2013

Chi guarda?


Sembra che la gatta guardi chi guarda la foto.  E' difficile contrastare questa percezione, di sguardo della gatta che avviene nel momento in cui è il nostro sguardo che sta avvenendo, solo il nostro sguardo, e sta mettendo a fuoco una foto, non una gatta che guarda.
Lo sguardo della gatta è avvenuto nel momento in cui ho scattato la foto. Non ci stavamo guardando: lei guardava verso di me, verso il mio viso, ma il fuoco del suo sguardo era l'obiettivo della fotocamera appoggiata al mio viso, mentre io la vedevo attraverso i riflessi degli specchi della reflex.
Questo accade in molte foto-ritratto con sguardo diretto: sembra che la persona ci stia guardando, invece stava guardando verso la fotocamera, e molto spesso non vedeva gli occhi del fotografo. In quasi tutte le foto-ritratto, cioè, lo sguardo non è esattamente quello che quella persona, o quell'animale, riserva al fotografo quando non c'è di mezzo la fotocamera. E' una banalità, questa che ho pensato e scritto: lo sanno tutti che fare un ritratto spontaneo, naturale, di una persona che ti sta guardando è difficile, poiché il fatto stesso di posare per una foto rischia di togliere qualcosa alla vivezza dello sguardo e dell'espressione generale della persona fotografata.
Comunque, insisto: la gatta non sta guardando te che guardi la foto, anche se ti sembra così. E non stava guardando nemmeno me che le scattavo la foto - non lo sguardo che può avere quando semplicemente ci guardiamo negli occhi. E questo vale per la maggior parte dei ritratti.
L'umano, a differenza del gatto, sa cosa sta avvenendo quando posa per un ritratto con sguardo diretto. Per cui, forse, guarda chi poi guarderà la foto. Siamo complessi, siamo capaci di cose così. Ma sta guardando uno strumento, le lenti di un obiettivo.

Uva orfana

Uva libera



Per te


mercoledì 11 settembre 2013

Ogni giorno, ogni ora


"Chi oserebbe negare anche un solo istante che in tutti i tempi, presso tutti i popoli, in tutte le condizioni della vita, anche dove non vi sono leggi, anche in mezzo agli orrori delle rivoluzioni e delle guerre, tanto in grande quanto in piccolo, ogni giorno e ogni ora, l'impulso della compassione eserciti un'attività risoluta e veramente meravigliosa, impedisca ogni giorno numerosi torti, produca buone azioni senza attesa di ricompensa e spesso senza che uno se l'aspetti, e, dove questo impulso, ed esso soltanto, ha esercitato il suo influsso, riconosciamo decisamente, con stima e commozione, il vero valore morale di queste azioni?"

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)

In attesa della luna