Filalete - Tutto e nulla.
Trasimaco - Eccolo ancora! Per risolvere un problema enuncia
una contraddizione. Il trucco ormai è scontato.
Filalete - Rispondere a questioni trascendenti con il
linguaggio creato per la conoscenza immanente non può che condurre a
contraddizioni. (…) La conoscenza trascendente è quella che, oltrepassando ogni
possibilità dell'esperienza, aspira a determinare l'essenza delle cose quali
esse sono in se stesse; conoscenza immanente, invece, è quella che si mantiene
entro i limiti della possibilità dell'esperienza; ma, per questa ragione, non
può parlare altro che di apparenze. - Tu, in quanto individuo, finisci con la
tua morte. Ma l'individuo non è la tua vera e ultima essenza, bensì una mera
manifestazione di essa: non è la cosa in sé, ma solo la sua apparenza, che si
rappresenta nella forma del tempo e, conformemente a ciò, ha principio e fine.
La tua essenza in sé, invece, non conosce né tempo, né principio, né fine, né
la barriera di una data individualità: perciò non può venire esclusa da alcuna
individualità, bensì esiste in tutti e in ognuno. Nel primo senso, dunque, a
causa della morte diventi nulla; nel secondo, sei e rimani tutto. Per questo ho
detto che, dopo la morte, sarai tutto e nulla. Difficilmente la tua domanda
permette, cosi in breve, una risposta più giusta di questa; la quale certamente
contiene una contraddizione, proprio perché la tua vita è nel tempo, ma la tua
immortalità è nell'eternità.
Trasimaco - Ascolta: senza la persistenza della mia individualità,
io non do un soldo per tutta la tua immortalità.
Filalete - Forse è possibile trattare ancora con te. Supponi
che io ti garantissi la persistenza della tua individualità, ma ponessi come
condizione che il risveglio dell'individualità dovesse essere preceduto da tre
mesi di completo e incosciente sonno nella morte.
Trasimaco - Ci potrei stare.
Filalete - Ma, siccome in uno stato di completa incoscienza,
non abbiamo alcuna misura per il tempo, per noi è assolutamente indifferente,
mentre ci troviamo in quel sonno di morte, che nel mondo cosciente siano
passati tre mesi, o diecimila anni. Infatti l'una cosa come l'altra dovremmo
accettarla sulla fiducia, al risveglio. Perciò, può esserti indifferente se la
tua individualità ti venga restituita dopo tre mesi o dopo diecimila anni.
Trasimaco - In fondo non si può negare.
Filalete - Ma se ora, passati diecimila anni, ci si
dimenticasse di risvegliarti, io credo che quel lungo non essere, seguito a una
così breve esistenza, dovrebbe esserti diventato così consueto che la disgrazia
non sarebbe troppo grande. È certo, a ogni modo, che non potresti accorgertene
affatto. Poi finiresti per consolarti completamente, se tu sapessi che il
meccanismo segreto, il quale tiene in movimento la tua attuale apparenza, non
avrebbe cessato in quei diecimila anni, neppure per un attimo, di muovere e di
rappresentare altre apparenze dello stesso tipo.
Trasimaco - Come?! - E in questo modo tu pensi di frodarmi
senza parere della mia individualità? A me non la si fa! Io ho posto come
condizione la persistenza della mia individualità, e non valgono a consolarmene
né molle segrete né apparenze. Essa mi sta a cuore, e non la voglio
abbandonare.
Filalete - A quanto pare, ritieni la tua individualità così
gradevole, eccellente, perfetta e incomparabile, da non potercene essere
un'altra migliore; perciò tu non la vorresti scambiare con nessun'altra,
neppure essa potrebbe essere migliore e più facile?
Trasimaco - Vedi, la mia individualità, sia quello che sia,
sono io. Niente al mondo m'importa più di me: <perché Dio è Dio, e io son io>.
lo, io, io voglio esistere! Questo m'importa, e non di un'esistenza della quale
mi si vorrebbe convincere che sarebbe la mia.
Filalete - Ma guardati intorno! Ciò che grida <io, io, io
voglio esistere>, non sei tu solo, ma tutto, assolutamente tutto ciò che
abbia anche soltanto una traccia di coscienza. Conseguentemente, proprio questo
desiderio in te è ciò che non è individuale, ma comune a tutti senza
differenza: esso ha origine non dall'individualità, ma dall'esistenza in generale,
è essenziale a ognuno che esista, anzi è ciò per cui ognuno esiste... Ma questa è
mera parvenza, alla quale certamente si aggrappa l'insicurezza dell'individuo,
e che, tuttavia, la riflessione può distruggere, liberandocene. Ciò che infatti
esige così impetuosamente l'esistenza, è solo in modo mediato l'individuo; ma,
immediatamente e in senso vero e proprio, è la volontà di vivere in generale, che è unica e identica in tutti… Alla
volontà sono indifferenti le individualità: propriamente, essa non parla di
esse; sebbene sembri parlarne all'individuo, che percepisce immediatamente la
volontà soltanto dentro di sé. Da ciò discende che la volontà vigila questa sua
propria esistenza con una cura che altrimenti non avrebbe luogo, e proprio così
garantisce la conservazione della specie. Ne deriva che l'individualità non è
perfezione, bensì limitazione: perciò liberarsene non è una perdita ma un
guadagno. Lascia perciò andare una preoccupazione che, se tu conoscessi
interamente e fino in fondo il tuo essere, cioè se tu lo conoscessi come volontà
universale di vivere, quale tu sei, ti apparirebbe puerile ed estremamente
ridicola.
Trasimaco - Puerile ed estremamente ridicolo sei tu e tutti
i filosofi! E solo per passare il tempo e per divertirsi avviene che un uomo
posato come son io si induca a passare un quarto d'ora con questa specie di
folli. Ora ho da fare cose più importanti: addio!
(Schopenhauer, Parerga)
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