A proposito di Aristotele, Shopenhauer scrive: “… la sua
tendenza empirica lo spinge sempre a diffondersi, e in tal guisa egli devia così
facilmente e cosi spesso dal corso di pensieri assunto, da essere quasi
incapace a seguire un filo logico per lungo tempo e sino alla fine: senonché
proprio in questo consiste il pensare profondamente. Egli al contrario va
ovunque in caccia di problemi, ma li tocca soltanto, per passare tosto a
qualcos'altro, senza risolverli o anche solo discuterli a fondo. Il suo lettore
pensa quindi spesso <ora ci siamo>, ma non è cosi: quando egli ha suscitato un
problema e l'ha seguito per breve tratto, sembra spesso che la verità gli sia
giunta proprio sulla lingua, ed ecco che improvvisamente si rivolge a
qualcos'altro, lasciandoci nel dubbio. Egli non può afferrare saldamente nulla,
e salta da ciò che sta meditando a qualcosa che proprio ora gli viene in mente,
come un bambino lascia cadere un gioco per afferrarne un altro non appena lo
scorga. Questo è il lato debole della sua personalità: si tratta della vivacità
di ciò che è superficiale."
A questo modo di pensare e scrivere di Aristotele, Schopenhauer contrappone quello di Platone.
"L'antitesi radicale di Aristotele, tanto nel
modo di pensare, quanto nell'esposizione, è Platone. Costui tiene saldo il suo
pensiero fondamentale, con mano ferrea, ne segue il filo, per quanto sottile
divenga, in tutte le ramificazioni, attraverso i labirinti dei più lunghi
dialoghi, e lo ritrova di nuovo, dopo tutti gli episodi. Si vede da ciò che
egli aveva riflettuto a fondo e ponderatamente sul proprio oggetto, prima di
accingersi a scrivere, e aveva tracciato un ordine costruito per la sua
esposizione. Ogni dialogo è dunque un'opera d'arte meditata, le cui parti hanno
tutte una connessione ben calcolata, sovente a bella posta celata per un certo
tempo, e i cui frequenti episodi riconducono automaticamente e spesso
inaspettatamente al pensiero fondamentale, da essi ormai illuminato. Platone
sapeva sempre, in tutto il significato dell'espressione, cosa voleva e a cosa
tendeva…”
(Schopenhauer, Parerga)
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