“Per apprendere a sopportare gli uomini, si eserciti la
propria pazienza rispetto a oggetti inanimati, che si oppongono ostinatamente alle nostre azioni per
una necessità meccanica, o altrimenti fisica; a questo scopo si offrono quotidianamente delle
occasioni. Si impara poi a riferire agli uomini la pazienza in tal modo
acquistata, abituandoci a pensare che anch'essi, ogni volta che ci siano di
ostacolo, debbono comportarsi a questo modo in virtù di una necessità altrettanto
rigida e sorgente dalla loro natura, quanto lo è quella con cui agiscono le
cose inanimate; l'indignarsi per le loro azioni è quindi altrettanto stolto
quanto lo sarebbe l'andare in collera
per una pietra che ci ostacoli il passaggio.”
(Schopenhauer, Parerga)
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Se uno è portato ad arrabbiarsi, lo fa con la stessa necessità il cui pensiero dovrebbe, secondo Schopenhauer, attenuare la sua rabbia.
Ci vuole una bella padronanza di sé, a prendersi all'inizio della propria reazione di rabbia e dirsi: calma, lui - o lei - fa così perché non può fare diversamente, per una "necessità sorgente dalla sua natura", una necessità pari a quella di una pietra che cade, o di un masso che mi trovo davanti mentre cammino su un sentiero di montagna.
Dovrebbe essere istintiva una differenza: non è mica una pietra, o una macchina, è un essere umano - ma proprio per questo potrebbe evitare di comportarsi come si comporta, e se non lo fa è perché non vuole farlo. Sarebbe l'intenzione aggressiva dell'altro a infastidirci. Ma non è sempre così, non sempre c'è questa intenzione, e anche fosse, vale il consiglio di Schopenhauer: inutile che te la prendi tanto, inutile e sciocco da parte tua. In fondo, se lo fa, non poteva fare altrimenti: anche la sua eventuale volontà maligna di farmelo apposta è un tipo di necessità.
Insomma, sul momento, se ne sono capace, vale un passo indietro per mettermi in un assetto distaccato come quello che ho verso le cose e la necessità con cui si muovono - esercitare la stessa pazienza. Il di più che meritano gli esseri umani non è la mia furia.
Il di più umano comporta semmai ancora più pazienza, lì per lì, e successivamente una valutazione che il mondo della natura non richiede. Questa valutazione, che ha bisogno della nostra capacità di sentire, è sul tipo di necessità che ha spinto l'altro a fare quello che ha fatto.
L'altro ha agito spinto da una necessità che è analoga alla necessità delle pietre e dei fenomeni naturali, cioè ha agito impulsivamente, senza pensarci su, a caldo, poiché nel bene e nel male è fatto così?
Oppure lo ha spinto un'altro tipo di necessità, tipica della specie umana, per cui sa freddamente bene quello che fa, ne è lucidamente consapevole, e lo fa perché ormai degli altri, di chiunque, non gliene frega più assolutamente niente, o se gli frega ancora qualcosa è il vederli saltare e gridare come birilli impazziti?
Se è il primo tipo di necessità, è sufficiente l'assetto suggerito da Schopenhauer - con un sorriso.
Se è il secondo tipo, c'è da aggiungerci qualcosa, dopo - c'è poco da sorridere.
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