domenica 30 giugno 2013


Tutte le azioni sono immagini vuote


"Ogni conoscenza comunicabile può solo agire come motivo sulla volontà, ma i motivi possono solo cambiare direzione della volontà, non la volontà stessa, e una persona può essere guidata da motivi immaginari al pari di quelli reali."

Perciò, è facile giudicare le azioni malvagie, mentre è invece difficile giudicare le azioni buone.
Infatti, i veri motivi che portano una persona a comportarsi bene possono essere molto diversi, e "la differenza è molto difficile da trovare, poiché essa risiede in fondo all'animo. Di conseguenza, noi non possiamo quasi mai giudicare con certezza, in senso morale, la condotta altrui, e raramente la nostra. Le azioni e i modi di agire possono essere assai modificati dai dogmi, dall'esempio e dall'abitudine. Ma tutte le azioni sono in sé solo immagini vuote: solo l'animo che ad esse conduce conferisce loro un significato morale."

Notevole quel "raramente la nostra".

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)


venerdì 28 giugno 2013


Velle non discitur

Dopo aver analizzato la malvagità, Schopenhauer passa a chiedersi della bontà, in quanto "proprietà della mente umana", sicuro che l'analisi della bontà permetterà di capire ancora meglio la malvagità: "Gli opposti, infatti, si chiariscono sempre a vicenda, ed il giorno rivela contemporaneamente se stesso e la notte, come ha detto magnificamente Spinoza."

Anzitutto si chiede: la bontà si può insegnare?
La vera bontà, la virtù genuina, no, non si può insegnare. "La virtù, infatti, nasce sì dalla conoscenza, ma non da quella astratta, comunicabile con le parole. Per l'autentica ed intima essenza della virtù il concetto è sterile, così come lo è per l'arte." 
Ma, aggiunge, una qualche funzione le formulazioni verbali di tipo morale la hanno: "Il concetto può rendere i suoi servizi come strumento, per l'esecuzione e la conservazione di ciò che è stato conosciuto e deciso in altro modo. Velle non discitur - il volere non s'impara. Certamente i dogmi possono avere un forte influsso sulla CONDOTTA, sull'attività esteriore, come pure l'abitudine e l'esempio, ma con ciò l'animo non è cambiato."  

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)

mercoledì 26 giugno 2013



Rimane da sapere se



Insomma, il malvagio prega di non essere messo in situazioni in cui sa bene che agirà la sua malvagità e con ciò gli faranno vedere o rivedere chi è.
Schopenhauer scrive, di seguito, qualcosa che lascia capire quale sarà lo sviluppo del suo pensiero.
Ha già chiarito che  la vita del malvagio va al di là del suo istinto di sopravvivenza fisica, che è volontà debordante che invade lo spazio di vita degli altri, considerati nettamente altri da sé con i quali non ha un destino comune da condividere, considerati come cose e non esseri viventi, oggetti esterni ed estranei da usare per il proprio divertimento o il proprio dominio, tormentabili ed eliminabili se si oppongono.

Ora scrive: "Dalla violenza con cui il malvagio afferma la vita e che gli si manifesta nella sofferenza che egli infligge ad altri esseri viventi, egli misura la distanza a cui si trova, rispetto a lui, la rinuncia e la negazione proprio di quella volontà, sola possibile liberazione dal mondo e dal suo tormento. Egli vede fino a che punto gli appartiene e quanto saldamente è ad esso legato: la sofferenza degli altri, conosciuta, non ha potuto commuoverlo; egli cade vittima della vita e della sofferenza sentita. Rimane da sapere se ciò potrà mai spezzare e superare l'impeto della sua volontà."

Dunque, il malvagio potrebbe smetterla di seminare dolore e morte intorno a sé soltanto se rinunciasse radicalmente e si contrapponesse con tutte le sue forze alla sua debordante, aggressiva, distruttiva volontà di vivere. Questo va quasi da sé, come pensiero, ma Schopenhauer qui ha scritto qualcosa di più: la rinuncia e la negazione della volontà di vivere sono l'unica possibilità per uscire dai tormenti della vita.
Vedremo come svilupperà questo pensiero, come egli arrivi a concordare con l'esito della ricerca compiuta circa duemila anni prima da Buddha, che per la sofferenza insita in ogni vita (fosse anche solo per il fatto stesso di invecchiare, sapersi fragili davanti alle malattie, sapere inevitabile la morte, trovarsi come spesso accade a dover stare accanto a chi non amiamo o essere separati da chi amiamo) aveva proposto l'eliminazione radicale dell'origine di ogni sofferenza, cioè il desiderare, l'attaccamento bramoso alla vita, e in una allenata condizione interna di distacco trovare quindi serenità, compassionevolmente dedicarsi a soccorrere chi ne ha bisogno.
Non credo che Schopenhauer arrivi a condividere quest'ultima parte delle proposte di Buddha, ma sulla necessità del distacco, l'eliminazione della brama di vivere, forse era arrivato a pensarla proprio nello stesso modo.

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)




martedì 25 giugno 2013

Fa che io non veda chi sono


"L'esistenza produce l'immagine del carattere, e il malvagio si spaventa davanti a questa immagine, e non importa se essa sia disegnata con tratti marcati per cui il mondo condivide il suo ribrezzo, o con tratti talmente sottili che soltanto egli la veda, poiché essa riguarda direttamente soltanto lui. " 

Schopenhauer continua metodicamente a delineare una figura di uomo malvagio in cui sempre la malvagità si accompagna al "tormento dell'anima", e questo "tormento" continua ad analizzare, anticipando con superba intelligenza molti temi che saranno "scoperti" dalla psicologia, in particolare dalla psicoanalisi.

Il passato, scrive, sarebbe indifferente in quanto passato, non potrebbe inquietare la coscienza "... se il carattere non si sentisse libero da ogni tempo e immutabile attraverso questo, almeno finché non neghi se stesso: perciò le cose accadute da molto tempo continuano a pesare sulla coscienza. La preghiera:'Non m'indurre in tentazione' significa 'Fa che io non veda chi sono'."

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)


lunedì 24 giugno 2013

Ciò che ognuno vuole


"Il suicidio non dà alcuna salvezza: ciò che ognuno vuole nel suo intimo, quello egli deve essere: e ciò che ognuno è, è appunto quello che egli vuole."

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)

Fede e ottimismo in Schopenhauer



FEDE nella "giustizia eterna": se un uomo compie un atto malvagio, usando, tormentando, uccidendo altri esseri viventi, sarà a sua volta usato, tormentato, ucciso nello stesso modo; la possibilità che ciò avvenga diventerà prima o poi realtà, poiché "possibilità e realtà, vicinanza e lontananza nel tempo sono diversi solo per la conoscenza individuale" e nel tempo e nello spazio infiniti la possibilità diventa inevitabilmente realtà. Nell'infinito del tempo e dello spazio colui che uccide viene ucciso, colui che tormenta viene tormentato.

OTTIMISMO: chiunque compie un atto malvagio ha, insieme al piacere perverso, anche l'oscuro presentimento che la differenza che egli pensa come una "larga frattura", tra se stesso e l'altro che subisce la sua malvagità, si regge su una percezione illusoria, e da questo presentimento nasce il "tormento dell'anima, l'orrore del lato terribile della vita", che il malvagio vede nei tormenti che infligge. Il malvagio oscuramente sa che la vita "ha un tempo infinito e uno spazio infinito per annullare la differenza tra la possibilità e la realtà e per trasformare tutti i tormenti da lui per ora soltanto conosciuti, in tormenti sentiti."

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)


sabato 22 giugno 2013

Test per capire se sei cattivo


"Quando un uomo, non appena ve ne sia l'occasione, e non sia trattenuto da una forza esterna, è sempre incline a commettere ingiustizie, noi lo chiamiamo cattivo." 

Ci dobbiamo mettere d'accordo su cosa definiamo ingiustizia, scrive Schopenhauer. Lui usa questo criterio: ciascuno di noi ha volontà di vivere istintiva, corporea, ma l'uomo cattivo "... non soltanto afferma la volontà di vivere così come essa si manifesta nel suo corpo, ma arriva al punto da negare la volontà di vivere degli altri, pretende che le loro forze si mettano al servizio della sua volontà e, se essi si oppongono, cerca di cancellare la loro esistenza
Due cose sono qui subito evidenti: 
- in primo luogo che in un tale uomo si manifesta una volontà di vivere che va ben oltre l'affermazione del proprio corpo, e 
- in secondo luogo che la sua conoscenza è saldamente ancorata alla differenza totale tra la propria persona e tutte le altre, del tutto indifferente al benessere degli altri il cui essere gli è completamente estraneo, separato dal proprio da una larga frattura. 
Questi sono i due elementi fondamentali del carattere malvagio."

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)


Noto il ritorno di un problema di distinzione verbale che riguarda l'indifferenza.
Per indifferenza intendiamo generalmente quella emotiva, per cui se sono indifferente alla sorte di un moscerino, lo posso schiacciare senza problemi. E' indifferenza emotiva in una condizione mentale di netta differenza cognitiva di identità tra me e il moscerino. Quella che noi generalmente chiamiamo indifferenza è in realtà conseguente ad una netta differenziazione.
La differenza cognitiva apre la porta alla indifferenza emotiva, e il massimo dell'indifferenza emotiva va a braccetto con il massimo della differenza cognitiva. Questo Schopenhauer lo aveva capito bene.


Mari lontani


giovedì 20 giugno 2013

La botte delle Danaidi


"Il BUONO è essenzialmente relativo ad una volontà che desidera. Il sommum bonum, il BENE ASSOLUTO significa un appagamento finale della volontà, dopo il quale non si presenterebbe più nessuna volizione: sarebbe un ultimo motivo, il cui conseguimento produrrebbe una soddisfazione indistruttibile - una cosa simile è impensabile. La volontà non può smettere di continuare a volere di nuovo, così come il tempo non può smettere di scorrere; per essa non esiste un appagamento permanente che soddisfi pienamente e per sempre la sua aspirazione. Essa è la botte delle Danaidi: non esiste per essa un bene assoluto ma sempre e soltanto un bene temporaneo."

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)

Mito e morale


"Ciò che conferisce forza ad ogni dottrina religiosa è il suo aspetto morale, non in quanto tale ma intrecciato con l'aspetto mitico. I credenti ritengono il significato etico dell'agire e il suo mito del tutto inseparabili, anzi semplicemente la stessa cosa, e considerano ogni attacco al mito come un attacco al diritto e alla virtù. Questo fatto va tanto oltre presso i popoli monoteisti che l'ateismo, l'assenza di un dio, è diventato sinonimo di assenza di ogni moralità. I preti salutano con gioia tali confusioni, e soltanto in seguito ad esse poté nascere quel tremendo mostro che è il fanatismo, e dominare non solo singoli individui insensati e cattivi ma interi popoli e alla fine, nel mondo occidentale, si è incarnato nell'Inquisizione, la quale, secondo le più recenti notizie documentate, ha fatto atrocemente morire nella sola Madrid in 300 anni 300.000 persone per motivi religiosi, mentre nel resto della Spagna erano ancora attivi molti di questi covi di religiosi assassini - questo deve essere subito ricordato ad ogni fanatico, ogni volta che vuole alzare la voce."

(A. Schopenhuer, Il mondo come volontà e rappresentazione)

Vita nuova


martedì 18 giugno 2013

Il marinaio fiducioso


La psicoanalisi ha avuto come oggetto privilegiato i processi mentali di cui non abbiamo coscienza. Per studiare questi processi inconsci ha focalizzato la sua attenzione sul sogno durante il sonno e su tutti quei fenomeni, manifestazioni, sintomi che sono inspiegabili restando sul piano della coscienza, cioè utilizzando la logica di quando siamo svegli e vigili e il mondo ci appare composto di oggetti animati e inanimati separati e riconoscibili in rapporto spaziale, temporale e causale tra di loro.

I sogni hanno una logica diversa da quella della veglia: in sogno possiamo passare da un luogo all'altro anche molto lontano in un attimo, così come possiamo passare da un tempo all'altro, tornare al passato e un momento dopo star di nuovo nel presente o in un qualche futuro. Anche il rapporto di causa ed effetto tra le cose, nel sogno, non è quello della nostra conoscenza pratica del mondo durante la veglia.

Il modo diverso in cui usiamo spazio, tempo e causalità mentre sogniamo non è però esclusivo del sogno: anche quando siamo svegli questa diversa logica è attiva, come una base continua che resta sullo sfondo ed emerge in alcuni momenti della nostra giornata o, con maggiore evidenza di intensità e durata, in alcune nostre sofferenze e comportamenti dei quali non sappiamo dare spiegazione a noi stessi e agli altri.

Il modo sognante, insomma, è presente anche quando siamo svegli, e il modo realistico è presente anche quando sogniamo: cambiano le proporzioni tra i due modi, per cui nella veglia domina il modo realistico - oggetti separati, distinti, disposti nello spazio e nel tempo secondo le precise modalità della conoscenza scientifica - e nel sogno domina invece il modo per cui gli oggetti tendono a perdere separatezza e distinzione, e sono disposti nello spazio e nel tempo secondo modalità imprevedibili.

L'essere umano, scrive Schopenhauer, si aggrappa al modo realistico della veglia, per cui "... conosce le cose come fenomeni distinti, separati, molto diversi o del tutto contrapposti. Egli vede che uno vive nella gioia, nell'abbondanza e nei piaceri e, al tempo stesso, davanti alla sua porta, vede l'altro morire atrocemente per la miseria ed il freddo. Allora si chiede: dov'è la giustizia? E lui stesso, nell'istinto potente della volontà che è la sua origine e la sua essenza, afferra la voluttà e i piaceri della vita, li trattiene stringendoli forte, e non sa che proprio con quest'atto egli afferra i dolori e i tormenti della vita alla cui vista inorridisce, e li stringe forte a sé.  Come, infatti, sul mare in tempesta che da ogni lato solleva e sprofonda enormi mugghianti montagne d'acqua, un marinaio siede nel suo battello fiducioso nella debole imbarcazione, così, in un mondo pieno di tormenti, l'uomo solo è tranquillamente seduto fiducioso nel suo modo di percepire il mondo come fenomeni. Il mondo sconfinato, pieno ovunque di sofferenza, nel passato infinito, nel futuro infinito, gli è estraneo, anzi è per lui una favola: l'unica realtà è per lui la propria persona evanescente, il proprio presente inesteso, il suo piacere momentaneo,  e per conservare tutto ciò egli fa di tutto, finché una migliore conoscenza non gli apra gli occhi - fino ad allora, nell'intima profondità della sua coscienza vive soltanto il presentimento molto oscuro che per lui tutto quello non gli è poi così estraneo, ma ha con lui un rapporto dal quale il suo modo di vedere il mondo non lo può proteggere. Da questo presentimento ha origine quel terrore così inestirpabile e comune a tutti gli esseri umani (anzi, forse persino agli animali più intelligenti), da cui sono colti quando, per un qualche caso, perdono fiducia nel loro modo di vedere il mondo in fenomeni separati e distinti o il rapporto di causa viene meno, per cui un qualche cambiamento si verifica senza una causa, o un morto torna a vivere, o che in qualche modo il passato e il futuro siano presenti, o ciò che è lontano sia vicino. L'enorme spavento per queste cose si basa sul fatto che essi improvvisamente non possono contare sulle forme di conoscenza dei fenomeni le quali soltanto tengono separata la loro individualità dal resto del mondo."

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)


lunedì 17 giugno 2013

Il sogno di un mendicante

"Secondo la vera essenza delle cose, ognuno deve considerare tutte le sofferenze del mondo come le proprie, finchè egli afferma la vita con tutte le forze. Una vita felice nel tempo, regalata dal caso, o a questo carpita con l'intelligenza, fra le sofferenze di innumerevoli altri non è che il sogno di un mendicante, durante il quale egli è un re, ma dal quale deve svegliarsi per apprendere che soltanto una fugace illusione lo aveva separato dalla sofferenza della vita."

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)

 

Mental metal


Ora nei campi






domenica 16 giugno 2013

Nel tempo infinito

       

 (Foto prese da internet)

Alla sede romana della LIPU - lega italiana protezione uccelli - mi hanno detto che è un piccolo di rondone. Ho chiesto di dargli da mangiare ancora una volta, poi lo ho lasciato lì. Mi hanno detto che, a primo esame, sta bene. Presto volerà libero nei cieli. Chissà dove. Passano l'inverno in Africa e in Asia. Vivrà volando. Ho letto che i rondoni, più grandi delle rondini, hanno le zampe capaci di presa - lo sa la mia camicia quando lo ho preso da terra e lo ho poggiato sul petto - ma incapaci di zampettare a terra come fanno gli altri uccelli, e, soprattutto, incapaci di darsi lo slancio per prendere il volo, per cui devono sempre lanciarsi da un posto sufficientemente alto. Per questo la madre, o il padre - ambedue accudiscono i piccoli - non avrebbero potuto scendere a terra a riprendere il piccolo. Da grandi, fanno tutto volando. Dormono anche, in volo: vanno alti nel cielo, poi planano compiendo larghi cerchi mentre un emisfero del loro cervello dorme e l'altro controlla il volo planato per poi risalire e darsi il cambio con l'altro emisfero. Abilissimi, tranne un solo tipo di falco non c'è predatore che riesca a pareggiare la loro capacità di volo: ad ali battenti raggiungono e superano i 100 chilometri orari, e in picchiata superano i 200.

Vai, piccolo. E tieniti lontano dal falco lodolaio. Ma tu lo sai già.
Quello che non sai sono i pallini di piombo degli uomini, morte improvvisa che viaggia molto più veloce di qualsiasi vostro volo. Posso solo augurarti buona fortuna, per questo male d'invidia del bipede maldestro.

Nel mito della trasmigrazione delle anime dell'antica cultura indiana, scrive Schopenhauer "... tutte le sofferenze che nella vita si infliggono ad altri esseri devono essere espiate con le stesse sofferenze in una vita successiva in questo stesso mondo, e questo arriva fino al punto che chi uccide soltanto un animale nascerà anche lui un giorno, nel tempo infinito, nella forma di questo stesso animale e subirà la medesima morte. Questo insegna che una cattiva condotta di vita attira dietro di sé una vita futura in questo mondo in esseri sofferenti e disprezzati... Tutti i tormenti che il mito minaccia li dimostra con intuizioni tratte dalla vita reale, mediante esseri sofferenti che non sappiano neppure come abbiano meritato il loro tormento, e non ha bisogno di ricorrere ad un altro inferno."

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)



sabato 15 giugno 2013

Alle prime luci dell'alba

Quasi le dieci di sera, la via trafficata, il marciapiedi ampio, la pensilina con le persone ad aspettare l'autobus. Il cane si era fermato, come fa spesso la sera, e stava attento guardando lontano, poi invece si era affacciato di lato, all'apertura di un cancello inesistente di uno dei tanti palazzoni seriali.
Mi ha guardato ed è tornato a indicare lì dentro. Ho guardato anch'io. C'era un piccolo uccello che si muoveva a terra con un'ala semiaperta. Ho tenuto il cane, ma non ce n'era bisogno, non aveva nessuna intenzione di aggredirlo. Restavo lì, a trattenere me, il guinzaglio lo tiravo a me, via di lì, ma restavo - tiravo il guinzaglio del tempo, del mondo, che tutto, tutti, si fermassero, a occuparsi del destino di quel piccolo essere che si trascinava nella semioscurità verso il nulla, e mi togliessero quella minuscola immensa responsabilità improvvisamente apparsa dal sempre dei giorni.
Dal palazzo usciva un uomo pesante con un sacco di spazzatura in mano, veniva verso il cancello.  Guardava me e il cane e andava sul piccolo uccello a terra.  
"Attento!" gli ho detto indicando. Non capiva, un altro passo e lo avrebbe calpestato. 
"Stia attento!" ho quasi gridato, e allora si è fermato e ha guardato. 
"Ah! Una rondine." 
"Una rondine?" 
"Sì, sì, una rondine. Quando cadono dal nido la madre non li raccoglie." 
Mi ha guardato e ha fatto un rapido cenno di rassegnazione, poi mi è passato di lato andando verso i secchioni della spazzatura. 
Ho tirato forte il guinzaglio, il mio, e mi sono allontanato da lì, insieme all'uomo pesante, insieme al resto del mondo, insieme alla madre che non raccoglieva quel piccolo caduto. Il guinzaglio del cane era lento, mi stava al fianco pensoso, il mio quasi mi strozzava. Il mondo, altro che guinzaglio, proseguiva per il suo corso imperturbato, indifferente, nessuno si era accorto di niente, la luna forse ma non la vedevo, l'autobus arrivava alla fermata, gente scendeva e saliva. 
Ho fatto, pesante - io, non quell'uomo che s'era allontanato leggerissimo: io avevo un'improvvisa montagna sulle spalle di quel marciapiedi e ogni passo era una terribile fatica nel raro ossigeno d'eccessiva altitudine - ho fatto una decina di passi, poi mi sono fermato, la luce s'è spenta, addio monti sorgenti dai marciapiedi - rapido, verso il piccolo di rondine, mi sono affacciato al cancello, non lo vedevo, sono entrato. Si era nascosto lì accanto - a me, all'uomo della spazzatura, non certo ai tanti gatti - lo ho raccolto con una mano mentre con l'altra tenevo il cane, me lo sono appoggiato al petto tenendolo con la mano a conchiglia. Il piccolo di rondine mi ha guardato, si è arrampicato un poco sulla camicia, poi ha spalancato la bocca due o tre volte.

Ora telefonerò alla LIPU. Questa notte non mangiava, beveva soltanto quando gli facevo poggiare il becco sull'acqua di un cucchiaino. Alle prime luci dell'alba, invece, ha mangiato subito i frustoli di carne cruda che gli porgevo, e ha bevuto dal filo d'acqua del rubinetto.


venerdì 14 giugno 2013

Genzano, mani in festa



Il mondo stesso è il giudizio universale

"La responsabilità per l'esistenza e per la natura di questo mondo può averla soltanto il mondo stesso. Se si vuole sapere quale valore abbiano gli esseri umani in generale, complessivamente, si consideri il loro destino in generale, complessivamente: esso è mancanza, miseria, disperazione, tormento e morte. Se essi, complessivamente, non fossero così indegni, il loro destino non sarebbe complessivamente così triste. In tal senso, noi possiamo dire che il mondo stesso è il giudizio universale."

(A. Schopenhauer. Il mondo come volontà e rappresentazione)


domenica 9 giugno 2013

Sulla nostra via


"Solo per esperienza possiamo apprendere ciò che vogliamo e ciò che possiamo: prima non lo sappiamo, non abbiamo carattere, e dobbiamo spesso venir rigettati, da duri urti esteriori, sulla nostra via."

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)