mercoledì 24 dicembre 2014

Quando non ho denaro per viaggiare

"Quello che io non posso come uomo, e quindi quello che le mie forze essenziali individuali non possono, lo posso mediante il denaro. Dunque il denaro fa di ognuna di queste forze essenziali qualcosa che esso in sé non è, cioè ne fa il suo contrario.
Quando io ho voglia di mangiare oppure voglio servirmi della diligenza perché non sono abbastanza forte per fare il cammino a piedi, il denaro mi procura tanto il cibo quanto la diligenza, cioè trasforma i miei desideri da entità rappresentate e li traduce dalla loro esistenza pensata, rappresentata, voluta nella loro esistenza sensibile, reale, li traduce dalla rappresentazione nella vita, dall'essere rappresentato nell'essere reale. In quanto è tale mediazione, il denaro è la forza veramente creatrice.


La domanda esiste, sì, anche per chi non ha denaro, ma la sua domanda è un puro ente dell'immaginazione. La differenza tra la domanda che ha effetto, in quanto è fondata sul denaro, e la domanda che non ha effetto, in quanto è fondata soltanto sul mio bisogno, sulla mia passione, sul mio desiderio, è la stessa differenza che passa tra l'essere e il pensare, tra la semplice rappresentazione quale esiste dentro di me e la rappresentazione qual è per me come oggetto reale fuori di me.


Quando non ho denaro per viaggiare, non ho nessun bisogno, cioè nessun bisogno reale e realizzantesi di viaggiare. Se ho una certa vocazione per lo studio, ma non ho denaro per realizzarla, non ho nessuna vocazione per lo studio, cioè nessuna vocazione efficace, nessuna vocazione vera. Al contrario, se io non ho realmente nessuna vocazione per lo studio, ma ho la volontà e il denaro, ho una vocazione efficace. Il denaro, in quanto è il mezzo e il potere esteriore, cioè nascente non dall'uomo come uomo, né dalla società umana come società, in quanto è il mezzo universale e il potere universale di ridurre la rappresentazione a realtà e la realtà a semplice rappresentazione, trasforma tanto le forze essenziali reali, sia umane che naturali in rappresentazioni meramente astratte e quindi in imperfezioni, in penose fantasie, quanto, d'altra parte, le imperfezioni e le fantasie reali, le forze essenziali realmente impotenti, esistenti soltanto nell'immaginazione dell'individuo, in forze essenziali reali e in poteri reali. Già in base a questa determinazione il denaro è dunque l'universale rovesciamento delle individualità, rovesciamento che le capovolge nel loro contrario e alle loro caratteristiche aggiunge caratteristiche che sono in contraddizione con quelle.


Sotto forma della potenza sovvertitrice qui descritta il denaro si presenta poi anche in opposizione all'individuo e ai vincoli sociali che affermano di essere entità per se stesse. Il denaro muta la fedeltà in infedeltà, l'amore in odio, l'odio in amore, la virtù in vizio, il vizio in virtù, il servo in padrone, il padrone in servo, la stupidità in intelligenza, l'intelligenza in stupidità."


(Marx, Manoscritti)

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Il pianto di Schopenhauer

"Non si piange mai direttamente per un dolore provato, ma bensì sempre per il riprodursi di esso nella riflessione. Cioè, dal dolore provato, pur quand'è corporale, si passa a una pura rappresentazione di esso, e si trova allora così compassionevole il proprio stato, che, se altri fosse a soffrire, siamo fermamente e sinceramente persuasi che l'aiuteremmo con tutta pietà e amore. Ma intanto siamo noi stessi l'oggetto di quella nostra sincera pietà: col più soccorrevole animo sentiamo d'essere proprio noi i bisognosi d'aiuto; si sente di patir più di quanto potremmo resistere a veder patire un altro; e in tal situazione singolarmente complessa, in cui il dolore direttamente sentito ritorna alla percezione con un doppio rigiro, rappresentandocisi come estraneo, come tale compassionato, e quindi immediatamente ripercepito come nostro, la natura si da sollievo mediante quella strana convulsione corporea. Il pianto è adunque pietà di se stesso, ossia pietà che torna indietro al suo punto di partenza."

(Schopenhauer, Il mondo)

martedì 23 dicembre 2014

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Radici, chiedo ai limpidi cieli

"Il denaro, possedendo la caratteristica di comprar tutto, di appropriarsi di tutti gli oggetti, è dunque l'oggetto in senso eminente. L'universalità di questa sua caratteristica costituisce l'onnipotenza del suo essere; è tenuto per ciò come l'essere onnipotente... Il denaro fa da mezzano tra il bisogno e l'oggetto, tra la vita e i mezzi di sussistenza dell'uomo. Ma ciò che media a me la mia vita, mi media pure l'esistenza degli altri uomini per me. Questo è per me l'altro uomo.

«Eh, diavolo! Certamente mani e piedi, testa e sedere son tuoi! Ma tutto quel che io mi posso godere allegramente, non è forse meno mio? Se posso pagarmi sei stalloni, le loro forze non sono le mie ? Io ci corro su, e sono perfettamente a mio agio come se io avessi ventiquattro gambe» (Goethe, Faust, Mefistofele).

Shakespeare nel Timone di Atene:
«Oro? Oro giallo, fiammeggiante, prezioso? No, o dèi, non sono un vostro vano adoratore. Radici, chiedo ai limpidi cieli. Ce n'è abbastanza per far nero il bianco, brutto il bello, ingiusto il giusto, volgare il nobile, vecchio il giovane, codardo il coraggioso... Esso allontana... i sacerdoti dagli altari; strappa di sotto al capo del forte il guanciale. Questo giallo schiavo unisce e infrange le fedi; benedice i maledetti; rende gradita l'orrida lebbra; onora i ladri e dà loro titoli, riverenze, lode nel consesso dei senatori. È desso che fa risposare la vedova afflitta; colei che l'ospedale e le piaghe ulcerose fanno apparire disgustosa, esso profuma e prepara di nuovo giovane per il giorno d'aprile. Avanti, o dannato metallo, tu prostituta comune dell'umanità, che rechi la discordia tra i popoli...»

E più oltre:
«Tu dolce regicida, o caro divorzio tra padre e figlio, tu splendido profanatore del più puro letto coniugale, tu Marte valoroso, seduttore sempre giovane, fresco, amato, delicato, il cui rossore scioglie la neve consacrata nel grembo di Diana; tu, dio visibile, che fondi insieme strettamente le cose impossibili, e le costringi a baciarsi! Tu i parli in ogni lingua, per ogni intento; o tu pietra di paragone di tutti i cuori, pensa, l'uomo, il tuo schiavo si ribella; e col tuo valore gettalo in una discordia che tutto confonda in modo che le bestie abbiano l'impero del mondo».

Shakespeare descrive l'essenza del denaro in modo veramente incisivo. Per comprenderlo, cominciamo dall'interpretazione del passo di Goethe.

Ciò che mediante il denaro è a mia disposizione, ciò che io posso pagare, ciò che il denaro può comprare, quello sono io stesso, il possessore del denaro medesimo. Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il mio potere. Le caratteristiche del denaro sono le mie stesse caratteristiche e le mie forze essenziali, cioè sono le caratteristiche e le forze essenziali del suo possessore. Ciò che io sono e posso, non è quindi affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella tra le donne. E quindi io non sono brutto, perché l'effetto della bruttezza, la sua forza repulsiva, è annullata dal denaro. Io, considerato come individuo, sono storpio, ma il denaro mi procura venti quattro gambe; quindi non sono storpio. Io sono un uomo malvagio, disonesto, senza scrupoli, stupido; ma il denaro è onorato, e quindi anche il suo possessore. Il denaro è il bene supremo, e quindi il suo possessore è buono; il denaro inoltre mi toglie la pena di esser disonesto; e quindi si presume che io sia onesto. Io sono uno stupido, ma il denaro è la vera intelligenza di tutte le cose; e allora come potrebbe essere stupido chi lo possiede? Inoltre costui potrà sempre comperarsi le persone intelligenti, e chi ha potere sulle persone intelligenti, non è più intelligente delle persone intelligenti? Io che col denaro ho la facoltà di procurarmi tutto quello a cui il cuore umano aspira, non possiedo forse tutte le umane facoltà? Forse che il mio denaro non trasforma tutte le mie deficienze nel loro contrario?


E se il denaro è il vincolo che mi unisce alla vita umana, che unisce a me la società, che mi collega con la natura e gli uomini, non è il denaro forse il vincolo di tutti i vincoli? Non può esso sciogliere e stringere ogni vincolo? E quindi non è forse anche il dissolvitore universale? Esso è tanto la vera moneta spicciola quanto il vero cemento, la forza galvano-chimica della società.


Shakespeare rileva nel denaro soprattutto due caratteristiche;
1) è la divinità visibile, la trasformazione di tutte le caratteristiche umane e naturali nel loro contrario, la confusione universale e l'universale rovesciamento delle cose. Esso fonde insieme le cose impossibili;
2) è la meretrice universale, la mezzana universale degli uomini e dei popoli."


(Marx, Manoscritti)

giovedì 11 dicembre 2014

Roma


Nel momento stesso in cui ti procuro un godimento

 “L'eunuco non adula il suo despota più bassamente e non cerca con mezzi più infami di eccitare la di lui ottusa capacità di godere per carpirgli qualche favore, di quanto l'eunuco dell'industria, il produttore, al fine di carpire qualche po' di denaro e di cavare gli zecchini dalle tasche del prossimo cristianamente amato, non si adatti ai più abietti capricci dei propri simili, non faccia la parte di mezzano tra i propri simili e i loro bisogni, non ecciti in loro appetiti morbosi, non spii ogni loro debolezza per esigere poi il prezzo dei suoi buoni uffici. 

Ogni prodotto è un'esca con cui si vuol attrarre a sé ciò che costituisce l'essenza dell'altro, il suo denaro; ogni bisogno reale o soltanto possibile è una debolezza che farà cascare la mosca nella pania - sfruttamento universale dell'essere sociale dell'uomo; allo stesso modo che ogni imperfezione dell'uomo è un vincolo che lo unisce col cielo, è il lato in cui il suo cuore è accessibile ai preti. Ogni necessità è un'occasione per presentarsi al proprio prossimo sotto le più allettanti spoglie e dirgli: caro amico, io ti do quel che ti è necessario, ma tu sai con quale inchiostro devi scrivere l'impegno che assumi con me; nel momento stesso in cui ti procuro un godimento, ti scortico.”


(Marx, Manoscritti)

martedì 9 dicembre 2014

Fabbriche di idiozia

"L'economia politica nasconde l'estraniazione insita nell'essenza stessa del lavoro per il fatto che non considera il rapporto immediato esistente tra l'operaio (il lavoro) e la produzione. Certamente, il lavoro produce per i ricchi cose meravigliose; ma per gli operai produce soltanto privazioni. Produce palazzi, ma per l'operaio spelonche. Produce bellezza, ma per l'operaio deformità. Sostituisce il lavoro con macchine, ma ricaccia una parte degli operai in un lavoro barbarico e trasforma l'altra parte in macchina. Produce cose dello spirito, ma per l'operaio idiotaggine e cretinismo."

(Marx, Manoscritti)

Arzigogoli

"La genuina bontà dell'animo, la virtù disinteressata e la vera generosità non provengono da conoscenza astratta, ma da una conoscenza immediata ed intuitiva, che non si può cancellare né stimolare con arzigogoli razionali, cioè provengono da una conoscenza che non si lascia comunicare, ma deve in ognuno nascere spontanea, e che perciò trova la sua vera espressione non già in parole, bensì esclusivamente in atti, nella condotta, nel corso vitale dell'uomo.

Noi, che qui cerchiamo la teoria della virtù, e quindi dobbiamo anche esprimere astrattamente l'intimo essere della conoscenza che le serve di base, non potremo tuttavia fornire in tale espressione quella conoscenza in sé, bensì esclusivamente il suo concetto. Sempre dovremo partire dalla condotta, poiché solo in essa la virtù diviene visibile, e alla condotta riferirci come alla sua sola espressione adeguata, che noi possiamo appena cercare di chiarire e spiegare formulando astrattamente ciò che in lei accade."


(Schopenhauer, Il mondo)

The week after

giovedì 4 dicembre 2014

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Aria in catene

Accade che il lavoro propriamente umano ha inquinato e impoverito la risorsa naturale del lavoro biologico di respirazione necessario alla sua vita extrauterina.

La prima risorsa naturale necessaria alla vita extrauterina è l'aria. Per il suo uso l'unico lavoro necessario è quello biologico, dei polmoni e del sistema respiratorio nel suo insieme, anche se non sempre è così: ci sono situazioni in cui per respirare occorre lavoro umano complesso, cioè il lavoro propriamente detto, quello che inventa e  produce strumenti capaci di far respirare un uomo immerso a lungo in acqua, nelle profondità di una miniera o nelle prossimità di una navicella spaziale in orbita intorno alla terra.

La vita extrauterina va dal primo all’ultimo respiro. Per vivere occorre il lavoro biologico del sistema respiratorio che ha come sua risorsa naturale necessaria l’aria. Per acqua, cibo e protezione dalle aggressioni ambientali occorre dall’inizio della vita umana e per molti anni la presenza di altri umani la cui esistenza dipende da lavoro compiuto da una certa età in poi da loro stessi e/o da altri.

Ogni nuova esistenza dipende dal lavoro compiuto nell’ambiente dall’insieme degli organismi viventi e da quello di organismi individuali giunti alla maturità procreativa. Cioè, a proposito dell’aria: è la prima risorsa di tutti i bambini nascenti come lo è stata per la madre gestante, la quale è arrivata alla gestazione come esito di una complessa concatenazione di lavoro biologico e lavoro propriamente umano, che ha a sua volta come condizione necessaria il lavoro biologico di tutti gli esseri viventi, sia per genesi sia per necessità attuale. 

lavoro biologico di tutti gli esseri viventi ---> lavoro biologico umano ---> lavoro sociale umano ---> lavoro biologico umano ---> lavoro sociale umano

Anche le piante compiono lavoro biologico per vivere, e gli animali tanto più, con il movimento rapido, gli spostamenti nell'ambiente e la complessità delle loro strutture corporee. Senza questo lavoro biologico delle piante e degli animali noi umani non esisteremmo, sia nel senso genetico che la vita in sé comporta lavoro delle strutture biologiche a partire da quelle intracellulari - per cui senza questo lavoro originario biologico non ci sarebbe stata vita sulla terra ancor prima della sua evoluzione - sia nel senso attuale, ad evoluzione compiuta fino al presente, poiché necessariamente vita mangia vita per mantenersi, e senza vegetali e animali la nostra vita come specie sarebbe anche al presente impossibile.

Tranne che per il respirare, tutte le altre funzioni vitali umane, il bere, il mangiare, il muoversi, l’accoppiarsi, implicano lavoro naturale svolto in modalità socialmente condivise: pur nella loro naturalità sono espressioni di una intelligenza divergente, unica tra gli animali anche i più evoluti. L’essere umano beve, mangia, si muove, si accoppia, da essere umano, almeno per tutte le azioni finalizzate all’acqua e al cibo nella bocca, allo spostamento nello spazio, al pene nella vagina.

Altre funzioni naturali, come il ripararsi dalle intemperie, l'esplorazione dell'ambiente, la caccia, l'invasione di nuovi territori, perdono sempre più la propria dimensione di naturalità e diventano manifestazioni della unicità intellettiva umana e della sua capacità trasformativa con il lavoro propriamente detto, il lavoro umano, il proprio individuale e/o quello di altri.

Se c'è la schiavitù

“Anche la compra-vendita di schiavi è, per la sua forma, una compra-vendita di merci. Ma senza l’esistenza della schiavitù il denaro non potrebbe compiere questa funzione. Se c’è la schiavitù, il denaro può essere speso nell’acquisto di schiavi. Viceversa, il denaro nelle mani del compratore non basta in nessun modo a rendere possibile la schiavitù.”

(Marx, Il capitale)

lunedì 1 dicembre 2014

La grande bellezza

"La grande bellezza della produzione capitalistica consiste nel fatto che essa non solo riproduce costantemente l’operaio salariato come operaio salariato, ma inoltre produce sempre una sovrappopolazione relativa di operai salariati in proporzione dell’accumulazione del capitale. 

Così la legge della domanda e dell’offerta del lavoro viene tenuta sul binario giusto, l’oscillazione dei salari viene tenuta entro limiti giovevoli allo sfruttamento capitalistico, e infine è garantita la tanto indispensabile dipendenza sociale dell’operaio dal capitalista: rapporto assoluto di dipendenza che l’economista politico può trasformare, a furia di chiacchiere e di bugie, in un libero rapporto contrattuale fra compratore e venditore, fra possessori di merci egualmente autonomi, possessori della merce capitale e della merce lavoro."

(Marx, Il capitale)