“Le figure celesti ci hanno abbandonato e il mondo ha perso
il suo incanto. Ma il disincanto del mondo offre fenditure tragiche guardate da
un cielo che non redime, perché reso muto e a sua volta irredento. Forse le
figure celesti sono state sempre impietose con gli uomini, ma la venerazione
degli uomini le placava.
Gli oroscopi sono il precipitato storico di questa supplica
dove un misto di invocazione e di terrore si addolciva nella figura del buon
presagio. La primitiva angoscia si smorzava nell'andamento tranquillo della
narrazione, dove il lavoro della ragione stemperava le tracce della follia che
da sempre abita l'uomo e di cui il buon presagio è la prima parola.
Ora, resi esangui dalla nostra ragione, i rimandi
astrologici continuano ad abitare i nostri sogni, le nostre passioni, le nostre
angosce, in quegli itinerari incerti e bui della nostra anima, dove ognuno deve
vedersela da solo con demoni e dèi, ma di loro abbiamo perso l'origine, il
luogo e il nome. In questa condizione non possiamo conoscerli e non possiamo
chiamarli. Altre mitologie avanzano e con esse un altro tipo di umanità,
rispetto alla quale l'uomo storico, quello che noi conosciamo, sta diventando di
giorno in giorno sempre più preistorico. Non c'è rimpianto in tutto questo,
solo un invito alla consapevolezza.
All'interno di questa consapevolezza, Jung ha cercato di rintracciare
il senso del simbolo astrologico in una cultura, la nostra di oggi, governata
per intero dalle rigide forme della razionalità, che produce identità, ruoli,
linguaggi confezionati da impiegare nei vari circuiti già predisposti della
comunicazione. In questo contesto il simbolo astrologico produce una fuga di
senso che va molto lontano dal codice, trascinando con sé l'attenzione inquieta
di chi, percependolo, è trasportato da questa diversione di senso in tutt'altro
ordine di significati, in tutt'altra verità.
Creando un senso adiacente rispetto al senso stabilito, il
simbolo astrologico rivela quella potenza creativa che accompagna il mutamento
inconsapevole della storia individuale e collettiva. Non si deve chiedere che
cosa significano i simboli, perché i simboli non significano, i simboli
operano. Quando, a distanza, ne avvertiamo il senso, i simboli si sono già
allontanati e il loro posto è stato occupato dai codici che di volta in volta
ordinano il nostro modo di vivere e di parlare. Ma già si preparano altre
inconsapute verità, a cui è affidata ogni cadenza inconsueta della nostra vita.”
(U. Galimberti, La casa di psiche)
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