"Non si piange mai direttamente per un dolore provato, ma bensì sempre per il riprodursi di esso nella riflessione. Cioè, dal dolore provato, pur quand'è corporale, si passa a una pura rappresentazione di esso, e si trova allora così compassionevole il proprio stato, che, se altri fosse a soffrire, siamo fermamente e sinceramente persuasi che l'aiuteremmo con tutta pietà e amore. Ma intanto siamo noi stessi l'oggetto di quella nostra sincera pietà: col più soccorrevole animo sentiamo d'essere proprio noi i bisognosi d'aiuto; si sente di patir più di quanto potremmo resistere a veder patire un altro; e in tal situazione singolarmente complessa, in cui il dolore direttamente sentito ritorna alla percezione con un doppio rigiro, rappresentandocisi come estraneo, come tale compassionato, e quindi immediatamente ripercepito come nostro, la natura si da sollievo mediante quella strana convulsione corporea. Il pianto è adunque pietà di se stesso, ossia pietà che torna indietro al suo punto di partenza."
(Schopenhauer, Il mondo)
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