martedì 22 ottobre 2013

Un uomo che abbia bisogno di un falcone



Il giovane Federigo degli Alberighi, di nobilissima famiglia fiorentina,
bravo nelle armi e ammirato da tutti per la sua cortesia, si era
invaghito di una gentile dama ritenuta una delle più belle e leggiadre
della città. Per farsi apprezzare da lei, partecipava a tornei e ad
altri esercizi cavallereschi, organizzava feste e si vestiva riccamente,
spendendo senza ritegno. La signora, di nome Giovanna, onesta
quanto era bella, pareva non accorgersi di quel che faceva il giovane
per mettersi in vista e acquistar merito ai suoi occhi. 
Federigo, non avendo altra maniera per trovar rimedio alla sua passione,
finì col dilapidare il suo patrimonio, pur senza trovarsi ad aver
fatto alcun progresso nella considerazione della dama.
Non gli era rimasto, nella rovina in cui era caduto, che un suo poderetto
del quale si ridusse a vivere poveramente, portandosi dietro
soltanto un falcone, che aveva carissimo e che tutti gl’invidiavano,
perché era il migliore del mondo.
In quel luogo solitario, passava tristemente le sue giornate, avendo
per unico svago e anche per unica risorsa il bel falcone col quale passava
le giornate cacciando. 
Ora avvenne che mentre Federigo campava così stantemente la sua
vita, il marito della signora si ammalò e in breve morì. Rimasta vedova,
la donna si dedicò interamente al suo unico figliolo, che era
già grandicello, ma assai gracile e di cattiva salute. Venuta l’estate,
per rimetterlo in forze, lo portò in campagna, all’aria buona, in un
podere di sua proprietà che era vicino a quello di Federigo.
Il giovanetto, girando per i dintorni, conobbe Federigo e, incuriosito
dalla caccia, cominciò ad andargli appresso e a frequentare la sua
casa, fin che gli divenne amico. Più d’ogni altra cosa, lo attraeva la
caccia col falcone, che seguiva spasimando per il bel rapace, quando,
scattato dal pugno di Federigo, ghermiva le prede a volo e le riportava,
deponendole ai piedi del padrone.
Avrebbe voluto che quel magnifico falcone divenisse suo, ma non
osava domandarlo a Federigo, perché sapeva quanto costui lo avesse
caro. Invece di aver giovamento della vita all’aria aperta, il ragazzo ne
ebbe danno, perché quel poco di strapazzo della caccia lo indebolì e
lo fece ricadere ammalato. Sua madre, la quale non aveva altro bene
che lui, gli stava intorno tutto il giorno a curarlo e continuamente gli
domandava se c’era qualcosa che potesse fargli piacere.
Il ragazzo un giorno disse: «Madre mia, se mi faceste avere il falcone
di Federigo, sento che guarirei». 
La donna rimase perplessa. Sapeva quanto Federigo l’avesse amata
senza ottenere da lei un solo sguardo, e si diceva: “Come posso domandargli
quel falcone, che a quanto si dice è il migliore che mai volasse,
e oltre a ciò è quello che lo mantiene in vita?”.
Era certa che se glielo avesse chiesto l’avrebbe avuto, tanto era nota
la gentilezza di Federigo e tanto poteva contare sulla sua devozione,
ma non si decideva a togliergli quell’unica ricchezza. L’amor del figlio
finì tuttavia col deciderla.
«Cercherò di accontentarti» disse al figlio.
Il malato fu così contento di quella promessa, che parve subito migliorato. 
La mattina seguente, presa con sé un’altra donna, con l’aria di chi
voglia fare una passeggiata, Giovanna passò dalla casetta di Federigo
e lo fece chiamare. Mentre, stupito, il giovane accorreva dall’orto
dove stava intento a piccoli lavori, Giovanna gli si fece incontro
lietamente e gli disse: «Salute Federigo. Vengo a farvi questa visita
per ricambiarvi, un po’ tardi, la gentilezza che mi avete dimostrato
amandomi per tanto tempo senza speranza. Starò, se lo consentite,
a pranzo con voi, alla buona, insieme a questa mia compagna».
«Signora», rispose Federigo «da voi ho avuto soltanto del bene, perché
l’amore che vi ho portato mi ha fatto grande onore. Vedervi ora
qui così amabilmente, mi è più caro di quanto non mi sarebbe il riavere
quanto ho speso amandovi, ma purtroppo questa povera casa
non è degna di voi. Permettete almeno che vada a far mettere un po’
d’ordine e a comandare che si disponga la tavola. Sedetevi intanto
con la vostra amica in giardino, dove la moglie del mio contadino vi
terrà compagnia».
Così detto entrò in casa, andò nella cucina e si rese conto che non vi
era nulla da portare in tavola, altro che rape e qualche insalata.
Avrebbe potuto mandare a comprare qualcosa al paese vicino, ma si
accorse di non avere neppure un soldo in tasca. Guardandosi intorno
in cerca di qualche ispirazione, gli caddero gli occhi sul suo falcone,
che se ne stava appollaiato sopra una stanga. Senza un istante
d’esitazione lo prese e, trovandolo grasso e di buon peso, pensò di
poterlo cucinare. Gli tirò il collo, lo fece spennare e ordinò alla donna
di cuocerlo allo spiedo. Apparecchiò intanto la tavola con una
bella tovaglia che aveva salvato dai creditori e, passata una mezz’ora,
andò in giardino e con un gesto da gran signore invitò e due donne
alla mensa.
Fu subito portato in tavola il falcone che, ben cotto com’era e privato
della testa e delle zampe, pareva un fagiano. Federigo scalcò
l’animale e servì le donne delle parti migliori, poi se stesso.
Mangiato che ebbero, Giovanna diede inizio a una piacevole conversazione,
nel corso della quale, quando le parve venuto il momento
giusto, disse a Federigo: «Ora vi debbo dire la vera ragione per la
quale vi ho fatto questa visita. Forse, ricordando la mia riservatezza,
che voi avrete giudicato durezza d’animo e crudeltà, troverete strano
il passo che ora sto per compiere. Chi non ha figlioli non può capire
cosa si arriva a fare per le proprie creature. Ma forse voi, che
siete uomo di grandi sentimenti, potrete comprendere il mio stato
d’animo. È per lui, per mio figlio, che sono qui a chiedervi un dono
che vi sarà difficile fare, perché si tratta dell’unica consolazione che
voi abbiate nella solitudine in cui vivete. Si tratta del vostro falcone.
Mio figlio, che è ammalato, si è tanto invaghito del vostro falcone,
che se non glielo porto si aggraverà e potrà anche morire. Perciò vi
prego, per l’amore che mi portate, che mi facciate questo dono con
la generosità che avete sempre mostrato. Mio figlio riavrà la sua salute
ed io vi sarò per sempre obbligata».
Federigo, che aveva i sudori freddi pensando al falcone che avevano
appena mangiato, incominciò a piangere in silenzio. Giovanna, convinta
che quel pianto fosse dovuto al dispiacere che il giovane provava
nel separarsi dal suo falcone, era quasi pentita del suo ardire e
stava per rinunciare al dono.
Federigo allora, trattenendo a fatica le lacrime, disse: «Signora, da
quando Dio volle che io vi amassi, in molte cose ho avuto contraria
la fortuna. Ma erano cose da nulla rispetto a ciò che oggi mi accade.
Quand’ero ricco non vi degnaste mai di entrare nella mia casa, ma
ecco che ora siete venuta in questo mio povero luogo a chiedermi un
piccolo dono che non vi posso fare. Io, che per voi ho dato tutto
quanto avevo! Sappiate che appena siete arrivata qui e mi avete chiesto
di desinare, per riguardo al vostro valore ho deciso di mettervi
cotto sul tagliere la cosa che più mi era cara e preziosa: il falcone.
Vedendo ora che lo volevate vivo, il dispiacere di non potervi
Accontentare è così forte che non mi darà più pace».
Poi andò in cucina, prese le penne, le zampe e il bello del falcone e
li mise davanti a Giovanna; questa lo rimproverò d’aver sacrificato
un simile animale per darle da mangiare, ma non poté tuttavia far a
meno di ammirare la sua grandezza d’animo.
Triste e sconsolata, se ne partì e tornò dal suo figliolo, il quale per il
suo disappunto di non aver avuto il falcone e per la gravità del male
che lo aveva colpito, si aggravò e dopo alcuni giorni morì.
Giovanna, dopo lunga sofferenza, trovandosi sola, ricchissima e ancor
giovane, venne consigliata dai suoi fratelli a rimaritarsi. Per alcun tempo
non volle sentirne parlare, parendole finita la vita sua.
Ma davanti alle insistenze di tutto il parentado e dovendosi in qualche
modo risolvere, avendo sempre presente la grandezza d’animo
dimostratale da Federigo, disse che solo lui avrebbe sposato. I fratelli,
sapendolo povero, non furono d’accordo e le suggerirono parecchie
altre persone facoltose. Ma Giovanna fu irremovibile.
«Fratelli miei», disse «so benissimo in quali condizioni è ridotto Federigo
degli Alberighi, ma preferisco un uomo che abbia bisogno di
una ricchezza a una ricchezza che abbia bisogno di un uomo».
I fratelli, vinti da un tale atteggiamento, finirono per cedere e diedero
in sposa a Federigo la loro sorella, con tutto il suo patrimonio.
Divenuto saggio amministratore della sua nuova ricchezza, Federigo
visse in letizia con Giovanna fino alla fine dei suoi anni, benedicendo
il giorno in cui aveva tirato il collo al suo bel falcone.
(da G. Boccaccio, Decamerone, dieci novelle raccontate da Piero Chiara, Mondadori, Milano)

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