Caro Schopenhauer,
sono sorpreso, stupito, e te lo volevo dire.
Scrivi: "La musica non esprime il fenomeno, bensì l'intimo essere, l'in-sé, la volontà stessa."
Che coraggio!
Forse è il caso che ti dica qualcosa che precede la mia sorpresa attuale, il mio scetticismo, la mia perplessità tentata dal continuare a seguirti ma restia a farlo - non riesco a seguirti come ho fatto fin qui, e mi dispiace - chissà, forse vorrei mi dicessi qualcosa di più, di decisivo, di personale - proprio a me, e continuerei a seguirti fino in capo al mondo...
Spero nella tua gentile risposta e ti dico, dunque.
La prima volta che mi hai sorpreso ti ho capito subito - ti ho seguito subito quando scrivevi
che, sì, è vero che noi possiamo conoscere il mondo solo come immagine,
come percezione, come rappresentazione, come avviene per qualsiasi occhio che guardi il mondo fosse anche quello di un insetto, e che lo
possiamo percepire solo inserendolo in uno spazio e in un tempo e in
catene di causa-effetto - questo è vero, scrivevi, ma non è vero invece
che siamo completamente all'oscuro della realtà in sé al di là della
rappresentazione che se ne fanno gli infiniti occhi che hanno guardato,
guardano e guarderanno il mondo - non è vero invece, dicevi, che il nostro sguardo, la nostra percezione è sempre esterna
così come è sempre dall'esterno che vedo chi mi sta vicino vivere,
ridere, piangere, gridare, tacere, provare piacere o provare dolore:
della realtà intimissima, dell'essere in sé qualcosa posso sapere, e
posso saperlo a partire da me stesso, me stesso corpo, tra me e me.
Grande, sei stato, dunque, in questo, quella prima volta in cui ho
capito quello che dicevi: la soluzione del problema era più che sotto
gli occhi, era negli occhi stessi, che guardano e sempre guardano anche
se chiudo le palpebre, guardano e sempre guardano e non posso impedire
con la mia volontà mentale che guardino, perché questo è il loro essere, la loro
funzione, la loro "Volontà", la volontà di cui tutto il mio corpo è portatore
nell'esistere.
Grazie, dunque, perché nella tua soluzione c'è il superamento dell'alienazione
fondamentale umana, quella tra ognuno e il mondo là fuori. Superamento filosofico, certo, ma superamento prezioso, che indica, a chi la avesse persa e
avesse nel pensiero comunicabile una possibilità di ritorno, una via
psichica precisa, pratica. Perché se è vero, dunque, che il mondo là fuori mi è conoscibile solo in quanto
mi appare, in quanto fenomeno, rappresentazione della mia sensibilità
corporea, se vero che è altro da me, è vero anche che nel me corporeo
io vivo qualcosa che scalda il mondo esterno del mio stesso calore, è vero anche che la
pasta madre di cui sono fatto, di cui posso avere esperienza indicibile
ma esperienza, è la stessa pasta madre degli altri esseri umani intorno a
me - e non solo, tu scrivi, non solo degli altri esseri umani, ma è la
stessa pasta madre di tutti gli esseri, del mondo intero, della materia
tutta dell'universo. Semplice, comprensibile, ho capito, ho capito - si può capire, si capisce come fosse toccar cosa con mano.
Ora, ecco la sorpresa per cui ti scrivo. La musica, scrivi, esprime la indicibile Volontà universale, la cosa in sé del
mondo e quindi anche di me stesso? La musica esprime ciò che io
intimamente sono al di là del mio essere storico, condizionato,
particolare, fenomenico?
Con stima, rs, venerdì 17 maggio 2013
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Ma era superstizioso, Schopenhauer?
Magari è per un motivo banale, che non ha risposto.
Comunque non me ne sono fatto un problema, non ci pensavo proprio più.
O me l'ha rimandata perché la risposta la devo dare io?
Può anche essere.
Magari è una di quelle domande per cui la risposta sta lì dove nasce la domanda.
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