"Stia davanti a noi un animale, in piena attività di vita.
Platone dirà: «Questo animale non ha alcuna esistenza effettiva, bensì
solo apparente: un perpetuo divenire, una esistenza relativa, la quale può
esser chiamata tanto un non-essere, quanto un essere. Effettiva esistenza ha
soltanto l'idea, che in quell'animale si riproduce. Fin quando dunque riconosciamo in questo
animale la sua idea, è affatto
indifferente e senza importanza se noi abbiamo davanti questo animale di adesso
o un suo progenitore vissuto mille anni fa; e così se esso sia qui o in una
terra lontana; e se si mostri in questa o quella maniera, posizione o azione; e
se infine sia esso o qualunque altro individuo della sua specie: tutto ciò non
ha peso, e riguarda il solo fenomeno, mentre l'idea dell'animale unicamente ha
effettiva esistenza ed è oggetto di vero conoscimento».
Kant dirà su per giù: «Questo animale è
un fenomeno nel tempo, nello spazio e nella causalità, che sono tutte
condizioni a priori dell'esperienza possibile giacenti nella nostra facoltà
conoscitiva, non già determinazioni della cosa in sé. Perciò quest'animale, sì
come noi lo vediamo in un tempo determinato, in un dato luogo, quale individuo
formatosi nella connessione dell'esperienza e necessariamente perituro, non è
punto cosa in sé, ma soltanto un fenomeno che non vige se non in modo relativo
alla nostra conoscenza. Per conoscer ciò che l'animale può essere in se
medesimo si richiederebbe un modo di conoscenza diverso da quell'unico a noi
reso possibile dai sensi e dall'intelletto».
Se si avesse con fedeltà e serietà
meditato l'intimo senso e contenuto delle dottrine di questi due grandi maestri
non si sarebbe potuto mancar di scoprire da gran tempo quanto concordino i due
grandi sapienti, e come il significato puro, l'indirizzo ultimo delle due
dottrine sia proprio il medesimo."
(Schopenhauer, Il mondo)
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Notevole il fatto che partendo da queste dimensioni di pensiero astratto, rivolto al “trascendente”, Schopenhauer risolva con un ritorno all’origine materiale, concreta, corporea: non ho bisogno di girare la testa verso la luce inguardabile nella caverna di Platone, così come non ho bisogno di arrendermi davanti alla pretesa inconoscibilità delle cose in se stesse di Kant – nella relazione del me che sente e pensa con il mio stesso corpo trovo l’idea, la “cosa in sé”, di me stesso, e questa la posso estendere al mondo intero, che così diventa conoscibile sia per i suoi aspetti formulabili a parole che per la sua indicibile – o difficilmente dicibile – essenza.
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