“Se si cerca di raccogliere con un solo sguardo la totalità
del mondo umano, si scorge dovunque una lotta incessante, una battaglia
imponente, nella quale sono impegnate tutte le forze, del corpo e dello
spirito, per la vita e l'esistenza contro la minaccia e il continuo insorgere
di pericoli e mali di ogni genere. E, se
poi si considera il premio per il quale si fa tutto ciò, cioè l'esistenza e la
vita, si trovano alcuni intervalli di esistenza
senza sofferenza intaccati subito dalla noia e rapidamente interrotti da nuove
angustie. Che dopo l'angustia si trovi
subito la noia, la quale assale perfino gli animali più intelligenti, è una
conseguenza del fatto che la vita non ha
un vero contenuto autentico, ma viene tenuta in movimento soltanto dal bisogno e
dall'illusione: ma non appena questo movimento si arresta, si rivela tutta
l'aridità e la vacuità dell'esistenza.”
(Schopenhauer, Parerga)
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Intervalli di esistenza senza sofferenza intaccati subito
dalla noia: è così?
Chi risponde: no, non è così, è perché non ha il tempo di
annoiarsi?
Oppure lo ha e si annoia ma chiama lo stato d’animo
corrispondente con un'altra parola, per esempio inquietudine, o ansia?
Oppure non soffre di questo stato d’animo, e gode della
vita, soprattutto negli intervalli in cui la lotta per l’esistenza è meno
pressante?
A cosa mira l’analisi di Schopenhauer? La vita, scrive, non
ha un vero contenuto autentico, ma viene tenuta in movimento soltanto dal
bisogno e dall’illusione: è sempre così? L'alienazione è una condizione universale dell'essere umano civilizzato? O è normalità, per cui non è condizione di tutti, ma ci sono quelli che vivono una vita autentica che non ha bisogno di illusioni?
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