"La filosofia ha sempre sospettato, sotto la luce chiara del
cogito e delle sue rappresentazioni, la luce nera e poco familiare della vita
che ribadisce se stessa, incurante della rappresentazione della vita che gli
uomini si fanno.
Spinoza parlava di un conatus in forza del quale ogni cosa
si sforza di permanere nel suo essere, Leibniz di appetitus antecedente a ogni
percezione, Schopenhauer di volontà di vita rispetto a cui ogni
rappresentazione è un inganno, e Nietzsche di volontà di potenza che a
null'altro tende se non a ribadire se stessa.
Nella rappresentazione, allora, si fondono due istanze
inconciliabili: la forza della vita, per cui noi siamo, e la visione che noi
abbiamo della vita, per cui pensiamo.
Il cogito e il sum, che Cartesio aveva
collegato con un ergo, si ripropongono, ma non con la chiarezza dell'evidenza,
bensì con la drammaticità di un conflitto che viene prima di tutti i conflitti
di cui si lamenta il nostro vivere quotidiano.
Noi siamo vissuti da una vita che,
nella rappresentazione che fa di sé, si mostra incurante delle nostre
intenzioni, e al tempo stesso non potremmo vivere se non alimentando giorno per
giorno propositi e intenzioni che la vita, nel suo cieco e semplice desiderio
di vivere, trascura.”
(U. Galimberti, La casa di psiche, Feltrinelli 2006 p 34)
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