lunedì 29 febbraio 2016

Intervisione

La mia tesi in psicologia aveva come titolo "La funzione dello sguardo nell'interazione sociale". Era il 1973, dell'importanza delle comunicazioni non verbali si sapeva meno di quanto si sa oggi. Mi aveva dato da pensare l'esperienza non sperimentale che aveva fatto uno psichiatra americano. Aveva notato che se parlando con qualcuno guardiamo non esattamente i suoi occhi come siamo soliti fare, ma spostiamo un poco l'asse dello sguardo - per esempio guardiamo verso uno dei suoi orecchi (alla distanza di normale conversazione lo spostamento è minimo) - l'altro prova disagio. In realtà, avevo poi scoperto, non è solo la direzione dello sguardo che viene modificata ma anche altri aspetti dell'interazione, per esempio il ritmo delle segnalazioni che inviamo all'altro con lo sguardo per dirgli "non ho ancora finito di parlare, aspetta" "per ora ho finito di dirti, ti lascio la parola" "ho detto tutto quello che avevo da dirti, ti saluto": cioè - stili personali a parte - il nostro sguardo non è fisso mentre parliamo con qualcuno, ma lo guardiamo, distogliamo lo sguardo, lo riguardiamo e distogliamo di nuovo lo sguardo o lo manteniamo a seconda di come sta andando lo scambio verbale e delle nostre reazioni e intenzioni. Insomma, se ti metti lì a guardargli un orecchio invece che gli occhi, l'altro può non accorgersi consapevolmente dove lo stai guardando, ma la tua fissità e la mimica certamente diversa che avrai assunto per quello che stai facendo a sua insaputa gli dicono che c'è qualcosa che non va. Magari l'altro si accorge anche che non sbattiamo le palpebre come al solito, o chissà quanti altri aspetti legge come diversi: la comunicazione non verbale è molto complessa, anche quando è soltanto visiva e uditiva. Siamo tutti grandi interpreti, ci nasciamo e, chi più chi meno, sviluppiamo tutti la complessissima capacità di leggere i segnali non verbali degli altri esseri umani, soprattutto dei "nostri"- mammina e forse papà, fratelli chissà, famiglia sorvolando, gruppo eccomi che arrivo, collettivo olé, classe sociale ahiaià, dialetti linguistici aho!, dialetti comportamentali. Tragico ogni anno è il dato dei feriti e disastrati per aver creduto più al contenuto linguistico - quello che l'altro ha detto - che a ciò che avevano pur ben capito dai segnali non verbali.

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