"Dal cibo nascono le creature che si trovano sulla terra. Esse
vivono di cibo e in esso ritornano al momento della morte. Le creature nascono
dal cibo, crescono in grazie al cibo. Il cibo è mangiato e mangia: per questo è
chiamato cibo (anna)"
"Io sono il cibo e mangio il mangiatore di cibo."
Annotazione personale. Non so cosa significhi "anna" nell'antica lingua lontana delle
Upanishad, ma quando ho letto mi è venuto da sorridere. Mio figlio quando era
piccolo e cominciava a pronunciare le sue prime parole ogni tanto se ne usciva
con questa: “anna”. Io la pensavo con la maiuscola, “Anna”, cioè nome di donna,
nonostante noi non conoscessimo nessuna Anna e non era suono, nome, che lui
avesse sentito e ripeteva. Chissà cosa vuole, ci chiedevamo quando pronunciava
quella parola senza che altri indizi ci permettessero di capire, e scherzando
avevo risolto così: sarà il nome della donna della sua vita.
Così, leggendo che “anna” nell’antica lontana lingua delle Upanishad
significa cibo, ho ricordato e mi è venuto da sorridere. Ma sono propenso a
pensare che sia solo una divertente coincidenza: piuttosto, oggi penso che lui
avesse già respirato il dialetto romanesco, e “anna” poteva essere una forma
abbreviata di “annamo”, cioè “andiamo” - il nobilissimo “andiamo”, l’invito, l’accettazione, la presa visione, del flusso continuo della vita, dello scorrere, del tutto
passa - andare, andare, ancora andare: anna. Anche questa, comunque, ipotesi assai poetica.
Qui, invece, leggo che “anna” è parola, in quella antica lontana lingua,
che comprende la simmetria per cui il cibo è mangiato e mangia. Questo è un
dato di realtà osservabile, in alcuni casi: è per esempio la condizione del gatto tra topo
e cane. Ma non è questo, il senso di quel “è mangiato e mangia”. Non riguarda
solo alcuni casi, ma piuttosto esprime l’idea complessiva, l’intuizione portante che
emerge in questa Upanishad, che la vita nutre se stessa, il Sé
nutre il Sé, e il cibo è il "rimedio universale" che permette la vita.
Idea che verrà ripresa da Schopenhauer: il leone non sa che quando
affonda i suoi denti nella carne della gazzella li affonda nella sua stessa
carne.
La simmetria di quel “è mangiato e mangia” è una delle caratteristiche
essenziali dei processi inconsci, secondo Matte Blanco: mentre la logica dei
processi mentali della veglia è asimmetrica, per cui il leone mangia la
gazzella e l’azione è a senso unico, la logica dei processi inconsci, per
esempio quelli del sogno ma non solo, tende alla simmetria quanto più ci si
allontana dalla veglia e la sua capacità di distinguere le cose, i rapporti
causa-effetto, le azioni transitive nella relazione soggetto-oggetto. Se io mangio una mela, l’azione è a senso unico, ma andando verso i
processi inconsci si va verso la mela che mi mangia, oltre ad essere mangiata –
la “bilogica” umana, secondo Matte Blanco.
La mela che mi mangia può suonare assai strano, ma se si pensa ad altre
azioni la cosa diventa meno bizzarra. Per esempio: io amo una persona, e nella
veglia sono consapevole che sono io ad amare quella persona, il che non
significa certamente che quella persona necessariamente ami me. Ma questa logica
asimmetrica assai razionale, realistica, capace di distinguere le persone una
dall’altra e il senso delle azioni, tende a sfumare nei sogni e non solo: a
livelli meno coscienti di me si fa sentire la possibilità che il mio amare sia
magicamente essere amato, e quella precisa persona tende a diventare un insieme
di persone, per cui tanto più ci si “con-fonde”, tanto più l’insieme si allarga, fino
a diventare tutte le persone – fino a diventare un insieme infinito,
indistinto: appunto, come diceva Matte Blanco, l’inconscio come insiemi
infiniti. Là il cibo è mangiato e mangia, come per le Upanishad, come per la “Volontà”
di Schopenhauer.
(Taittiriya Upanishad, Upanishad vediche, Tea 1988, pp. 227-246)
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