martedì 30 aprile 2013

Le due mani






"Gli oggetti reali sono quasi sempre esemplari imperfetti dell'idea che in essi si manifesta; il genio perciò ha bisogno della fantasia non già per vedere nelle cose quello che la natura ha effettivamente formato, bensì ciò che essa si è sforzata di formare ma che a causa della lotta tra le sue diverse forme non è riuscita a portare a compimento. La fantasia allarga dunque l'orizzonte visivo del genio al di là degli oggetti che nella realtà si presentano alla sua persona. Compagna della fantasia è una forza straordinaria, che è condizione della genialità. La fantasia non è prova di genialità, anzi anche uomini assolutamente privi di genialità possiedono molta fantasia." (p 213)

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, N.C. 2011)

Lettica 3


Traspariva chiaramente attraverso la follia




"... d'altronde io devo in parte ricordare che, nelle frequenti visite ai manicomi, ho trovato singoli soggetti dotati di innegabili, grandi talenti, la cui genialità traspariva chiaramente attraverso la follia che nel loro caso, però, aveva preso completamente il sopravvento...   Una chiara e completa analisi dell'essenza della pazzia, un'idea giusta ed evidente di ciò che distingua propriamente il pazzo dal sano di mente non è stata ancora trovata, per quanto io ne sappia. Non si può disconoscere che i pazzi abbiano la ragione e l'intelletto, poiché essi parlano e percepiscono, spesso traggono conclusioni assai corrette; essi inoltre osservano, di norma, la realtà presente con estrema precisione e riconoscono il nesso tra causa ed effetto. Le visioni, al pari dei deliri febbrili, non sono un sintomo abituale di pazzia; il delirio altera l'intuizione, la follia altera i pensieri. Per lo più, infatti, i folli non si sbagliano affatto nella conoscenza del PRESENTE immediato, ma il loro farneticare si riferisce alla REALTA' ASSENTE e al PASSATO e soltanto in tal modo al legame di entrambi con il presente..." (p 218)

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, N.C. 2011)


lunedì 29 aprile 2013

Il contrario della contemplazione


"L'uomo comune è incapace di una durevole considerazione pienamente disinteressata in ogni senso, che costituisce la contemplazione, egli può rivolgere la sua attenzione alle cose solo in quanto esse abbiano una qualche relazione con la sua volontà, poiché sotto questo aspetto, che richiede sempre e soltanto la conoscenza delle relazioni, il concetto astratto è sufficiente e anche più utile. L'uomo comune non rimane a lungo nella mera intuizione, non fissa a lungo il suo sguardo su un oggetto, ma in tutto ciò che gli si presenta cerca rapidamente il concetto sotto cui sia da riportare, così come il pigro cerca la sedia e non s'interessa poi di nient'altro; perciò, così rapidamente, egli viene a capo di ogni cosa, di opere d'arte, di begli oggetti naturali, e dello spettacolo sempre e dovunque significativo della vita in tutte le sue scene. Egli non si arresta, ma cerca solamente la propria strada nella vita ed eventualmente anche tutto ciò che una volta o l'altra potrebbe diventare la propria strada, quindi notizie topografiche nel senso più ampio; per l'osservazione della vita stessa in quanto tale, non perde tempo. L'uomo di genio, all'opposto, la cui forza conoscitiva in virtù della sua eccedenza si sottrae al servizio della volontà per parte del suo tempo, si ferma a considerare la vita stessa, si sforza di cogliere la natura di ogni cosa, non le relazioni di questa con altre cose, trascura frequentemente di considerare la propria strada nella vita, percorrendola il più delle volte in modo maldestro. Mentre per l'uomo comune la facoltà conoscitiva è la lanterna che illumina la sua strada, per l'uomo di genio essa è il sole che rivela il mondo. Questo modo così diverso di guardare dentro la vita diventa visibile nell'aspetto esteriore: lo sguardo dell'uomo il cui genio vive ed opera è vivace e fermo al tempo stesso, reca il carattere della serenità, della contemplazione; nello sguardo degli altri, invece, quando esso non sia ottuso o freddo, come il più delle volte, è facilmente osservabile il vero contrario della contemplazione: lo spiare." (p 214)

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, N.C. 2011)


Tor Bella Monaca





Plenitud


"Mentre la scienza, seguendo la corrente incessante e instabile delle cause e degli effetti, ad ogni meta raggiunta è continuamente sollecitata oltre e non può mai raggiungere la meta ultima e un completo appagamento, l'arte, al contrario, giunge sempre alla meta, poiché strappa l'oggetto della sua contemplazione dalla corrente del corso del mondo e lo ha, isolato, davanti a sé, e questa cosa singola, che in quella corrente era una minima particella, diventa per lei una rappresentazione del tutto, un equivalente dell'infinita pluralità nello spazio e nel tempo." (p 211)

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, N.C. 2011)


sabato 27 aprile 2013

Portatori del mondo, unitevi!


"Colui, dunque, che si è immerso e perduto nella contemplazione della natura al punto tale da non continuare ad esistere che come puro soggetto conoscente, diventa proprio con ciò consapevole che, come tale, è la condizione e quindi il portatore del mondo e di ogni esistenza oggettiva, dato che ormai questa si presenta come dipendente dalla sua. In tal senso Byron dice:
                     Are not the mountains, waves and skies, a part
       Of me and my soul, as I of them? (1)
Ma colui che sente tutto ciò come potrebbe ritenere se stesso assolutamente transitorio, in contrasto con la natura immortale? Lo coglierà piuttosto la consapevolezza di quanto afferma l'Upanishad del Veda: 'Hae omnes creaturae in toto ego sum et praeter me aliud ens non est.' (2) " (p 207)

(1) "Non sono forse i monti, le onde e i cieli parte di me e della mia anima, come io di loro?"
(2) "Io sono tutte queste creature nella loro totalità ed oltre a me non vi è alcun altro ente."

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, N.C. 2011)



venerdì 26 aprile 2013

Lettica


Gelassenheit


"Se si abbandona il solito modo di considerare le cose, se nelle cose non si considera più il dove, il quando, il perché e il fine ma unicamente il CHE COSA, se non si lascia inoltre che il pensiero astratto, i concetti della ragione si impadroniscano della coscienza, ma, invece di tutto questo, si sacrifica tutta la potenza del proprio spirito all'intuizione, ci si immerge interamente in essa e si lascia riempire tutta la coscienza dalla tranquilla contemplazione dell'oggetto naturale presente in quel momento, sia esso un paesaggio, un albero, una roccia, un edificio o qualunque altra cosa, mentre ci si PERDE completamente in questo oggetto e si continua soltanto a sussistere come soggetto puro, come chiaro specchio dell'oggetto come se esistesse solo l'oggetto senza qualcuno che lo percepisca essendo diventati una sola cosa, mentre l'intera coscienza è completamente riempita da una singola immagine intuitiva non è più la singola cosa ad essere conosciuta e l'individuo perduto in tale intuizione è SOGGETTO PURO DELLA CONOSCENZA, senza volontà, senza dolore, senza tempo." (p 205)

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, N.C. 2011)

E' un fenomeno, lo sapevo.


"Poniamo di avere davanti a noi un animale in piena vitalità. Platone dirà: 'Questo animale non ha una vera esistenza, ma soltanto un divenire apparente, costante, un'esistenza relativa. Ad essere veramente è solo l'idea che si rispecchia un questo animale, l'animale in se stesso che non dipende da nulla ma che è in sé e per sé, non è divenuto, non termina, ma è sempre allo stesso modo. Ora, a condizione che noi riconosciamo in questo animale la sua idea, è del tutto indifferente che in questo momento abbiamo davanti a noi questo animale o il suo antenato vissuto mille anni fa; che, inoltre, egli sia qui o in una terra lontana; che si presenti un questa o quella maniera, posizione, azione; che, infine, sia questo o qualche altro individuo della sua specie: tutto ciò è futile e riguarda solo il fenomeno. Solo l'idea dell'animale ha un vero essere ed è oggetto di reale conoscenza.'
Fin qui Platone. Kant direbbe: 'Questo animale è un fenomeno nel tempo, nello spazio e nella causalità, che sono le condizioni necessarie alla possibilità dell'esperienza, condizioni a priori presenti nella nostra facoltà conoscitiva, non determinazioni dell'animale in sé. Di conseguenza, questo animale, come noi lo percepiamo in questo momento e in questo luogo come individuo divenuto e allo stesso modo necessariamente transitorio nella catena delle cause e degli effetti, non è una cosa in sé, ma è un fenomeno valido soltanto in rapporto alla nostra conoscenza. Per riconoscere l'animale stesso da ciò che può essere in sé sarebbe richiesto un altro modo di conoscenza rispetto a quella a noi soltanto possibile per mezzo dei sensi e dell'intelletto.' " (p 199)

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, N.C. 2011)

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giovedì 25 aprile 2013


Ogni nascere e perire


"Ciò che afferma Kant è essenzialmente quanto segue: Tempo, spazio e causalità non sono determinazioni delle cose in sé ma appartengono soltanto alle loro manifestazioni non essendo nient'altro che forme della nostra conoscenza; dal momento che ogni pluralità e ogni nascere e perire sono possibili solo attraverso il tempo lo spazio e la causalità, ne consegue che anche tempo spazio e causalità appartengono soltanto ai fenomeni e non alle cose in sé; poiché la nostra conoscenza è condizionata da tempo spazio e causalità, allora tutta l'esperienza è solo conoscenza dei fenomeni e non delle cose in sé; di conseguenza, anche le leggi basate su tempo spazio e causalità non possono essere fatte valere per le cose in sé, e questo vale anche per il nostro io, che noi conosciamo soltanto come fenomeno, non secondo quello che può essere in sé." (p 197)

Eccolo, il punto di partenza di Schopenhauer rispetto a Kant: noi non soltanto conosciamo noi stessi come fenomeni, come corpi che sono e vivono secondo tempo, spazio e causalità, ma, rapportandoci a questa conoscenza di noi stessi come cosa, come corpo, diventiamo consapevoli di essere una manifestazione della "cosa in sé" di noi stessi, e questa "cosa in sé" è al di fuori di tempo spazio e causalità. Per questa "cosa in sé" Schopenhauer pensa sia appropriato il nome di "volontà" (Wille).
Noi siamo l'unica cosa che possiamo conoscere sia dall'esterno che dall'interno, e ciò che arriviamo a capire in questo nostro duplice conoscerci possiamo estenderlo a tutto il mondo.

"Ognuno scopre se stesso come questa volontà in cui consiste l'intima essenza del mondo, così come si scopre anche come soggetto conoscente la cui rappresentazione è il mondo intero, il quale pertanto ha un'esistenza soltanto in relazione alla coscienza di lui, come proprio supporto necessario. Ognuno, dunque, in questo duplice riguardo, è lo stesso mondo intero, il microcosmo, del quale egli scopre interamente e compiutamente in se stesso i due aspetti; e ciò che egli conosce così come la sua propria essenza è la stessa cosa che esaurisce anche l'essenza del mondo intero, del macrocosmo: anche il mondo dunque è, come lui stesso, completamente volontà e completamente rappresentazione e nulla rimane oltre a ciò." (pp 188-189)

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, N.C. 2011)

mercoledì 24 aprile 2013


Il fuoco che brucia dietro di noi


"Platone dice: Le cose di questo mondo, percepite dai nostri sensi, non hanno una vera esistenza: esse diventano sempre, ma non sono mai; esse hanno soltanto un'esistenza relativa ed esistono complessivamente solo nel rapporto e per il rapporto che hanno l'una con l'altra... Esse, perciò, non sono neppure oggetti di una reale conoscenza, poiché questa si può avere soltanto di ciò che è in sé e per sé e sempre alla stessa maniera... Finché ci limitiamo alla loro percezione, noi siamo come uomini che siedono in una buia caverna così strettamente legati da non poter nemmeno girare la testa, e da non vedere sulla parete di fronte, alla luce di un fuoco che brucia dietro di noi, null'altro che le ombre delle cose reali e, su quella parete, le ombre gli uni degli altri, anzi ciascuno l'ombra di se stesso." (p 197)

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, N.C. 2011)

lunedì 22 aprile 2013


Sors de l'enfance, ami, réveille-toi!


"Il mondo come volontà e rappresentazione" è diviso in quattro libri. Sono arrivato alla fine del secondo.
Il terzo è preceduto da una citazione, come gli altri. La citazione è di Platone, riportata in greco e in traduzione. Dice:
                 
"Qual'è l'essere eterno che non nasce affatto, e qual'è quello 
che nasce e che muore, ma che non è mai veramente?"

Il secondo libro, quello che ho appena finito di leggere, era preceduto da una citazione in latino, di cui non è detto l'autore. La traduzione è:
"E' in noi che esso abita, non negli inferi
né nei corpi celesti: chi opera tutto questo
è lo spirito che vive in noi."

Il primo libro era preceduto da una citazione che mi sembrò un buon avvio di lettura, e che rileggo con una maggiore consapevolezza del suo significato nell'opera di Schopenhauer. E' un passo di Jean-Jaques Rousseau:

Sors de l'enfance, ami, réveille-toi!
Esci dall'infanzia, amico, svegliati!



sabato 20 aprile 2013




Il flusso infinito


"...l'eterno divenire, il flusso infinito, appartengono alla rivelazione dell'essenza della volontà. La stessa essenza si palesa anche negli sforzi e nei desideri dell'uomo, i quali ci fanno credere che la loro soddisfazione è il fine ultimo della volizione, ma non appena raggiunti non sembrano più gli stessi... La volontà, quando è illuminata dalla conoscenza, sa sempre ciò che vuole ora e qui, mai però ciò che essa vuole in generale: ogni singolo atto ha un fine, la volizione generica non ne ha nessuno..." (p 191)

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, N.C. 2011)

venerdì 19 aprile 2013


Perché mai voglia esistere


"... ogni singolo atto di volontà di un individuo conoscente ha necessariamente un motivo, senza il quale quell'atto non si verificherebbe mai, ma il motivo determina soltanto l'atto di volontà di un essere conoscente in questo tempo, in questo luogo, in queste circostanze, non determina affatto che quell'essere propriamente voglia, e voglia nel modo in cui vuole... ogni uomo ha costantemente fini e motivi secondo i quali orienta il suo operare e può rendere conto delle sue singole azioni, ma se gli si chiedesse perché mai egli voglia o perché mai voglia esistere, non avrebbe nessuna risposta da dare, piuttosto la domanda gli sembrerebbe assurda e proprio in ciò si esprimerebbe la consapevolezza che lui stesso non è nient'altro che volontà, la cui volizione si intende dunque da sé e soltanto nei suoi singoli atti necessita per ogni momento di una più particolare determinazione mediante motivi. L'assenza di ogni fine, di ogni limite, appartiene all'essenza della volontà in sé, che è una tensione infinita." (pp 189-190)

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, N.C. 2011)


La diga del castoro


"... poiché le specie devono conservarsi e non più nascere, noi vediamo di quando in quando una simile sollecitudine della natura estendersi al futuro e astrarsi in qualche modo dalla successione temporale, un adattarsi di ciò che è presente a ciò che ancora deve venire. Così l'uccello costruisce il nido per i piccoli che ancora non conosce; il castoro erige una costruzione il cui scopo gli è sconosciuto; la formica, il criceto, l'ape accumulano provviste per l'inverno che non conoscono; il ragno, il formicaleone costruiscono, quasi con astuzia premeditata, trappole per il futuro bottino a loro sconosciuto; gli insetti depongono le loro uova là dove la futura nidiata troverà alimento per l'avvenire..." (p 187)

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, N.C.2011)

Ognuno scopre se stesso


"Ognuno scopre se stesso come questa volontà in cui consiste l'intima essenza del mondo, così come si scopre anche come soggetto conoscente la cui rappresentazione è il mondo intero, il quale pertanto ha un'esistenza soltanto in relazione alla coscienza di lui, come proprio supporto necessario. Ognuno, dunque, in questo duplice riguardo, è lo stesso mondo intero, il microcosmo, del quale egli scopre interamente e compiutamente in se stesso i due aspetti; e ciò che egli conosce così come la sua propria essenza è la stessa cosa che esaurisce anche l'essenza del mondo intero, del macrocosmo: anche il mondo dunque è, come lui stesso, completamente volontà e completamente rappresentazione e nulla rimane oltre a ciò." (pp 188-189)

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, N.C. 2011)