lunedì 29 febbraio 2016

Non ho due anime

Intervisione

La mia tesi in psicologia aveva come titolo "La funzione dello sguardo nell'interazione sociale". Era il 1973, dell'importanza delle comunicazioni non verbali si sapeva meno di quanto si sa oggi. Mi aveva dato da pensare l'esperienza non sperimentale che aveva fatto uno psichiatra americano. Aveva notato che se parlando con qualcuno guardiamo non esattamente i suoi occhi come siamo soliti fare, ma spostiamo un poco l'asse dello sguardo - per esempio guardiamo verso uno dei suoi orecchi (alla distanza di normale conversazione lo spostamento è minimo) - l'altro prova disagio. In realtà, avevo poi scoperto, non è solo la direzione dello sguardo che viene modificata ma anche altri aspetti dell'interazione, per esempio il ritmo delle segnalazioni che inviamo all'altro con lo sguardo per dirgli "non ho ancora finito di parlare, aspetta" "per ora ho finito di dirti, ti lascio la parola" "ho detto tutto quello che avevo da dirti, ti saluto": cioè - stili personali a parte - il nostro sguardo non è fisso mentre parliamo con qualcuno, ma lo guardiamo, distogliamo lo sguardo, lo riguardiamo e distogliamo di nuovo lo sguardo o lo manteniamo a seconda di come sta andando lo scambio verbale e delle nostre reazioni e intenzioni. Insomma, se ti metti lì a guardargli un orecchio invece che gli occhi, l'altro può non accorgersi consapevolmente dove lo stai guardando, ma la tua fissità e la mimica certamente diversa che avrai assunto per quello che stai facendo a sua insaputa gli dicono che c'è qualcosa che non va. Magari l'altro si accorge anche che non sbattiamo le palpebre come al solito, o chissà quanti altri aspetti legge come diversi: la comunicazione non verbale è molto complessa, anche quando è soltanto visiva e uditiva. Siamo tutti grandi interpreti, ci nasciamo e, chi più chi meno, sviluppiamo tutti la complessissima capacità di leggere i segnali non verbali degli altri esseri umani, soprattutto dei "nostri"- mammina e forse papà, fratelli chissà, famiglia sorvolando, gruppo eccomi che arrivo, collettivo olé, classe sociale ahiaià, dialetti linguistici aho!, dialetti comportamentali. Tragico ogni anno è il dato dei feriti e disastrati per aver creduto più al contenuto linguistico - quello che l'altro ha detto - che a ciò che avevano pur ben capito dai segnali non verbali.

venerdì 26 febbraio 2016

Il sapore dell'essere


"Con la domanda "chi muore?" non entriamo di colpo in una dimensione empirica in cui qualunque filosofo non valga più nulla. Si parte piuttosto da un altro presupposto pre-filosofico per fondare un'altra filosofia.

(Se può sembrare poco filosofico il sospetto che la rivelazione dell'essere possa valer meno del sapore di una mela, sia chiaro allora che ci si muove qui a un livello di opzioni precategoriali rispetto alle quali può diventare legittima la rinuncia a ogni filosofia che visceralmente ci appaia ingannevole.)"

(U. Eco, La struttura assente)

giovedì 25 febbraio 2016

Chi muore?

"La vicinanza all'essere non è, per lo schiavo, la parentela più radicale: viene prima la vicinanza al proprio corpo e a quello degli altri. E nel sentire quest'altra parentela lo schiavo si affaccia al pensiero da un'altra situazione precategoriale, di pari dignità a quella di chi si chiede: Chi parla?"

La domanda "Chi parla?" - scrive Eco - parte dal "presupposto che a porla sia sempre qualcosa che sta prima di noi e si svela pensando in noi."  Una domanda che l'uomo si è fatto per migliaia di anni.
"Ma chi lo ha fatto? Una categoria di uomini, coloro a cui il lavoro servile altrui permetteva la contemplazione dell'essere, e permetteva di sentire questa domanda come la più urgente tra tutte."

Ma lo schiavo si pone una diversa domanda. Non "Chi parla?", ma: "Chi muore?" e da questa domanda si muove "non per far filosofia, ma per costruire una ruota ad acqua che permetta a lui di morire meno in fretta e di liberarsi della macina a cui è legato."

(U. Eco, La struttura assente)

Quella pena inutile

"... Nel momento in cui quella pena inutile che è il soggetto si accorge di ubbidire solo (che parli o che scriva) al gioco di nascondimenti e di elusioni in cui la catena simbolica lo cattura, questa coscienza non lo porta fuori del gioco."

(U. Eco, La struttura assente)

mercoledì 24 febbraio 2016

Se fossi lui

Non ho segnato subito la fonte da cui ho preso questa foto di un piccolo di pantera. Ma ricordo il video in cui si vedeva quando veniva trovato abbandonato e in pericolo di vita, preso delicatamente, curato, allattato e fatto amorevolmente crescere. Insomma, salvato da umani. La madre del piccolo poteva essere rimasta ferita o uccisa chissà come in una delle sue battute di caccia in cerca di cibo per il piccolo... oppure...
Non ho potuto evitare l'inizio di un pensiero, che poi ho lasciato continuare. Oppure ferita o uccisa da uomini, e poi lui, il piccolo, da altri uomini salvato. Allora quel suo sguardo sembrava chiedersi: ma tu, uomo, uccidi mia madre e poi mi salvi?
Forse non è andata così, e posso sentirmi solo testimone lontano di un episodio di bontà, compassione, nobiltà. Ma il pensiero avuto viene dalla considerazione che fa parte della condizione umana sia la distruzione che la riparazione - non penso all'eventuale conflitto individuale, ma a uomini che distruggono e altri che riparano, o tentano di riparare, anche cercando di fermare quelli che distruggono. Uomini - sempre uomo è, della specie a cui appartengo.
Così mi accade che nello sguardo del piccolo di pantera vedo quello che potrebbe essere il mio sguardo se fossi lui e guardassi me, anche se non fosse stato un altro uomo a ferire o uccidere sua madre.

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martedì 23 febbraio 2016

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Io devo venire alla luce là


Il frammento parmenideo "E' necessario dire e pensare che ciò-che-è è" diventa per Heidegger "E' necessario lasciar apparire (dire) ciò-che-è e prendersene cura (pensare al di là dell'apparenza e delle parole) affinché sia ciò-che-è". 

"E' rivelativo - scrive Eco - che il gioco etimologico con cui Heidegger rovescia l'interpretazione del detto parmenideo sia esattamente ripreso e mimato da Lacan quando si applica al famoso detto freudiano "Wo Es war, soll Ich werden". Che non viene più inteso nel senso consueto "Là dove era l'Es, dovrà essere l'Io" ma in senso opposto e proprio ricercando un senso originario dei termini che articolano l'enunciato: Io devo venire alla luce là, in quel luogo in cui l'Es è come "luogo d'essere"; io posso ritrovarmi e trovare la pace solo se so di non essere dove abitualmente sono ma di essere dove abitualmente non sono, devo ritrovare quel luogo di origine, riconoscerlo, lasciarlo apparire e custodirlo. Là dove l'Es permane, laggiù come soggetto io devo arrivare. Per perdermi in esso, ovviamente, non per spodestarlo e instaurare al suo posto una parodia di soggettività ritrovatasi."

(U. Eco, La struttura assente)

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Io devo venire alla luce là, 
in quel luogo in cui l'Es è come "luogo d'essere"

io posso ritrovarmi e trovare la pace 
solo se so di non essere dove abitualmente sono 
ma di essere dove abitualmente non sono, 

devo ritrovare quel luogo di origine, riconoscerlo, 
lasciarlo apparire e custodirlo. 

Là dove l'Es permane, 
laggiù io devo arrivare. 


lunedì 22 febbraio 2016

La musica di Mozart fa bene al cuore




 2015 Dec;70(6):703-6. doi: 10.2143/AC.70.6.3120183.

Mozart, but not the Beatles, reduces systolic blood pressure in patients with myocardial infarction.

Abstract

INTRODUCTION:

Music reduces systolic blood pressure (SBP), diastolic blood pressure (DBP) and heart rate (HR) in various clinical situations, but it is unclear whether these changes occur in post-infarction patients.

AIM:

The aim is to evaluate the effects of music on patients with acute myocardial infarction (MI).

METHODS:

We evaluated patients with MI and we measured SBP, DBP, HR and double product (DP) two times before the intervention and one time every fifteen minutes with an ambulatory blood pressure monitor. We divided the patients into 3 groups: a group listening to music by Mozart; another listening to a Beatles collection and a third one listening to the radio news. Outcomes were the change in mean SBP, DBP, HR and DP with intervention.

RESULTS:

We enrolled 60 patients (20 in each group). SBP was significantly reduced in the Mozart group (variation of –7.2 ± 8.5 mmHg) compared to the Beatles group (–1.3 ± 6.2 mmHg) (P = 0.021) and the radio news group (0.6 ± 8.7 mmHg) (P = 0.003). DP was significantly reduced in the Mozart group compared with the News group (–668.5 ± 773.2 vs 31.6 ± 722.1 mmHg) (P = 0.006). There were no differences in DBP and HR.

CONCLUSION:

Patients with MI who listened Mozart had a reduction in SBP and DP compared to those who listened to the Beatles or the news.

KEYWORDS:Myocardial infarction; blood pressure; music; music therapy

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26717219


"La musica di Mozart fa bene al cuore e ai nervi. Che avesse effetti miracolosi per la mente è cosa risaputa. Alcuni recentissimi studi ora sanciscono l’efficacia della musica di Wolfgang Amadeus Mozart in specifici e circoscritti campi medici. La rivista scientifica Acta Cardiologica nel mese di dicembre 2015 ha pubblicato uno studio condotto dai ricercatori L.C. Gruhlke, M.C. Patrício e D.M. Moreira su pazienti affetti da infarto miocardico acuto (la necrosi dei miociti provocata da ischemia prolungata). Risultato: la musica di Amadeus, messa a confronto con quella dei Beatles e con le semplici news radiofoniche, registra significativi effetti positivi, laddove i brani dei 4 rocker di Liverpool e le notizie legate all’attualità non ne hanno alcuno. Lo studio, condotto su 60 pazienti divisi in tre gruppi da 20 ciascuno, ha dimostrato infatti che i soggetti interessati dalla patologia beneficiano di una sostanziale riduzione della pressione sanguigna sistolica, quella che si va a registrare durante la contrazione ventricolare: ma ben inteso, qualora e solo se sintonizzati sulle frequenze mozartiane."
(http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/15/salute-le-note-di-mozart-fanno-bene-alla-pressione-alta-ricadute-positive-anche-per-lepilessia/2453665/)


"La musica di Mozart fa bene al cuore e ai nervi, oltre che, cosa risaputa, sulla mente. 
La rivista scientifica "Acta Cardiologica" nel mese di dicembre 2015 ha pubblicato uno studio condotto dai ricercatori L.C. Gruhlke, M.C. Patrício e D.M. Moreira su pazienti affetti da infarto miocardico acuto. 
60 pazienti sottoposti all'ascolto della musica del salisburghese, hanno mostrato ai successivi esami, una sostanziale riduzione della pressione sanguigna sistolica, quella che si va a registrare durante la contrazione ventricolare. Effetto che non ha la musica dei Beatles, per esempio. 
(http://www.ogginotizie.it/326366-mozart-fa-bene-al-cuore-e-ai-nervi-per-davvero/)

Ciò che non potrà mai essere detto

Per capire Lacan, Umberto Eco confronta ciò che dice il francese con alcuni passi di Heidegger.

Il frammento parmenideo solitamente tradotto con "E' necessario dire e pensare che l'essente è" (ciò-che-è è) viene ricondotto da Heidegger - scrive Eco - ad una traduzione/comprensione che "... quasi ne rovescia il senso usuale: dove il"dire" diventa un "lasciar essere-posto-davanti" nel senso di un disvelare, lasciar apparire, e il pensare un "prendere cura", un custodire nella fedeltà."

(Quindi, se capisco bene, il frammento parmenideo diventerebbe, circa:

E' necessario lasciar apparire la realtà dicendola e con il pensiero (non verbale, aggiungerei) prendersi cura del suo apparire, in modo che ciò che è resti ciò che è, al di là di ciò che abbiamo lasciato che apparisse davanti a noi nel dirlo.

Insomma: parliamo pure, sì, lasciamoci parlare, ma senza illuderci che ciò che le parole fanno apparire come realtà possa essere la realtà, della quale il nostro pensiero dovrà prendersi cura fedelmente al di fuori delle parole.)

"Il linguaggio - continua Eco - lascia apparire qualcosa che il pensiero custodirà e lascerà vivere senza violentarlo e irrigidirlo in definizioni che lo determinino e lo uccidano. E ciò che viene lasciato apparire e viene preso in custodia è ciò che attira e lascia essere ogni dire e ogni pensare..." ma anche "... ciò che non potrà mai essere detto..." perché ciò che è nel suo apparirci con la parola non è l'Essere, cioè non è la sua "scaturigine".

(U. Eco, La struttura assente)

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sabato 20 febbraio 2016

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Grazie, uomo

Questo avevo scelto scorrendo gli scaffali della libreria ieri notte. Avevo aperto a caso e poco dopo, in quel breve tempo che ho di residua presenza quando arriva il sonno, lo avevo chiuso e poggiato sul tavolo accanto al letto continuando vagamente a pensare all'esempio dei tre condannati di Lacan riportato da Eco in uno dei capitoli dedicati al pensiero del francese. Avevo un sentimento di gratitudine per la chiarezza di Eco: così si fa, così vanno dette le cose se vuoi dire.

venerdì 19 febbraio 2016

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"Le cornacchie grigie sono tra gli uccelli meglio adattati alla sempre più veloce urbanizzazione. Sono capaci di vivere in città senza alcun problema e di trovare il cibo in ogni luogo. Sono abituate alla presenza dell'uomo eppure mantengono il loro stato selvatico senza mai avvicinarsi troppo. Si segnalano casi di relazioni molto strette tra l'uomo e la cornacchia grigia quando questa viene in contatto molto giovane con l'uomo; alcune di esse prendono domicilio sugli alberi circostanti la casa degli uomini che le hanno nutrite in giovane età e comunicano quotidianamente con essi... Le cornacchie sono animali incredibilmente intelligenti."

(Wikipedia)

mercoledì 17 febbraio 2016

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- Ehi! Di là del cancello! Ieri ho letto delle cose che mi hanno preso. Leggevo leggevo dimentico del dimenticabile, leggevo come capissi qualcosa di assai importante: vi può interessare sapere quello che ho letto? No? Meglio, meglio così, non saprei dire cosa ho letto, è diventato tutto una sensazione, solo una sensazione, senza più parole, non ricordo più nulla, dovrei pensarci ed è meglio, che non vi interessi, perché non ho voglia, di pensarci. Buongiorno, e scusate il distrurbo.  

domenica 14 febbraio 2016

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Progetto e destino


In una rielaborazione di un suo articolo sul Sole-24 Ore di tanti anni fa, Galimberti scrive che il dolore psichico come "errore della mente" (Eschilo) può insorgere essenzialmente in due modi:

- quando "ogni progetto che formuliamo su di noi è costretto a fare i conti con il fondo immodificabile di noi" da cui dovrebbe nascere e crescere la nostra identità, per cui accade che "il primo errore della mente è il tentativo di diventare ciò che non si è", "il progetto ha dimenticato il destino e il destino si vendica sul progetto consegnandolo al sogno"

- quando non riusciamo a "diventare ciò che siamo", e questo avviene - così si può leggere nel testo - perché non "avvertiamo" chi siamo, o "resistiamo" a far vivere chi siamo anche se una qualche consapevolezza ne abbiamo. "Questa riserva di noi, inesplorata e mai vissuta, è racchiusa in quel che fondamentalmente siamo e non viviamo, un destino sconosciuto e non vissuto che potrebbe fiorire se accettassimo di divenire ciò che in fondo siamo".

Quindi, riducendo ai minimi termini e fondendo le due possibilità di "errore della mente", possiamo trovarci di fatto in un progetto di vita che non è espressione del nostro destino, o perché testardamente e ciecamente perseguiamo un progetto di vita che con il nostro destino ha poco a che fare (diventare ciò che non siamo), o perché, per un motivo o per l'altro, non riusciamo a realizzare il nostro destino (non diventare ciò che siamo). Il risultato mi sembra lo stesso, un divario doloroso tra destino e progetto.

Ma quando le cose stanno così, quando si soffre per questi "errori della mente" e prendiamo atto della nostra sofferenza, possiamo fare qualcosa, possiamo prenderci cura di noi?
Ad essere ancora più precisi, tanto per cominciare: il progetto lo posso conoscere abbastanza facilmente, sta nelle cose che ho fatto e faccio, sta nel modo in cui mi metto in rapporto con gli altri, sta nella mia storia manifesta. Ma il destino: è conoscibile questo destino, il cui divario dal progetto di vita in atto provocherebbe sofferenza?

Sì, volendo conoscerlo. Galimberti indica: sarebbe contenuto, il nostro destino non vissuto e occultato, nella "riserva di possibilità inespresse, di parole taciute, di sentimenti contratti, di sogni dimenticati, di futuri chiusi, di passati incombenti" che forse già un poco sappiamo di noi, e che possiamo comunque - volendo - conoscere meglio, conoscere.

(U. Galimberti, Paesaggi dell'anima, Cura e verità)

Genzano, Olmata


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sabato 13 febbraio 2016

Terra lago terra mare cielo


Flamenco 2000 - 4



Andavamo con i paraocchi
con intrasformabile andatura

a testa china correndo in avanti
senza aspettare il varco nel sonno di Polifemo

così ci siamo rotti la testa
contro le porte dipinte sui muri

siamo entrati negli specchi
nel vuoto di sconfinate derisioni

gemevamo di nascosto
a stiravamo sorrisi salve come va?

Ahi, uomo assetato!
volevi acqua e trovavi petrolio!

mercoledì 10 febbraio 2016

Flamenco 2000 - 3


Dicevamo di scommettere
e grondavamo certezze

tagliavamo e cucivamo come sarti samurai
seguendo il filo insanguinato della logica

e già ci copriva una polvere di rapido oblio
già ci vestiva la tela tessuta dai ragni

Ahi, uomo assetato,
cercavi acqua e trovavi fuoco!


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martedì 9 febbraio 2016

Flamenco 2000 - 2


Abbiamo rischiato l'oblio
mentre cercavamo tra i rifiuti dell'impossibile

mentre cercavamo felicità senza dio né coltelli
tra indifferenti e ostili

mentre cercavamo le cose nelle parole
nel bianco silenzio tra cose e parole

insieme ad altri dicendo
che presto – presto!

avremmo respirato l'aria nuova
dei Giardini dell'Uomo

Ahi, uomo! I Giardini!
Il presente è al mercato.




lunedì 8 febbraio 2016

Flamenco 2000 - 1

                                              

C'è un rumore nel silenzio del verde bagnato
delle foglie dei cespugli selvaggi sotto la pioggia

la vita indifferente della natura in cui nascemmo
la terra umida di umori di immemori animali


lo sguardo attonito di uomini primitivi
e tornando non avevo più fame


non avevo più sete
non avevo più voglia di stare a guardare


tra le cose e l'infinito
tutto era successivo.

Brucia senza ceneri
il fuoco dell'ora.
Vai, uomo! - grida
battendo coi piedi la terra!


sabato 6 febbraio 2016

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Certo

“All'inizio dei miei studi sul buddhismo, mi recai in Thailandia insieme ad alcuni amici e insegnanti e visitai il monastero di un famoso maestro di meditazione di nome Achaan Chah.  
Appena arrivati, e radunatici intorno a lui, gli chiedemmo di spiegarci gli insegnamenti del Buddha. Con un cenno indicò il bicchiere che aveva accanto. 
"Vedete questo bicchiere?", ci domandò. "Mi piace molto. Contiene l’acqua a meraviglia. Quando è investito dalla luce del sole manda dei bei riflessi. Se gli dò un colpetto, tintinna piacevolmente. Eppure, per quanto mi riguarda questo bicchiere è già rotto. Se un colpo di vento lo fa cadere, o lo urto con il gomito e si rompe, dico: "Certo". Ma se capisco che il bicchiere è già rotto, ogni istante in cui mi è dato di averlo è prezioso".


(M. Epstein, Psicoterapia senza l’io)

giovedì 4 febbraio 2016

Vertigine oggettiva



“Come il gas, l'acqua, la luce, così i mezzi di comunicazione digitali, indipendentemente dall'uso che ne facciamo, ci portano gli avvenimenti in casa dispensandoci dall'andare verso di loro. Ciò trasforma il nostro modo di fare esperienza, perché chi vuol sapere cosa avviene fuori casa deve andare a casa, e solo allora l'universo si riflette per noi e si offre a portata di mano. Non più il viandante che esplora il mondo, ma il mondo che si offre al sedentario che è al mondo proprio perché non lo percorre, e al limite neppure lo abita.
La rivoluzione ha del copernicano, perché il mondo non è più ciò che sta, ma a stare (seduto) è l'uomo, e il mondo gli gira attorno, capovolgendo i termini con cui, dal giorno in cui è comparso sulla terra, l'uomo ha fatto esperienza.”

(U. Galimberti, I miti del nostro tempo; G. Anders, L’uomo è antiquato)
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Con lo smartphone non c'è bisogno di andare a casa per sapere cosa avviene nel mondo. Gli eremiti di massa viaggiano negli stessi vagoni della metro o del treno, frequentano le stesse sale d'aspetto.

mercoledì 3 febbraio 2016

Contemporaneamente, non insieme


“… ribaltamento tra interiorità ed esteriorità, e più in generale tra interno ed esterno. Se un tempo la famiglia era l'interno in cui si scambiavano quei tratti affettivi d'ira e d’amore e più in generale quella libertà espressiva che occorreva contenere fuori, all'esterno, oggi, grazie alla capillare diffusione della televisione, del computer o del cellulare sempre accesi, la famiglia è il luogo in cui è di casa il mondo esterno, reale o fittizio che sia. 

Come opportunamente fa notare Anders, la casa reale, con le sue quattro mura e i suoi quattro mobili, "è ridotta a un container per la ricezione del mondo esterno" via cavo, via telefono, via  etere, e quanto più il lontano si avvicina, tanto più il vicino, la realtà di casa, quella familiare, si allontana e impallidisce. 

Né, a parere di Anders, la situazione migliora quando la famiglia è "raccolta" intorno alla televisione, perché, a differenza della tavola intorno a cui un tempo ci si sedeva - facendo scorrere, in un viavai continuo, sentimenti e risentimenti, interessi e gelosie, sguardi e conversazioni di cui si nutriva la trama della famiglia -  davanti alla televisione la famiglia è "raccolta non più in direzione centripeta, ma centrifuga”, solo perché ciascuno, che non è più con l'altro, ma solo accanto all'altro, prenda il volo verso una fuga solitaria che "non condivide con nessuno, o al massimo con un milione di solitari del consumo di massa, che contemporaneamente a lui, ma non insieme a lui, guardano lo schermo"" 

(U. Galimberti, I miti del nostro tempo; G. Anders, L’uomo è antiquato)

martedì 2 febbraio 2016

Eremiti di massa




"Qui non si tratta di enfatizzare o demonizzare le enormi potenzialità presenti e future dei mezzi di comunicazione, ma di capire come l’uomo profondamente si trasforma per effetto di questo potenziamento. Allo scopo è necessario far piazza pulita di quei luoghi comuni, per non dire idee arretrate, che fanno da tacita guida a quasi tutte le riflessioni sui media, e in particolare a quella persuasione secondo la quale l'uomo può usare le tecniche comunicative come qualcosa di neutrale rispetto alla sua natura, senza neppure il sospetto che la natura umana possa modificarsi proprio in base alle modalità con cui si declina tecnicamente nella comunicazione
L'uomo, infatti, non è qualcosa che prescinde dal modo con cui manipola il mondo, e trascurare questa relazione significa non rendersi conto che a trasformarsi non saranno solo i mezzi di comunicazione, ma l'uomo stesso. 

La radio, la televisione, il computer, il cellulare ci plasmano qualunque sia lo scopo per cui li impieghiamo. Una trasmissione televisiva edificante e una degradante, per diversi che siano gli scopi a cui tendono, hanno in comune, come osserva Anders (*) “il fatto che noi non vi prendiamo parte, ma ne consumiamo soltanto la sua immagine”  Il "mezzo", indipendentemente dallo "scopo", ci istituisce come spettatori e non come partecipi di un'esperienza o attori di un evento.

Questa condizione, che vale per la televisione, vale in maniera esponenziale per internet, dove il consumo in comune del mezzo non equivale a una reale esperienza comune.   (…) Lo scambio ha un andamento solipsistico dove, come vuole la metafora di Anders, un numero infinito di "eremiti di massa" comunicano le vedute del mondo quale appare dal loro eremo, separati l'uno dall'altro, chiusi nel loro guscio come i monaci di un tempo sui picchi delle alture, "non già per rinunciare al mondo, bensì per non perdere, per l'amor del cielo, nemmeno una briciola del mondo in effigie". 

E così, sotto la falsa rappresentazione di un computer personale (personal computer), ciò che si produce è sempre di più l’uomo di massa, e per generarlo non occorrono maree oceaniche ma oceaniche solitudini che, sotto l'apparente difesa del diritto all'individualità, producono, come lavoratori a domicilio, beni di massa e, come fruitori a domicilio, consumano gli stessi beni di massa che altre solitudini hanno prodotto."

(U. Galimberti, I miti del nostro tempo; (*) G. Anders, L'uomo è antiquato)