venerdì 30 gennaio 2015

Sost


Il fiore peloso


L'ignoranza del lupo

"Possiamo comprendere quale significato intendesse l'eccelso Malebranche con le parole: La liberté est un mystère. Aveva ragione. L'unica diretta manifestazione della libertà del volere si ha quando la volontà, pervenuta alla cognizione della propria essenza, riceve da questa un quietivo e appunto perciò è sottratta all'impero dei motivi, il quale sta nel dominio d'un altro modo di conoscenza, i cui oggetti sono esclusivamente fenomeni.
L'esser possibile la libertà è il più alto privilegio dell'uomo, privilegio che all'animale non sarà mai concesso, avendo per condizione la capacità riflessiva della ragione, la quale fa vedere il complesso della vita indipendentemente dall'impressione dell'attimo. L'animale non ha libertà possibile, com'è del resto addirittura privo della possibilità d'una scelta vera e propria, ossia riflessa, che ponga termine a un precedente conflitto di motivi: perché a ciò occorrerebbe che i motivi fossero rappresentazioni astratte.
Quindi con la stessa necessità con cui la pietra cade a terra, pianta il famelico lupo i denti nella carne della selvatica preda, senza possibilità di conoscere ch'egli è tanto il divorato quanto il divoratore."


(Schopenhauer, Il mondo)

mercoledì 28 gennaio 2015

Forse

"Dalla contrapposizione alla volontà di vivere, che è l'unico atto di libertà possibile al fenomeno, nulla si discosta tanto come l'effettiva soppressione del proprio singolo fenomeno: il suicidio. 
Lungi dall'esser negazione della volontà, esso è invece un atto di forte affermazione della volontà stessa. Infatti la negazione ha la sua essenza nel temere non già i mali, bensì i beni della vita. 
Il suicida vuole la vita, ed è solo malcontento delle condizioni che gli sono toccate. Egli non rigetta perciò in nulla la volontà di vivere, ma soltanto la vita, distruggendone il singolo fenomeno. 
Vuole la vita, vuole la libera esistenza ed affermazione del corpo; ma ciò non gli è consentito dall'intreccio delle circostanze, e gliene viene un grande dolore. 
La volontà di vivere viene a trovarsi in questo singolo fenomeno tanto compromessa, da non poter più svolgere la propria tendenza. Allora essa prende una risoluzione conforme alla propria essenza in sé; la quale sta fuori delle forme del principio di ragione, e tiene quindi per indifferente ogni isolato fenomeno, essendo ella medesima intangibile da nascita e da morte, e costituendo l'intimo della vita di tutte le cose. Quella medesima salda, profonda certezza, la quale fa sì che noi tutti viviamo senza il continuo terrore della morte, ossia la certezza che alla Volontà non verrà mai meno il suo fenomeno, sorregge anche il gesto del suicida."

(Schopenhauer, Il mondo)

martedì 27 gennaio 2015

Forse


Sapere aude

"Vedemmo il malvagio, 
per vivacità del suo volere, 
soffrire perenne, 
divorante intimo affanno, 
e da ultimo, 
quando tutti gli oggetti del volere 
sono esauriti, 
placar la rabbiosa sete dell'egoismo 
con la vista della pena altrui; 

quegli viceversa, in cui s'è affermata 
la negazione della volontà di vivere, 
per quanto povero, scevro di gioia, 
di privazioni pieno 
sia il suo stato visto dal di fuori, 
è pieno d'intima gioia e di vera calma profonda. 

Non sono più l'irrequieto impulso vitale, 
l'esuberante gioia, 
che ha per condizione precedente o successiva 
un vivo dolore, 
quali costituiscono la vita 
di un uomo amante dell'esistenza; 

ma è invece un'incrollabile pace, 
una profonda quiete ed intima letizia, 
uno stato che noi, 
se ci vien posto davanti agli occhi o alla fantasia, 
non possiamo guardare senza altissimo desiderio, 
perché tosto lo riconosciamo 
come l'unico a noi conveniente, 
di gran lunga superiore a ogni altra cosa, 
e verso di esso il nostro spirito migliore 
ci spinge col grande sapere aude

Sentiamo allora 
come ogni appagamento dei nostri desideri 
strappato al mondo 
è appena simile all'elemosina, 
che oggi tiene in vita il mendico 
perché domani ancor soffra la fame."

(Schopenhauer, Il mondo)

lunedì 26 gennaio 2015

Atene alzerà la testa?

Forse


La signorina Klettenberg

"Anche il gran Goethe, per quanto greco egli sia, non ha stimato indegno di sé mostrare questo bellissimo aspetto dell'umanità nel chiarificante specchio della poesia, col rappresentarci idealizzata nelle Confessioni di una bell'anima la vita della signorina Klettenberg; e più tardi, nella propria autobiografia, diede anche notizia storica di lei; come pure ci ha raccontato ben due volte la vita di san Filippo Neri.

La storia del mondo tacerà sempre, e deve tacere, degli uomini la cui condotta è la migliore, perché la materia della storia del mondo è tutt'altra, anzi è l'opposto: non è il rinunciare della volontà di vivere, ma è per l'appunto l'affermarla, il rilevarsi di lei in individui innumerabili. E qui, in questo affermarsi, appare con tutta chiarezza il suo intinseco conflitto, ponendoci davanti agli occhi ora la prevalenza del singolo mediante l'intelligenza, ora la violenza della folla mediante la massa, ora il potere del caso personificato nel destino - ma sempre la caducità e nullità di tutti i desideri."

(Schopenhauer, Il mondo)

domenica 25 gennaio 2015

Sy


Forse


Σήμερα


Gravità e levitazione

"Ci sono alcuni filosofi i quali credono che noi siamo in ogni istante intimamente coscienti di ciò che chiamiamo il nostro io, che noi sentiamo la sua esistenza e la continuità della sua esistenza, e che siamo certi, con un'evidenza che supera ogni dimostrazione, della sua perfetta identità e semplicità"

(David Hume, Trattato)
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Ci sono alcuni i quali credono che noi siamo in ogni istante intimamente coscienti di ciò che chiamiamo il nostro io, che noi sentiamo la sua esistenza e la continuità della sua esistenza, e che siamo certi, con un'evidenza che supera ogni dimostrazione, della sua perfetta identità e semplicità.

Quasi tutti credono che noi siamo in ogni istante intimamente coscienti di ciò che chiamiamo il nostro io, che noi sentiamo la sua esistenza e la continuità della sua esistenza, e che siamo certi, con un'evidenza che supera ogni dimostrazione, della sua perfetta identità e semplicità.

- Quasi tutti lo fanno ma non lo sanno. Come la mela.
- La mela?
- Sì, quella di Newton: lei la gravitazione la fa anche se non la sa.
- E quella di Eva?

Zwei


sabato 24 gennaio 2015

La doppia esistenza



«Quando la mente spinge lo sguardo oltre a quello che si presenta immediatamente, le sue conclusioni non si possono mai mettere sul conto dei sensi: e certamente essa va più in là quando da un’unica percezione inferisce un’esistenza doppia, e suppone, fra queste due, relazioni di somiglianza e di causalità»

(David Hume, Trattato)
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Quando le cose funzionano scorrevolmente, non c'è bisogno di accorgersi che le cose sono la nostra percezione di esse, per cui possono non essere realmente così come le percepiamo. Questo accorgersi che tra le cose del mondo e noi c'è un atto della nostra sensibilità percettiva sensoriale, cioè questo accorgersi che le cose sono la nostra percezione di esse, può diventare utile o necessario a livello di percezione fisica, ma tanto più può diventarlo a livello sociale, quando ai possibili errori o travisamenti percettivi sensoriali si innestano altre possibilità di errore e di travisamento cognitivo dovute all'impegno sociale affettivo, volitivo, ideologico.
Che le cose siano le nostre percezioni ci porta a pensare alla doppia esistenza delle cose: come cose in sé a prescindere dalla nostra percezione, e come percezioni. Siamo inoltre portati a pensare che tra le nostre percezioni e le cose ci sia un rapporto di somiglianza - almeno di somiglianza ci si può augurare - o di causalità, cioè le nostre percezioni sarebbero l'effetto delle cose.

venerdì 23 gennaio 2015

Fanno la loro apparizione, passano e ripassano, scivolano e si mescolano

"Noi non siamo altro che fasci o collezioni di differenti percezioni che si susseguono con una inconcepibile rapidità, in un perpetuo flusso e movimento. I nostri occhi non possono girare nelle loro orbite senza variare le nostre percezioni. Il nostro pensiero è ancora più variabile della nostra vista, e tutti gli altri sensi e facoltà contribuiscono a questo cambiamento; né esiste forse un solo potere dell'anima che resti identico, senza alterazione, un solo momento. 

La mente è una specie di teatro, dove le diverse percezioni fanno la loro apparizione, passano e ripassano, scivolano e si mescolano con un'infinita varietà di atteggiamenti e di situazioni. 
Né propriamente c'è in essa nessuna semplicità in un dato tempo, né identità in tempi differenti, qualunque sia l'inclinazione naturale che abbiamo ad immaginare quella semplicità e identità. 
E non si fraintenda il paragone del teatro: a costituire la mente non c'è altro che le percezioni successive: noi non abbiamo la più lontana nozione del posto dove queste scene vengono rappresentate, o del materiale di cui è composta."

(David Hume, Trattato sulla natura umana)

Come la nostra idea di un corpo

“Cartesio sosteneva che l'essenza della mente è il pensiero, non questo o quel pensiero, ma il pensiero in generale. Ma ciò pare del tutto inintelligibile, poiché ogni cosa che esiste è particolare, e perciò devono essere le nostre distinte percezioni particolari che compongono la mente. Dico, compongono la mente, non appartengono ad essa. La mente non è una sostanza, alla quale le percezioni ineriscano. Questa nozione è altrettanto inintelligibile di quella cartesiana secondo la quale il pensiero o la percezione in generale è l'essenza della mente. Noi non abbiamo alcuna idea di una sostanza di qualsiasi genere, perché non abbiamo alcuna idea che non sia derivata da qualche impressione e non abbiamo impressione alcuna di una qualsiasi sostanza, materiale o spirituale che sia. 

Noi conosciamo soltanto qualità e percezioni particolari. Come la nostra idea di un corpo, per esempio di una pesca, non è che l'idea di un particolare sapore, colore, figura, grandezza, solidità ecc., così la nostra idea di una mente non è che quella di particolari percezioni, senza la nozione di tutto quello che chiamiamo sostanza, semplice o composta che sia.

Il solo mezzo per cui possiamo sperare di ottenere un successo nelle nostre ricerche filosofiche è quello di abbandonare il tedioso ed estenuante metodo seguito fino ad oggi; invece d'impadronirci, di tanto in tanto, d'un castello o d'un villaggio alla frontiera, marciamo direttamente sulla capitale, ossia al centro di queste scienze, alla natura umana: padroni di esso, potremo sperare di ottenere ovunque una facile vittoria. Movendo di qui, potremo estendere la nostra conquista a tutte le scienze piú intimamente legate con la vita umana e procedere poi con agio a quelle che sono oggetto di pura curiosità. Non c'è questione di qualche importanza, la cui soluzione non sia compresa nella scienza dell'uomo, e non c'è nessuna che possa venire risolta con certezza se prima non la padroneggiamo. Accingendoci quindi a spiegare i princípi della natura umana, noi miriamo in realtà a un sistema completo delle scienze costruito su di un fondamento quasi del tutto nuovo e tale che solo su esso possano poggiare con sicurezza.”


(David Hume, Trattato sulla natura umana)

Un centimetro dopo


Grande affetto, per l'effetto




"Conosciamo l'effetto che gli oggetti hanno su di noi, abbiamo una esperienza diretta e certa degli effetti visivi, uditivi, tattili e di altro genere che essi ci provocano - ma qualunque sia la cosa su cui essi esercitano questi effetti, ossia qualunque sia la natura indipendente del soggetto percipiente, essa non potrà mai essere rappresentata nell'esperienza."

(Bryan Magee, L'arte di stupirsi)


Margin


giovedì 22 gennaio 2015

Le sinistre coazioni a ripetere


Locke e la mela

"Se tutto ciò che io esperisco e tutto ciò che posso esperire sono stati mentali, che garanzia ho che esista qualcosa di diverso dagli stati mentali? E inoltre, che garanzia ho che esistano altri stati mentali oltre al mio? E poiché non posso avere accesso diretto agli stati mentali altrui, come faccio a sapere che esistono altre menti oltre alla mia? 
Sono tutte domande su cui ci si interroga, si indaga da centinaia di anni. 

Locke, nel suo
Saggio sull'intelletto umano tende a privilegiare il senso comune rispetto alla logica deduttiva, e le conclusioni ultime cui approda gli appaiono decisamente più provvisorie, fallibili e meno autoevidenti di quelle di Cartesio.
Locke concordava con Cartesio che l'uomo non può dubitare della realtà dei suoi dati di coscienza, qualunque cosa essi siano, e che perciò almeno di questo egli abbia una conoscenza diretta e indubitabile, e concordava con Cartesio che i dati della nostra coscienza sono tali da indurci a considerarci soggetti in un mondo di oggetti che esistono al di fuori di noi nelle dimensioni dello spazio e del tempo. Ma Locke riteneva che si potesse dimostrare non solo, come aveva fatto Cartesio, che i sensi a volte ci ingannano sulla vera natura fisica degli oggetti, ma che per taluni aspetti di estrema importanza essi ci ingannano sistematicamente, cosa che Cartesio aveva ritenuto incompatibile con la benevolenza di un Dio onnipotente.


Locke sosteneva, per esempio, che gli oggetti non possono possedere caratteristiche quali il colore, il suono, il gusto e l'odorato indipendentemente dalla percezione del soggetto. 

Di queste qualità, che a noi sembrano intrinseche agli oggetti stessi, ma che in realtà si manifestano soltanto nell'interazione fra un oggetto percepito e un soggetto percipiente, esiste un'ampia gamma.  Locke le chiama «qualità secondarie», perché non possono caratterizzare l'oggetto in sé, indipendentemente dall' esperienza che ne abbiamo.  Definì invece «primarie» le qualità che a suo dire un oggetto possiede in sé, indipendentemente dall'essere percepito da un soggetto. Le scienze fisiche si occupano delle qualità primarie degli oggetti, tutte misurabili o classificabili oggettivamente - la loro collocazione e i loro movimenti nello spazio e nel tempo, le dimensioni, il peso, la massa, la costituzione materiale e così via. 

Uno scettico potrebbe obiettare:
«Lei, Locke, afferma che gli oggetti sono dotati di tutte queste qualità, primarie e secondarie, ma afferma anche che noi possiamo percepire soltanto le qualità dell'oggetto.  All'oggetto caratterizzato da queste qualità, alla sostanza cui esse ineriscono, alla cosa sottostante insomma, noi non possiamo accedere. È, come dice lei, «un qualcosa che non so che cosa sia». Ma se si ammette che l'oggetto non può mai essere percepito, come facciamo a sapere che esiste? Non si contravviene al principio fondamentale dell'empirismo affermandone l'esistenza?».

A questa obiezione credo che Locke avrebbe risposto più o meno così:
«Dell'esistenza delle qualità noi abbiamo un'esperienza diretta e indubitabile. Non è credibile che esse siano soltanto astrazioni esistenti  autonomamente, sospese a mezz' aria, per così dire. Ancora meno credibile appare che esse fluttuino liberamente nelle combinazioni costanti che percepiamo. Per esempio ogni volta che compio l'azione che chiamo "mangiare una mela", ho sempre un insieme compatto di esperienze multiple e simultanee, appartenenti alla stessa ristretta gamma per dimensione, forma, colore, consistenza, gusto, odore, umidità, sensazioni tattili e così via. Non vorrà sostenere, spero, che intorno a noi galleggino milioni di questi grappoli di sensazioni in combinazioni fra loro accidentali eppure permanenti, alle quali noi diamo il nome illusorio di "mela"? Né vorrà sostenere che questo valga per tutte le innumerevoli altre cose del mondo che noi consideriamo oggetti fisici? Nessuno può credere una cosa simile. Deve per forza esserci un elemento aggregante, cui ineriscono le qualità che noi percepiamo, una sostanza che costituisce il sostrato di ciascun oggetto fisico»."

(Bryan Magee, L'arte di stupirsi)

mercoledì 21 gennaio 2015

Attento alla testa. Solo fuori è dura.


Se sono qui, posso amare lì


Cartesio


" ... le sole cose di cui siamo assolutamente sicuri sono i dati immediati della nostra coscienza.

Cartesio arriva a questa conclusione applicando il metodo conosciuto come metodo del «dubbio cartesiano». Esso consiste nel sospendere a scopo di ricerca la credenza in qualsiasi proposizione di cui si possa concepire l'erroneità. Su questo punto sono nati infiniti equivoci. Anche pensatori per altri versi grandi l'hanno interpretato come se Cartesio avesse davvero dubitato delle sue credenze fondamentali, oppure avesse cercato di convincere se stesso o gli altri a pensare che ne dubitava, e hanno protestato, sostenendo che era un'assurdità. Ma non è questo ciò che ha fatto Cartesio. Le sue intenzioni erano ben altre, come ora cercherò di spiegare con le mie parole.

La matematica ci offre un modello di conoscenza indubitabile e utile. È un edificio straordinario a tutti i livelli, dalle vette della pura astrazione fino agli aspetti pratici più comuni. 
Se noi riuscissimo a dare al resto della nostra conoscenza fondamenti altrettanto solidi, potremmo raggiungere il più alto controllo della realtà, sia pratico sia intellettuale, di cui gli esseri umani siano capaci. Analizziamo dunque la matematica per capire che cosa le conferisca tanta certezza e se non contenga qualcosa che possa essere applicato alla conoscenza non matematica. 
L'analisi rivela che tutta la matematica discende, secondo l'inevitabile necessità della logica deduttiva, da un numero molto ristretto di premesse, così brevi, semplici, elementari ed evidenti da risultare indubitabili. Se si riuscissero a trovare premesse altrettanto indubitabili per la nostra conoscenza empirica, esse potrebbero costituire i fondamenti sui quali erigere, per così dire, il mondo intero. 

Esaminiamo dunque le nostre credenze empiriche per vedere se ce ne siano alcune di cui non sia assolutamente possibile dubitare.

Sappiamo, purtroppo, che l'evidenza diretta dei nostri sensi può essere messa in dubbio, perché talora essi ci ingannano: il campanile della chiesa pare dorato al tramonto, mentre in realtà è grigio, un bastone diritto sembra ricurvo nell'acqua e così via. A volte abbiamo l'impressione di percepire qualcosa, mentre in realtà non percepiamo assolutamente niente. È quello che accade quando si sogna: si è convinti di essere in un certo posto, occupati a fare questo o quello, e poi ci si sveglia nel proprio letto e si scopre che era tutta un'illusione. 


La cosa è sconcertante: significa infatti che non posso essere assolutamente certo neppure che in questo preciso istante io sia seduto alla scrivania a scrivere queste parole, perché potrei svegliarmi e scoprire che non è vero. A pensarci bene, qualsiasi esperienza può rivelarsi ingannevole. 
C'è però qualcosa di cui non posso dubitare: è la coscienza dell'esperienza che ho in questo momento, anche se posso sbagliarmi completamente sulla sua provenienza. Ecco quale era il significato dell'affermazione secondo cui il soggettivo è indubitabile come non può mai esserlo l'oggettivo. Se dunque traggo conclusioni, deducendole non dalla presunta provenienza dei dati della mia coscienza, ma soltanto dal fatto puro e semplice di averli, quelle conclusioni non possono essere sbagliate. Esiste la possibilità di effettuare inferenze di questo tipo? 

La risposta è sì. Dal fatto di avere l'esperienza dell'autocoscienza consegue che devo esistere, e quel che più conta, esistere per lo meno come creatura che ha questo genere di esperienza: se non altro sono per forza un essere pensante. Posso perciò affermare con certezza: «Penso, dunque sono» o, a voler essere pignoli: «Dall'esperienza diretta dell'autocoscienza discende senza ombra di dubbio che sono un essere (non necessariamente quello che penso di essere) che esperisce l'autocoscienza (la quale potrebbe anche non avere il significato che le attribuisco)». "

(Bryan Magee, L'arte di stupirsi)

Ombre rosse


martedì 20 gennaio 2015

Qui si mostra

"... qui si mostra il grande divario tra la conoscenza intuitiva e l'astratta: tra le due conoscenze è un ampio abisso, attraverso il quale, riguardo alla cognizione dell'essenza del mondo, la sola filosofia può condurre. Intuitivamente invero, ossia in concreto, ogni uomo è consapevole di tutte le verità filosofiche: ma portarle nel suo sapere astratto, nella riflessione, è affare del filosofo: il quale, oltre a questo, nulla deve, nulla può."

(Schopenhauer, Il mondo)

Pare vero, che sei solo



mercoledì 14 gennaio 2015

Sapividens

- Hai visto, quello che ci fanno vedere?
- Lo possono fare.
- E hai visto quello che non ci fanno vedere?

domenica 11 gennaio 2015

Possapiens


- Possono farlo.
- Li portano in quella condizione mentale.
- Gli danno gli strumenti per farlo.
- I sassi non potrebbero farlo.
- Se è per questo nemmeno i vermi.
- O i leopardi.
- Loro invece possono farlo.
- Loro siamo noi.
- Non siamo tutti uguali.