sabato 30 marzo 2013

La luce a volte cambia da un momento all'altro


"... anche la forza che fermenta e vegeta nella pianta, persino la forza in virtù della quale il cristallo si forma; quella che volge l'ago della bussola verso il polo Nord, quella per cui si prende la scossa al contatto di metalli eterogenei; quella che nelle affinità elettive degli elementi si manifesta come fuga e ricerca, separazione e congiunzione; infine addirittura la gravità, che agisce tanto potentemente in ogni materia e attira la pietra verso la terra e la terra verso il sole; tutte diverse soltanto nell'apparenza fenomenica, ma identiche secondo la loro intima essenza..."  (pp 134-135)

Poco più avanti, Schopenhauer avverte i lettori: ho scelto per la "cosa in sé" di ogni realtà il termine "volontà", mi rendo conto che può trarre in inganno e vi chiedo di non andare in automatico: se date alla "volontà" che è per me l'essenza intima di tutta la realtà i significati che finora avete dato a questa parola, non ci capiamo, ed è un peccato, perché io vi sto indicando non qualcosa di lontano e misterioso: "... la parola volontà, che come una parola magica deve dischiuderci l'intima essenza di ogni cosa in natura, non è affatto un'entità sconosciuta, un qualcosa di ottenuto per mezzo di sillogismi, ma assolutamente un'entità immediatamente conosciuta..."
Errore a cui noi lettori possiamo andare incontro, dice Schopenhauer, è quello di assumere la volontà del mondo sotto il concetto di forza. Alla base del concetto di forza c'è la conoscenza del mondo oggettivo, il mondo dei fenomeni, cioè la nostra rappresentazione sensoriale, esterna, oggettiva, delle cose. E' il mondo in cui regnano la causa e l'effetto, in cui ogni fenomeno ha una causa, un'origine,  che vediamo direttamente o possiamo immaginare sulla base dell'esperienza oggettiva applicando i nostri schemi conoscitivi spazio-temporale e causale. "Per contro, il concetto di VOLONTA' è l'unico, fra tutti quelli possibili a NON avere la propria origine nel fenomeno né nella semplice rappresentazione, ma è un concetto che viene dall'interno, che ha origine dalla coscienza più immediata di ognuno...in questo caso il conoscente e il conosciuto coincidono.(...) Se assumiamo il concetto di VOLONTA' sotto quello di FORZA rinunceremo all'unica conoscenza immediata che abbiamo sull'intima essenza del mondo..." (p 137)

Non capisco questo passaggio. Schopenhauer scrive che "... il concetto di VOLONTA' è l'unico... a NON avere la propria origine nel fenomeno né nella semplice rappresentazione, ma è un concetto che viene dall'interno..." - ma, chiedo, è il concetto di volontà a non avere la propria origine dal fenomeno né da nessuna rappresentazione o è la cosa, indicata dal concetto?
Qui Schopenhauer fa confusione, mi pare: da quello che ha scritto finora, è la COSA che conosciamo immediatamente, è la COSA che l'essere umano ha la possibilità di conoscere nel proprio essere corpo - l'unico corpo che conosce come oggetto tra gli oggetti e, in relazione con esso, come COSA IN SE' che lui chiama volontà e che estende a tutto il mondo.

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, N.C. 2011)

giovedì 28 marzo 2013

Il visibile e l'immaginabile






Sostituendo il termine "volontà" con quello di "energia", quello che scrive Schopenhauer può essere letto così: non soltanto negli esseri umani e negli animali possiamo riconoscere quella stessa energia di cui possiamo avere conoscenza in relazione al nostro corpo, e pensare che quella stessa energia è la loro intima essenza come lo è per il nostro corpo: la riflessione continuata ci porterà a conoscere "... anche la forza che fermenta e vegeta nella pianta, persino la forza in virtù della quale il cristallo si forma; quella che volge l'ago della bussola verso il polo Nord, quella per cui si prende la scossa al contatto di metalli eterogenei; quella che nelle affinità elettive degli elementi si manifesta come fuga e ricerca, separazione e congiunzione; infine addirittura la gravità, che agisce tanto potentemente in ogni materia e attira la pietra verso la terra e la terra verso il sole; tutte diverse soltanto nell'apparenza fenomenica, ma identiche secondo la loro intima essenza..." come quella cosa a noi nota così intimamente, in modo immediato e meglio di ogni altra - che Schopenhauer chiama volontà, termine che può attirarci verso ambiti di significato che rendono le sue affermazioni meno facili da capire di quando si sostituisce il termine volontà per esempio con quello di energia. "Essa è la parte più intima, il nucleo di ogni singolo essere e, allo stesso modo, della totalità. Essa si manifesta in ogni forza cieca della natura e anche nell'azione ponderata dell'uomo: la grande diversità fra le due, tuttavia, riguarda soltando il grado dell'apparenza fenomenica, non già l'essenza di ciò che appare."

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, N.C. 2011 pp 134-135)

lunedì 25 marzo 2013

La volontà della tromba


Abbagnano: "Essendo al di là del fenomeno, la Volontà presenta caratteri contrapposti a quelli del mondo della rappresentazione, in quanto si sottrae alle forme proprie di quest'ultimo: lo spazio, il tempo e la causalità. Innanzitutto la Volontà primordiale è inconscia, poiché la consapevolezza e l'intelletto costituiscono soltanto delle sue possibili manifestazioni secondarie. Di conseguenza, il termine Volontà, preso in senso metafisico-schopenhaueriano, non si identifica con quello di volontà cosciente, ma con il concetto più generale di energia o di impulso (e in questo senso si comprende perchè Schopenhauer attribuisca la volontà anche alla materia inorganica e ai vegetali)."

Ecco: spazio, tempo, causalità ci permettono di avere esperienza-rappresentazione di questa immagine di un uomo che suona la tromba nella strada principale di Genzano, l'Appia che lo attraversa e che lì si chiama Corso Antonio Gramsci, e per quel gioco delle rappresentazioni che ci fanno perdere la percezione fredda ed esatta della realtà, passiamo dall'immagine, una fotografia, alla realtà rappresentata come stessimo lì e vedessimo e sentissimo il suono di quella tromba - applichiamo le nostre coordinate spazio-temporali alla realtà rappresentata, siamo lì nello spazio e nel tempo rappresentato e possiamo farci un motivo, una causa, una volontà particolare, di quel suonare la tromba sotto un immaginabile cielo grigio - volontà particolare di quell'uomo, ma, stando a quello che vado leggendo di Schopenhauer, il suono di quella tromba è anche il suono di una volontà con la maiuscola, di cui quell'uomo che soffia nello strumento è portatore e manifestazione, ma non solo lui: la stessa tromba, l'inferriata, il muro, le lampade, le pietre sotto le scarpe di quell'uomo, hanno, in sé, essere, energia, movimento, volontà, la stessa di cui ciascuno di noi può avere percezione immediata in relazione con il proprio corpo.

Dias




Scusi, non l'avevo vista


 Pensavo a quello che scrive Schopenhauer sulla "volontà". Mi sembrava di capire quello che scrive, ma dovevo fare attenzione al termine "volontà", che avvertivo avere una sua tendenza a portarmi via, forse - qui il forse è necessario doppio - da quello che forse capisco. Quella "percezione", quella realtà "percepita"  che lui chiama "volontà", se è, se esiste, se ha consistenza e centralità così generale e immediata, l'uomo la ha sentita, percepita, avvertita, capita in giro per il mondo nel corso della sua esistenza come specie, ed è stata certamente detta da qualcuno di quelli portati a dire oltre che sentire.
Già mentre leggevo e poi riportavo qui alcuni passi nel post precedente mi era venuto in mente, a proposito della "volontà" di Schopenhauer, quello che Matte Blanco diceva dell'inconscio, e corrisponderebbe agli strati più profondi - e questa è prima associazione che deriva dai miei interessi nell'ambito della psicoanalisi. Poi mi si è affacciata anche l'idea che abbia a che fare con il Tao, la "via" indicibile;  anche, ho pensato all'energia, l'energia nella materia e l'identità di energia e materia; anche, il pensiero che la "volontà" come la intende Schopenhauer è sovrapponibile a una certa idea che alcuni uomini hanno chiamato "dio".
E' l'essere stesso, il tutto nel suo scorrere, quindi anche il nostro essere, e noi, da quello che scrive Schopenhauer, siamo in grado di sentirlo, conoscerlo con immediatezza, in noi stessi, nel metterci in relazione con il nostro corpo?


Chi ha fatto la voce "Il pensiero di Schopenahuer" in Wikipedia scrive:

 "La radice noumenica del nostro io è la volontà: noi siamo volontà di vivere, un impulso irrazionale che ci spinge, malgrado noi stessi, a vivere e ad agire.
La materialità dell'io, la sua attività («l'azione del corpo non è che l'atto della volontà oggettivato») ci mostra due facce diverse:
  -  una esteriore, quella che si offre alla rappresentazione per cui esso appare corpo
  -  una interiore per cui esso si svela come tendenza, sforzo, brama di vivere, volontà di vivere...


La volontà esula dal fenomenico quindi essa è: 
 - inconscia, infatti è più un impulso, è un'energia piuttosto che volontà cosciente; 
unica, perché non essendo fenomeno ma essenza della realtà, stando al di fuori dello spazio e del tempo si sottrae al principium individuationis
eterna, cioè senza principio né fine, perché al di là del tempo; 
incausata, poiché è unica quindi oltre la categoria di causa; 
irrazionale, poiché la ragione esiste solo nel mondo della rappresentazione. Essa infatti non persegue nessuno scopo fenomenico se non quello di accrescere se stessa."

sabato 23 marzo 2013

Un forzato, momentaneo volere o non volere


Noi conosciamo il nostro corpo in due modi diversi, scrive Schopenhauer:
- come OGGETTO materiale tra altri oggetti materiali (il mondo intorno a noi che percepiamo e del quale abbiamo perciò una rappresentazione, così come abbiamo una rappresentazione del nostro corpo; lo vediamo, lo tocchiamo, lo sentiamo e sappiamo che è soggetto alle forze fisiche come qualsiasi altro corpo, qualsiasi altro oggetto materiale) e
- come RELAZIONE con il corpo materiale che siamo, molto diversa dalla relazione che abbiamo con qualsiasi altro corpo, qualsiasi altro oggetto: in questa relazione con noi stessi, in questo sentirci, questo sentire il nostro corpo essere, vivere, muoversi, agire, fare, abbiamo esperienza diretta di qualcosa, che egli chiama  volontà.

"Il soggetto conoscente è individuo appunto in virtù di questa particolare relazione con quell'unico corpo che, considerato al di fuori di essa, è per lui soltanto una rappresentazione uguale a tutte le altre. Quella relazione però, in forza della quale il soggetto conoscente è INDIVIDUO, è proprio per questo soltanto fra lui ed una sola fra tutte le sue rappresentazioni, perciò egli è cosciente soltanto di questa non semplicemente come di una rappresentazione, ma al tempo stesso in tutt'altro modo, cioè come di una volontà." (p 128)

Questa doppia conoscenza che noi abbiamo del nostro corpo ci fornisce, su di noi in noi stessi, cioè - oltre la rappresentazione oggettiva che abbiamo di noi stessi - sul nostro muoverci e agire come pure sulle nostre sensazioni di piacere o di dolore "quella spiegazione che noi non abbiamo direttamente sull'essenza, sull'azione e sulla passività di tutti gli altri oggetti reali." (p 128)

Insomma, nella relazione con me stesso corpo posso conoscere qualcosa che non posso conoscere direttamente per nessun altro corpo-oggetto-rappresentazione del mondo: posso conoscere me in-me, ma di nessun altro corpo, di nessuna altra realtà posso conoscere l'in-sé di quella realtà.
La "cosa in sé" di ogni realtà che non sia me stesso non la posso conoscere direttamente; la "cosa in sé" di me stesso, sì. Schopenhauer, questa "cosa in sé" di ognuno di noi, che per ciascuno è "l'immediatamente conosciuto", la chiama VOLONTA'.

Volontà che lui intende in modo non identificabile con il significato comune di questa parola.
Ogni vero atto della nostra volontà, scrive Schopenhauer, è "subito ed inevitabilmente" anche un movimento del nostro corpo; non possiamo "realmente volere l'atto senza percepire contemporaneamente che esso si presenta come un movimento del corpo. L'atto di volontà e l'azione del corpo non sono due stati diversi conosciuti obiettivamente, connessi dal vincolo della causalità; non sono in rapporto di causa ed effetto, ma sono una stessa identica cosa data in due modi totalmente diversi: da una parte in modo del tutto immediato, dall'altra nell'intuizione per l'intelletto." (p 124) (Intuizioni per l'intelletto per Schopenhauer sono anche tutte le rappresentazioni di realtà del mondo che ci circonda.)

"E' soltanto nella riflessione che volere e fare sono diversi; nella realtà essi sono una sola cosa. Ogni atto della volontà vero, autentico, immediato è subito e direttamente anche atto fenomenico del corpo, e ogni influsso sul corpo è subito e direttamente anche influsso sulla volontà e, come tale, si chiama dolore se è avverso alla volontà, benessere e voluttà se è ad essa conforme. Dolore e piacere non sono affatto rappresentazioni, bensì affezioni immediate della volontà nel suo fenomeno, il corpo, e un forzato, momentaneo volere o non volere l'impressione che esso subisce." (p 125)
Insomma, mentre la conoscenza del mondo non va oltre la possibilità che abbiamo di rappresentarcelo secondo le nostre modalità biologiche di funzionamento sensoriale, nella relazione con il nostro stesso essere mondo scopriamo qualcosa che può essere prezioso per andare oltre la rappresentazione di ciò che è.
"Dall'esterno non è mai possibile giungere all'essenza delle cose: per quanto si ricerchi, non si ricava nient'altro che immagini e nomi. Si è simili ad uno che gira intorno ad un castello cercando invano un ingresso e facendo intanto un abbozzo delle facciate: ed è effettivamente questa la strada percorsa da tutti i filosofi venuti prima di me." (p 123)


(Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, N.C. 2011)


venerdì 22 marzo 2013

In che modo tu possa trascorrere dolcemente la tua vita

 "Non si ritenne adeguato alla superiorità della ragione che l'essere che ne è fornito e che per mezzo di essa abbraccia e domina un'infinità di cose e di situazioni, ciò nonostante dovesse essere esposto a dolori così intensi, a timori così grandi e alle sofferenze generate dall'impeto violento della brama e della rinuncia; e si ritenne che l'uso appropriato della ragione dovesse sollevare l'uomo al di sopra di tutto ciò e potesse renderlo invulnerabile...
Si è visto che la privazione e la sofferenza non sono direttamente e necessariamente originate dal non avere, ma dal voler avere senza avere in realtà; che quindi questo voler avere è la condizione necessaria nella quale il non avere diventa privazione e causa dolore...
Ogni volta che un uomo perde in qualche modo il controllo, è atterrato dalla sciagura o si adira o si perde d'animo, egli manifesta in tal modo che trova le cose diverse da quelle che si era aspettato e che egli, di conseguenza, si era sbagliato, non conosceva il mondo e la vita, non sapeva come la natura inanimata per caso e la natura animata per fini contrapposti o per malvagità contrastino in ogni momento la volontà del singolo: egli non ha usato la sua ragione...
Anche ogni viva gioia  è dunque un errore, un'illusione, poiché nessun desiderio soddisfatto può appagare durevolmente, anche perché ogni possesso e ogni felicità sono concessi soltanto dal caso per un tempo indeterminato e, di conseguenza, possono essere revocati subito dopo... All'uomo saggio, perciò, saranno sempre lontani sia la felicità che il dolore e nessun evento turberà la sua atarassia (assenza di agitazione, di turbamento)...
L'etica stoica, presa nel suo insieme, è un tentativo assai stimabile e degno di considerazione di utilizzare il grande privilegio dell'uomo, la ragione, per un fine importante e benefico, quello cioè di sollevarlo al di sopra delle sofferenze e dei dolori che sono retaggio di ogni esistenza, con questo insegnamento: "In che modo tu possa trascorrere dolcemente la tua vita, senza essere sempre agitato e tormentato dalla bramosia, dal timore e dalla speranza di beni di scarsa utilità..." e farlo, appunto così, partecipe in sommo grado della dignità che gli spetta, come creatura ragionevole... Per quanto però quel fine sia in certa misura raggiungibile mediante l'uso della ragione e per mezzo di un'etica semplicemente ragionevole, manca tuttavia moltissimo perché si realizzi qualcosa di perfetto in questo genere e perché la ragione rettamente usata ci possa liberare veramente da tutti i gravami e da tutte le sofferenze della vita e ci possa condurre alla felicità. C'è invece una piena contraddizione nel voler vivere senza soffrire...
Questa contraddizione si rivela già anche in quell'etica della ragion pura, per il fatto che lo Stoico è costretto a inserire nel suo insegnamento per una vita felice (giacché questa resta sempre la sua etica) una raccomandazione al suicidio... più precisamente nel caso in cui le sofferenze del corpo, che non possono essere eliminate filosoficamente da principii e sillogismi, siano prevalenti e inguaribili e il suo unico fine, la felicità, sia pertanto frustrato e che per sottrarsi alla sofferenza non resta altro che la morte, che dovrà essere accolta con la stessa indifferenza di ogni altra medicina...
A questo punto si fa palese un forte contrasto fra l'etica stoica e tutte quelle che pongono come fine la virtù in sé e in maniera diretta, anche con le più atroci sofferenze e non vogliono che si ponga fine alla vita per sottrarsi ad esse, benché nessuna di loro sappia enunciare il vero motivo per rifiutare il suicidio... La suddetta contraddizione interna, della quale l'etica stoica è affetta nel suo stesso pensiero fondamentale, si mostra anche nel fatto che il suo ideale, il saggio stoico, nella stessa esposizione di quell'etica non è mai riuscito ad essere vitale o ad avere una verità poetica interiore, ma resta un rigido manichino di legno, di cui non si sa cosa fare, che non sa lui stesso che farne della sua saggezza e la cui perfetta calma, soddisfazione, felicità si oppongono addirittura alla natura umana e non ci fanno pervenire a nessuna rappresentazione intuitiva di essa."

(Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, N.C. 2011, pp 111-116)

Moltitudini


lunedì 18 marzo 2013

Le parole per dire e le parole per nascondere



"L'animale avverte le sensazioni ed intuisce. L'uomo, oltre a ciò, PENSA e SA: entrambi VOGLIONO. L'animale comunica le sue sensazioni e il suo umore attraverso movimenti ed espressioni sonore; l'uomo comunica ad altri il suo pensiero o lo nasconde con il linguaggio."
 (Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, N.C. 2011 p. 58)

Manca un altro "oltre a ciò". L'uomo anche, come l'animale, comunica le sue sensazioni e il suo umore attraverso movimenti ed espressioni sonore; oltre a ciò, l'uomo comunica ad altri il suo pensiero o lo nasconde con il linguaggio.
Non so se Schopenhauer con il termine tradotto qui con "linguaggio" intendeva anche il silenzio, il non dire il proprio pensiero sensazioni ed umore tacendo - i silenzi come parte del linguaggio - oppure voleva dire che, come spesso accade, le parole pronunciate o scritte possono essere usate per non dire, per nascondere.

venerdì 15 marzo 2013

Stupore di metà marzo


Albaeri


Albori


Tra lago e mare

Castel Gandolfo. Qui sotto, nella foto, il lago Albano. Più propriamente che "di Albano": il lacus albanus era così chiamato dai tempi di Alba Longa. Detto anche lago di Castel Gandolfo, che è la cittadina che si vede in foto - con la sede papale: si capisce qual'è, non è una delle tante case. E' lago vulcanico, il lago vulcanico più profondo d'Italia. Ricordo quell'uomo che incontrai in una sala d'attesa a Genzano che mi parlava del figlio geologo e delle ricerche fatte con il batiscafo Trieste per arrivare a toccare il fondo del lago, senza esito: il Trieste era arrivato a toccare il fondo della fossa delle Marianne a undicimilacinquecento metri ma non toccò mai il fondo del lago albano - lo dovettero riportare su prima che scendendo ancora si perdesse per sempre negli imi misteriori di quell'acqua apparentemente cheta. "Se la terra ha un centro, il lago ci arriva." mi disse accostandosi di più al mio viso. Un favola, mi raccontava, che di favole da quel luogo e di quel luogo ne vengono raccontate tante in giro per il mondo. Si sa, comunque, che è il lago vulcanico più profondo d'Italia: centosettanta metri, dicono. Il lago albano non ha emissari. Quello artificiale ho letto che non funziona più. Ricordo, qualche anno fa, le foto delle centinaia e centinaia di pesci, alcuni enormi, venuti a galla morti chissà per quale motivo. Forse per qualche velenoso inquinamento. "Va a sapere..." aggiungeva un mio cugino che abita tra Castel Gandolfo e Albano. Comunque, non acque tranquille, ecco. Non acque pulite, certamente. E lassù, nella foto, sotto il cielo, si vede il mare. Pure quello, si sa, con gravi problemi di inquinamento. Però, mare. Altro colore, altri spazi. L'uomo inquina tutto. Ma una differenza ci sarà, tra lago e mare.

domenica 10 marzo 2013

Fratelli d'Iterra



"... nell'uomo soltanto fra tutti gli esseri che popolano la terra è apparso un altro potere conoscitivo, è spuntata una coscienza del tutto nuova, che molto propriamente e con rigorosa precisione viene chiamata RIFLESSIONE: poiché in realtà è un riflesso, una derivazione da quella conoscenza intuitiva.(...) Questa nuova e più potenziata coscienza, questo riflesso astratto di ogni intuizione nel concetto non intuitivo della ragione è ciò che, esclusivamente, conferisce all'uomo quella accortezza che distingue così nettamente la sua coscienza da quella degli animali e in virtù della quale tutto il suo comportamento su questa terra riesce così diverso da quello dei suoi fratelli privi di ragione."

(Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, N.C. 2011 p. 57)

sabato 9 marzo 2013

Il primo occhio


 "... la massa originaria ha dovuto attraversare una lunga serie di trasformazioni, prima che il primo occhio potesse aprirsi; pur tuttavia l'esistenza di quell'intero mondo dipende sempre da questo primo occhio che si è aperto - anche se esso sia appartenuto ad un insetto - come ciò che necessariamente media la conoscenza, per la quale e nella quale soltanto quello stesso mondo esiste e senza la quale esso non sarebbe neppure pensabile.... senza quell'occhio, cioè al di fuori della conoscenza, non vi era nemmeno nessun prima, nessun tempo."

(Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, N.C. 2011, pp 51-52)

Lontano da qui e tanto tempo fa era altro


Lì, su una colonna a sinistra, hanno disegnato una svastica.Qui, ora.

martedì 5 marzo 2013

L'eco dell'ornitorinco


"Schopenhauer ribadisce continuamente che l'esperienza diretta - nella quale egli include, insieme alle percezioni sensoriali, anche i pensieri e le emozioni autenticamente personali - è più preziosa per la nostra comprensione del mondo di ciò che, tramite l'uso dei concetti, apprendiamo dall'esperienza altrui attraverso la conversazione, l'insegnamento scolastico, la lettura, lo studio e così via."


(Bryan Magee, L'arte di stupirsi)


lunedì 4 marzo 2013

Notte, uno studio


FAUST: (......) Che io pianga una sola lacrima – e sono ancora della terra, ancora della vita!

MEFISTOFELE: I miei omaggi al chiarissimo maestro! Lei mi ha fatto davvero sudare. In che cosa  posso servirla?


FAUST: Chi sei? Un fantasma?...Chi sei?


MEFISTOFELE: Una parte di quella forza che vuole sempre il male – e produce sempre il bene.


FAUST: Lascia stare gli enigmi. Tu chi sei?


MEFISTOFELE: Io sono lo spirito che sempre nega. E con ragione, perché tutto ciò che nasce non merita altro che di scomparire: e dunque sarebbe meglio che non nascesse nulla.


(J.W.Goethe, Faust, Parte prima)

Quadrante sud