sabato 30 novembre 2013
venerdì 29 novembre 2013
Il presente al quadrato sghembo
"Quando dico: è il mio presente, io faccio una narrazione a me stesso e agli altri della mia azione nel momento stesso in cui la eseguo. Il presente è un racconto dell'azione che noi facciamo mentre stiamo agendo. Il presente è un atto che riunisce narrazione e azione, e la narrazione implica necessariamente la memoria. Sembra paradossale: come si fa a mettere la memoria nel presente e perché raccontare un'azione nel momento del suo compiersi?"
"Il presente è dunque un'azione complessa e difficile. Non è un fatto primitivo e naturale, bensì un'acquisizione relativamente tardiva."
(Minkowski, "Il tempo vissuto")
Qui Minkowski sta esponendo la teoria di Janet sulla formazione della nozione di presente.
Noto - non è il solo passaggio, e non so se lo stesso errore faccia Janet - una confusione tra la cosa e la consapevolezza della cosa, e ancor più tra la cosa e il nome della cosa. Quando Minkowski scrive che il presente è un'azione complessa, intende dire che la consapevolezza del presente è complessa, e questa consapevolezza può includere oppure no il dirsi: questo è il mio presente, può includere oppure no un'attività di attenzione memorizzante per un successivo racconto. Ci mancherebbe altro, che noi, per vivere il presente, stessimo sempre lì ad allestire un racconto a noi stessi e agli altri di quello che stiamo vivendo.
Capisco che Minkowski trovi paradossale l'impegno della memoria nella formazione della nozione di presente - è questo che dice, credo, quando dice "mettere la memoria nel presente"- ma forse non sapeva che percezione e memoria sono funzioni strettamente connesse. E quando si chiede: perché raccontare un'azione nel momento del suo compiersi? si pone, credo, una domanda sulla genesi di una patologia, non della normalità del vivere il presente.
Sono formule.
Tutte formule.
Matematica.
E nemmeno buona matematica.
"Il presente è dunque un'azione complessa e difficile. Non è un fatto primitivo e naturale, bensì un'acquisizione relativamente tardiva."
(Minkowski, "Il tempo vissuto")
Qui Minkowski sta esponendo la teoria di Janet sulla formazione della nozione di presente.
Noto - non è il solo passaggio, e non so se lo stesso errore faccia Janet - una confusione tra la cosa e la consapevolezza della cosa, e ancor più tra la cosa e il nome della cosa. Quando Minkowski scrive che il presente è un'azione complessa, intende dire che la consapevolezza del presente è complessa, e questa consapevolezza può includere oppure no il dirsi: questo è il mio presente, può includere oppure no un'attività di attenzione memorizzante per un successivo racconto. Ci mancherebbe altro, che noi, per vivere il presente, stessimo sempre lì ad allestire un racconto a noi stessi e agli altri di quello che stiamo vivendo.
Capisco che Minkowski trovi paradossale l'impegno della memoria nella formazione della nozione di presente - è questo che dice, credo, quando dice "mettere la memoria nel presente"- ma forse non sapeva che percezione e memoria sono funzioni strettamente connesse. E quando si chiede: perché raccontare un'azione nel momento del suo compiersi? si pone, credo, una domanda sulla genesi di una patologia, non della normalità del vivere il presente.
Sono formule.
Tutte formule.
Matematica.
E nemmeno buona matematica.
giovedì 28 novembre 2013
mercoledì 27 novembre 2013
martedì 26 novembre 2013
lunedì 25 novembre 2013
Lettera breve a Minkowski
"Lo slancio vitale non può essere ricondotto ad una volizione qualsiasi o a una tendenza volta a uno scopo preciso... Per sua natura è generale e indefinito... Ancor prima che uno scopo sia pienamente raggiunto già tendiamo verso un altro scopo; ogni scopo raggiunto non è per noi che una tappa che prepara la successiva. Nella vita non c'è tregua; il nostro compito non è mai finito, bisogna sempre andare oltre. Ma solo eccezionalmente questa necessità provoca un senso di sconforto: in realtà questo scaglionarsi di scopi e la progressione che vi si opera sono l'espressione della forza, del vigore, dell'affermazione della vita stessa, è con questa progressione costante che lo slancio vitale ci porta sulle sue ali possenti sempre dritto avanti a noi, oltre la morte stessa."
(E. Minkowski, Il tempo vissuto)
E' quella che Schopehauer ha chiamato Volontà nel suo "Il mondo come volontà e rappresentazione". Ne resto sorpreso: finora non ho mai trovato un riferimento in questo senso.
Caro Minkowski,
ma...
domenica 24 novembre 2013
sabato 23 novembre 2013
Non riesco più a leggere
come fossero formule di matematica - i numeri sono astratti, tre non dice se sono mele, pere o patate, devi contentarti di leggere tre senza materia - non riesco più a leggere come mi hanno insegnato nei lunghi anni della scuola dell'astrazione, come fosse matematica - poggio gli occhi sui segnetti e devono materializzarsi subito mele, pere, patate - non mi va più d'usare l'immaginazione, è tornato il tempo di vedere, vedere soltanto - segnetti senza senso, o mele, pere, patate.
venerdì 22 novembre 2013
giovedì 21 novembre 2013
mercoledì 20 novembre 2013
Essere e divenire
"Adattato all'essere, il pensiero si dimostra incapace di accostarsi al divenire. Il divenire è inaccessibile alla conoscenza: anche i procedimenti più elementari del pensiero discorsivo si dimostrano contrari alla sua natura. In rapporto al divenire non riusciamo a prendere la distanza necessaria per farne un oggetto di conoscenza. Esso è troppo vicino a noi."
(E. Minkowski, Il tempo vissuto)
martedì 19 novembre 2013
lunedì 18 novembre 2013
Questo presente
"Il ricordo vivo non è solo la rievocazione di un fatto passato, di un fatto che è stato e non è più, ma nello stesso tempo e anzitutto è la rievocazione di un fatto che appartiene a un passato da cui è uscito questo presente."
(E. Minkowski, Il tempo vissuto)
domenica 17 novembre 2013
sabato 16 novembre 2013
venerdì 15 novembre 2013
giovedì 14 novembre 2013
mercoledì 13 novembre 2013
lunedì 11 novembre 2013
domenica 10 novembre 2013
sabato 9 novembre 2013
Con tutte le scarpe
Il mangiare fisicamente è un processo, un fare, un fatto facile da vedere. Il mangiare psichicamente, non è altrettanto facile da vedere, riconoscere: bisogna capire cosa significano queste parole.
Eppure nel linguaggio comune si usano espressioni che suppongono il mangiare psichico come un fatto, e come un fatto riconoscibile. Si dice, per esempio, mangiare con gli occhi. Si dice, anche: quello/a se l'è mangiato/a con tutte le scarpe.
1) Ammettiamo che dire mangiare psichicamente abbia un significato, cioè che indichi una realtà, un fatto, un processo, una situazione, un tipo di interazione tra persone.
2) Il fatto, il processo, la situazione, l'interazione che può essere definita un mangiare psichico dovrebbe essere riconoscibile: abbiamo capito cosa significa e c'è un accordo di gruppo, cioè facciamo parte di un gruppo più o meno vasto in cui quando qualcuno dice se lo è mangiato/a capiamo cosa sta dicendo.
venerdì 8 novembre 2013
Vegetariani in bisteccheria
A proposito di mangiare - della vita biologica che mangia vita biologica, con l'eccezione delle piante capaci di fotosintesi clorofilliana:
1) la psicologia ha spesso usato l'analogia alimentare per descrivere processi che sono di apprendimento senza nessun mangiamento e digestione - avvengono esperienze e un ricordo attivo di esse modifica lo psichismo e il comportamento, e in questo esperire e ricordare i termini alimentari sono inadeguati, fuorvianti
2) anche il linguaggio comune usa termini alimentari in modo estensivo, inadeguato a pensare e descrivere la realtà di ciò che avviene
Esempio del 2): il dire comune "mangiare con gli occhi".
Anche il più integerrimo vegetariano, se "mangia con gli occhi" qualcuno, è psichicamente carnivoro - anzi, è psichicamente un cannibale quando il suo "mangiare con gli occhi" si rivolge ad un altro essere umano. Viene da pensare che sia un errore grossolano del linguaggio, certamente. Però, c'è un fatto che tutti possiamo osservare, o sentir avvenire in noi stessi: a volte certe espressioni di affettività intensa vengono accompagnate da un serrar di mascelle che rende meno grossolano l'errore grossolano linguistico.
Diventare non violenti, per così dire vegetariani psichici, potrebbe significare allora: smetterla di "mangiare con gli occhi" le persone che desideriamo o che amiamo, e usare gli occhi per guardare, vedere, sentire, capire, amare o respingere - senza addentare, senza predazione nell'avvicinare, e senza odio nell'allontanare.
Se, biologicamente, per noi animali è impossibile vivere senza mangiare altra vita; se, biologicamente, ci è possibile solo limitare la vita di cui ci si nutre, è possibile alla nostra vita psichica non mangiare altra vita?
giovedì 7 novembre 2013
Il pappagallo di Marenka
Capito lì mentre racconta che il gatto con un salto aveva afferrato il pappagallo in volo e quello poi era morto, e lei ha ammazzato il gatto.
"Perché lo hai ucciso?"
"Perché quello era il pappagallo di Marenka."
Marenka la sento ogni tanto nominare e so che è una bambina, sua nipote, figlia della figlia. Da quando è nata, lei ha preso Marenka sotto la sua protezione come fosse sua figlia, non sua nipote. Di più: come fosse la figlia morta da bambina in un incidente automobilistico. Quando è nata la nipote, qualche anno dopo, ha detto: "E' mia." M'è sembrata una follia, da brivido, ma la situazione in cui sono venuto a conoscenza di queste cose è tale per cui ho evitato qualsiasi manifestazione della mia impressione. Ora, però, mentre trattengo la mia reazione per l'uccisione del gatto, mi lascio andare ad una domanda.
"E se fosse stato il pappagallo di un altro, lo avresti ucciso il gatto?"
"No. L'ho ammazzato perché quello era il pappagallo di Marenka."
mercoledì 6 novembre 2013
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