“La favola di Pandora non mi è stata mai chiara, anzi. mi è
sembrata senza senso e confusa. Suppongo che essa sia stata male intesa e
deformata dallo stesso Esiodo. Non tutti i mali. ma per contro tutti i beni ha
Pandora nel suo vaso, come dice già il suo nome. Quando Epimeteo l'apre
prematuramente, i beni volano via: solo la speranza viene ancora salvata e
rimane a noi.”
(Schopenhauer, Parerga)
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Prometeo glielo aveva detto, ad Epimeteo: non accettare doni
da Zeus, che poi ti si rivolteranno contro. Ma il dono di Zeus è Pandora, la
prima donna, ed Epimeteo se ne innamora subito e gode felice di quel dono che
ha in sé tutti i doni desiderabili da un uomo. Pandora ha con sé un vaso, con l’ordine di
Zeus di non aprirlo. Lo apre e succede quel che succede: la fatica, le
malattie, la morte, sentimenti maligni come l’invidia, i vizi, insomma il
dolore nelle sue tante forme si impadronisce degli uomini – tutti mali usciti da quel vaso, tranne la speranza che vi
rimane dentro a vaso richiuso. Le cose migliorano quando anche la speranza
viene fatta uscire di lì.
Si nota subito la giustezza dell’obiezione di Schopenhauer:
la speranza non è un male. Che ci fa in mezzo a tutti quei mali? Sarebbe più
logico pensare che il vaso contenesse i beni, che volano via tranne la speranza.
Per fortuna, Schopenhauer non leggerà mai la seguente interpretazione.
Quando Pandora apre il vaso
che non dovrebbe aprire, si riversano in esso tutte le parole dette fino a quel
momento nel mondo e gli uomini perdono il luogo incontaminato che
faceva da contrappeso alle parole che tutto vogliono pensare dire
e spiegare. Solo la speranza si salva, perché Zeus l’aveva resa immune da ogni
discorso: sapeva che se i bambini nascendo avessero perso la speranza di
trovare una madre nessuno sarebbe più nato, e lui aveva un debito con l’uomo,
che lo aveva creato dal fango dei suoi discorsi.
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