venerdì 30 agosto 2013

Dèi di casa nostra


La "compassione naturale", da cui si originano il senso di giustizia e l'amore, secondo Schopenhauer  "non si basa su premesse, concetti, religioni, miti, educazione e istruzione, ma è originaria e immediata, sta nella natura stessa dell'uomo, si manifesta in tutti i paesi e in tutti i tempi, e non appartiene in nessun luogo agli 'dèi stranieri'. Per contro, a colui che sembra non averla diamo del mostro, come anche la parola 'umanità' è usata spesso come sinonimo di compassione."

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)

Roma, Santa Maria in Trastevere




Roma


Potevi incontrarla novanta milioni di anni fa



... se fossi uscito ogni tanto, invece di startene sempre chiuso in casa.

giovedì 29 agosto 2013

Tara


Giustizia e amore


A proposito della giustizia, Schopenhauer richiama la distinzione tra giustizia di diritto, che spinge a non fare il male, e la giustizia di virtù, che spinge a fare il bene.
Muovendomi da una condizione interna di egoismo sensibile alla giustizia di diritto, evito di far male ad altri, cioè evito di "... diventare io stesso causa di dolore altrui; nel grado più alto, invece, la compassione, agendo positivamente, mi spinge a recare aiuto attivo. La separazione tra doveri di diritto e doveri di virtù, o meglio tra giustizia e amore per il prossimo, è il confine naturale, evidente e netto, tra non ledere e soccorrere."
Ma, scrive Schopenhauer, questa distinzione dei diversi doveri non coglie qualcosa della realtà umana: ho di meglio, come parole che orientano la visione e il pensiero. "Al posto dei suddetti doveri metto due virtù: quella della giustizia e quella dell'amore per il prossimo, e le chiamo virtù cardinali, perché da esse derivano tutte le altre. Entrambe hanno radici nella compassione umana."

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)

mercoledì 28 agosto 2013


Potiomkin


Trafalgar Square


Le due rive dell'egoismo


La vera malvagità umana, per Schopenhauer, ha questo in comune con la vera compassione: non comporta nessun vantaggio a chi la compie. Ai due poli opposti dell'agire umano ci sono il massimo della cattiveria e il massimo della bontà, entrambi "gratuiti". Entrambi misteriosi, incomprensibili. Sì, certo, possiamo addurre qualche motivazione possibile, possiamo azzardare qualche ipotesi, ma, in fondo, il totale altruismo o la totale malvagità di cui alcuni gesti umani sono impregnati restano incomprensibili. Sono misure che vanno oltre le nostre vite quotidiane, ma anche nella normale vita quotidiana quei due poli stendono la loro luce o la loro ombra. Per esempio, alcuni comportamenti invidiosi non hanno nessun vantaggio per chi li mette in atto: sono compiuti semplicemente, puramente, per fare il male. All'altro versante, dedizioni silenziose e inapparenti verso altre persone o animali, atti di generosità nascosta compiuti semplicemente, puramente, per fare il bene.

martedì 27 agosto 2013

Vedrai, vedrai


"Esistono tre impulsi fondamentali delle azioni umane, e solo sollecitando questi impulsi si ha l'influsso di tutti gli altri motivi possibili."

I motivi che ci spingono ad agire, scrive Schpenhauer, sono praticamente infiniti, ma ognuno di questi motivi particolari è riconducibile a un impulso fondamentale, che fa parte dell'essere dell'uomo. Gli impulsi fondamentali sono tre.

"Essi sono:
a) l'egoismo, che vuole il bene proprio (ed è sconfinato);
b) la cattiveria, che vuole il male altrui (e arriva fino all'estrema crudeltà);
c) la compassione, che vuole il bene altrui (e arriva fino alla nobiltà d'animo e alla magnanimità).
Ogni azione umana risale a uno di questi impulsi, anche se due di essi possono agire insieme."


Non dice quali due sono possibili insieme, ma non è difficile: l'egoismo può unirsi alla cattiveria oppure alla compassione. Della cattiveria, l'egoismo è la necessaria premessa: quindi - non so se Schopenhauer sarebbe d'accordo - non c'è cattiveria senza egoismo.
La compassione può essere unita all'egoismo, in rapporto inverso: tanto più c'è egoismo, tanto meno la compassione.  Questo lo dice in diversi passi, ma questa è una compassione così così, mentre la vera compassione è incompatibile con l'egoismo, è priva di qualsiasi forma di vantaggio egoistico, né materiale né psichico, né in questa vita né in una creduta successiva - ed è proprio questa, e solo questa, l'azione genuinamente morale.

Chi suppone soltanto l'esistenza dell'egoismo come tendenza di base dell'essere umano, come quel Cassina ecclesiatico per il quale l'unica forma di amore sarebbe l'amore di sé, non fa certamente fatica a capire la cattiveria, mentre la compassione è soltanto egoismo deviato - deviazione energicamente attuata dalla società in genere, e in particolare dalla religione mediante l'obbedienza fideistica a una divinità che comanda di comportarsi bene verso il prossimo, con premio eterno futuro se lo fai, e se invece non obbedisci sono fatti amari, amarissimi - il peggio del peggio, vedrai: l'inferno, anche se qui te la cavi e te la spassi.

Schopenhauer pensava che la tendenza a volere il bene dell'altro e farlo, soprattutto quando è in difficoltà, è connaturata all'essere umano. Non è una manifestazione nascosta, o una trasformazione, dell'egoismo. Questa tendenza, questo impulso che fa parte della nostra "natura", è il fondamento della morale.

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)

P.S.  Dopo aver pubblicato, nel rileggere ho ricordato un momento dell'analisi di Schopenhauer che mi dice: no, non sono d'accordo sul fatto che non c'è cattiveria senza egoismo
Infatti, come la vera compassione è priva di vantaggi egoistici, anche la vera cattiveria non è vissuta ed agita per vantaggio personale: il bene ed il male assoluti, per Schopenhauer, l'essere umano li vive e li agisce gratuitamente.

lunedì 26 agosto 2013

Tu, cosa ne pensi?

Ubaldo Cassina, un ecclesiastico, insegnò filosofia morale a Parma; del 1788 è il suo "Saggio analitico sulla compassione".
Diceva che alla base di tutta l'affettività umana c'è l'amor proprio, l'egoismo, sempre, anche nella compassione - l'unica forma possibile di amore per l'essere umano sarebbe quello rivolto verso se stesso: verso gli altri, sono sempre deviazioni dell'amor di sé.
Schopenhauer ritiene che questa analisi sia erronea, pur non sottovalutando la pervasività dominante dell'egoismo umano.

"Cassina - scrive Schopenhauer - pensa che la compassione sorga da un momentaneo inganno della simpatia, in quanto noi stessi ci metteremmo al posto del sofferente e avremmo l'impressione di soffrire i suoi mali con la nostra persona. No, non è così: ogni istante vediamo chiaramente che chi soffre è lui, non noi, e proprio con la sua persona, non con la nostra. Sentiamo il suo dolore in quanto suo e non ci figuriamo che sia nostro: anzi, più sono felici le nostre condizioni, più la consapevolezza di esse è in contrasto con le condizioni dell'altro, e più siamo accessibili alla compassione."

Chissà se ha ragione Schopenhauer. Viene da dire, a esser cauti: speriamo di sì.
Forse bisogna comunque scommettere, sulla base di quello che sentiamo nel nostro intimo.
Forse è impossibile sapere con certezza matematica chi ha ragione, se uno come Cassina, per cui alla base di tutta l'affettività umana c'è il narcisimo, l'amor di sé  - quindi, tra l'altro, è necessaria la religione con i suoi comandamenti -  o uno come Schopenhauer, per cui il narcisimo-egoismo domina la vita umana ma con una eccezione, che lui considera reale, insita anch'essa nella natura umana, non un'invenzione, una favola, un'illusione, e su questa eccezione basa ogni forma di amore.

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)

Caro Luciano



mi hai scritto, in un commento: "Mio padre una volta mi disse: fai del bene e scordati, fai del male e pensaci."
Ti ho risposto che è un modo efficace di dire quello che Schopenhauer intende per azione morale genuina, dimenticare il bene che si fa all'altro, e penso che questo dimenticare, questo scordarsi, lo si debba estendere al momento stesso in cui si fa il bene, e forse anche a prima - cioè ne è la premessa.

Per Schopenhauer si compie un atto morale non per ricordare, raccontare, farsene una medaglia, aggiungere a un curriculum, collezionare punti, presentare prima o poi il conto, magari in una vita successiva alla morte, o perché c'è sempre un occhio che ci vede per cui è meglio fare del bene qui e là almeno fin dove ci sono le telecamere e se poi è un occhio onnipresente ragazzi è proprio dura...

Anzi, per un'azione morale genuina, devi quanto basta dimenticare te stesso, il tuo Io, trovare in te non solo il solito ME-IO-ME molto ben differenziato dal resto del mondo, ma anche l'altro, quello lì fuori, che in quel momento senti come se fosse te stesso, e provi per lui, o chiaramente lei, l'attenzione percettiva e affettiva che riservi di solito solo a te stesso.

Alto assai è il muro che si supera, in quei momenti, tra se stessi e il resto del mondo.
Un muro peggio di quello che fu a Berlino, o il muro tra Israeliani e Palestinesi - il vero muro del pianto? chissà, comunque alto assai, questo muro invisibile, a volte con tanto di fossato e coccodrilli!

Ci sono persone che sembra che vivano sempre nello stato di grazia che Schopenhauer ritiene necessario per l'atto veramente morale - sembra che, figurati, tra loro e il resto del mondo è banchetto continuo, festa giorno e notte tutti i giorni tutto l'anno, una comunità felice, senza scopi di lucro, una onlus sorridente full-time io-e-il-mondo-siamo-pappa-e-ciccia! - poi, vai a vedere bene, non credo che Schopenhauer esageri sulla rarità dei veri atti altruistici, del vero voler bene - volere il bene dell'altro, questo significa voler bene - il vero atto morale: il superamento dell'egoismo, che pure è necessario per vivere.

Fai del bene e dimenticalo, poi.  Non solo poi: anche mentre, anche prima di farlo.
E', anche, una condizione che precede e sta nel modo stesso in cui fai del bene.
Riesci a fare del bene senza scopi egoistici nascosti solo se sei in grado, in certi momenti, di dimenticare quanto basta te stesso - solo così riesci a trovare davvero l'altro, a sentirlo, a vederlo non attraverso le solite sbarre del castello fortificato dell'Io.

Le parole di tuo padre mi hanno aiutato a capire meglio questa cocciuta, puntigliosa analisi dell'atto genuinamente morale fatta da Schopenhauer. E mi hanno ricordato le parole di uno psicoanalista che diceva che per ascoltare veramente l'altro occorre mettersi in un assetto così definibile: senza memoria e senza desiderio. Senza memoria e senza desiderio? E che vuol dire? Come è possibile?
Secondo me tuo padre non si sarebbe meravigliato a sentir dire: senza memoria e senza desiderio. Avrebbe capito subito.


domenica 25 agosto 2013

Cuore re


"... come è mai possibile che il bene e il male di un altro muovano direttamente il mio volere, diventino dunque direttamente il motivo mio, e talvolta fino al punto da posporre il mio proprio bene o male?"

"Evidentemente, soltanto perché quell'altro diventa l'ultimo fine della mia volontà, esattamente come di solito lo sono io stesso: dunque perché direttamente voglio il bene suo e non voglio il male suo, così direttamente come di solito faccio soltanto con il mio. Ma ciò presuppone necessariamente che al suo male io soffra con lui, senta il male suo come di solito sento il mio... Ciò esige però che in qualche modo io mi identifichi con lui, vale a dire che tutta la differenza tra me e quell'altro, sul quale poggia proprio il mio egoismo, sia, almeno fino a un certo punto, annullata."

Ma io non sono l'altro, posso identificarmi con lui solo nell'immaginazione, "nella rappresentazione di lui nel mio cervello, e posso identificarmi fino al punto in cui la mia azione annunci la scomparsa di quella differenza." Allora, sto agendo per lui come solitamente agisco per me stesso, e la differenza tra me stesso e gli altri non è più quel "baratro" dal di qua del quale vedo gli altri come "fantasmi".

E', scrive Schopenhauer, ciò che avviene nella vera "compassione", cioè l'immediata e genuina partecipazione al bene e al male dell'altro, e azione in suo favore. Solo questa è la base per la "giustizia spontanea" e un vero amore per un altro da noi.

"Certo, questo avvenimento è stupefacente, anzi misterioso. Noi vediamo annullato in questo avvenimento il tramezzo che separa un essere umano dall'altro e vediamo che il non-io è in certo qual modo diventato l'io."

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)

Caro Adriano


volevo creare un poco di suspense, ma mi tocca continuare subito con l'andar di pensiero di Schopenhauer - però, prima, ti dico quello che ho pensato mentre leggevo: non ad una trappola, che forse c'è - penso che tu voglia dire una trappola logica, di pensiero - ma alla eliminazione del valore morale di ogni costrutto esterno, fosse anche quello della mia stessa coscienza, ogni valore-guida mentale: non agisco moralmente se lo faccio per un pensiero, un calcolo, uno scopo più o meno razionale che mi si affacci alla mente prima della mia azione, qualunque esso sia.
Insomma, se dopo aver letto queste riflessioni di Schopenhauer io mi metto ad agire secondo il modo che secondo lui è l'unico genuinamente morale, se me ne faccio una guida mentale, le mie azioni non saranno più genuinamente morali.

Ma lascio continuare Schopenhauer.

"Esiste un solo caso nel quale ciò non avviene, cioè quando l'ultimo movente di un'azione consiste nel bene o male di un altro che vi partecipa passivamente, quando dunque la parte attiva con il suo fare o non fare mira soltanto al bene e male di un altro e non ha assolutamente altro scopo se non che quest'altro resti illeso o ottenga aiuto, assistenza o sollievo."

Il fine della mia azione deve dunque essere esclusivamente il bene o il contrasto del male a favore di un altro, senza che vi sia per me uno qualsiasi dei ritorni che caratterizzano l'azione egoistica.
Il bene dell'altro "deve essere il mio motivo immediato, come in tutte le altre azioni lo è il mio".

Ma, continua Schopenhauer, "... come è mai possibile che il bene e il male di un altro muovano direttamente, cioè come di solito soltanto i miei propri, il mio volere, diventino dunque direttamente il motivo mio, e talvolta fino al punto da posporre più o meno il mio proprio bene o male, questa solitamente unica fonte dei miei motivi?"

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)

Pensi di aver agito moralmente?


Ogni nostra azione, ogni nostro comportamento, tende al benessere o al dolore, al bene o al male, al buono o al cattivo, che possono essere immediati o lontani. L'azione può essere anche un non fare, una omissione: in quella situazione decido, consapevolmente o meno, di fare o non fare una certa cosa, in vista di un bene o un male, lì subito, o dopo, magari molto dopo, magari un bene o un male solo probabili, non certi né ora né dopo - ma ogni mio fare o non fare hanno un fine, una volontà, e questo fine è un bene o un male visibili, o è in vista, in attesa, nella speranza, di un bene o un male.

Se agisco per me stesso, per un mio bene o male, buono o cattivo, scrive Schopenhauer, agisco egoisticamente

- anche se mi svuoto il portamonete e regalo i mei soldi al mendicante di turno
- anche se mi aspetto solo un ritorno indiretto e lontano, in questo mondo e in questa vita, o in un'altra vita in un altro mondo che credo ci sarà dopo la mia morte qui
- anche se lo faccio per una questione di onore, o per la mia reputazione presso gli altri in generale o qualcuno in particolare
- anche se lo faccio per dare valore e forza ad una massima, una regola, laica o religiosa che sia
- anche se lo faccio per obbedienza pura ad un comandamento assoluto, emanato da un potere superiore
- anche se lo faccio per stare in pace con l'immagine, la stima, che ho di me stesso, del mio valore, della mia dignità
- anche se lo faccio per un mio perfezionamento, per essere migliore di quello che sono.

"Insomma, si ponga come ultimo movente di un'azione quello che si vuole, si vedrà sempre che per qualche giro o rigiro la vera molla è infine il bene o male di chi compie quell'azione, che l'azione è egoistica e quindi senza valore morale. Esiste un solo caso in cui ciò non avviene."

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)
 

sabato 24 agosto 2013

Altro che discorsi stratosferici


"L'assenza di ogni motivazione egoistica è il criterio di un'azione di valore morale. Le azioni con valore morale, esistenti di fatto, vanno considerate come un fenomeno da interpretare, per cercare cosa possa indurre l'uomo ad azioni di questa natura: questo studio porterà alla luce l'autentico impulso morale."

Questa è la via per arrivare al fondamento della morale, secondo Schopenhauer. Una ricerca delle motivazioni reali che portano le persone ad agire moralmente. Motivazioni reali che possono essere diverse da quelle che la stessa persona che compie un'azione morale pensa siano state alla base del suo comportamento. Per esempio, un credente può pensare di compiere un'azione morale per le motivazioni di premio o castigo della sua religione, e invece è spinto da motivi realmente morali, senza interesse egoistico di nessun tipo.

Ricerca delle reali motivazioni morali, e, anche, della capacità della persona di accoglierle in sé e renderle comportamento. E' la proposta di uno studio psicologico, capace di arrivare alle motivazioni "profonde" dei comportamenti morali e alle peculiarità di assetto psichico della persona; solo se le motivazioni trovate avranno i requisiti della vera moralità spontanea e disinteressata quei comportamenti continueranno ad essere considerati morali.

Il problema del fondamento della morale va dunque affrontato e risolto, secondo Schopenhauer, con strumenti diversi da quelli della pura dissertazione filosofica, con una ricerca che ha un suo livello di ipoteticità interpretativa e difficoltà di metodo, ma che è comunque decisamente orientata in senso empirico e pratico.

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)

venerdì 23 agosto 2013

E la starna?


"Lo stimolo principale e fondamentale nell'uomo come negli animali è l'egoismo, cioè l'anelito all'esistenza e al benessere."

Sì, va bene, meglio non sognare a occhi aperti, caro Schopenhauer, però mi vengono subito in mente le madri. Tiri in ballo anche gli animali: di loro ho visto con i miei occhi gatte lottare contro cani agguerriti fino a scacciarli, per difendere i loro piccoli. Ho visto una starna attirare l'attenzione di un cacciatore e farsi sparare per allontanarlo dal nido. Potrei continuare. Episodi di amore materno umano così drammaticamente messo alla prova li so per racconto, ma non ne dubito. Dunque: volevo dire: va bene, sull'egoismo imperante, però... Quando sono diventato padre, ho avvertito in me stesso un cambiamento profondo. Ma ti lascio andare avanti: non mi sento di rifiutare quello che scrivi, semmai, forse intimorito, porre eccezioni - ma si sa, che confermano le regola.

"Tutte le azioni dell'uomo scaturiscono di norma dall'egoismo e con questo bisogna sempre tentare la spiegazione di una data azione; su di esso si basa il calcolo dei mezzi con i quali si cerca di dirigere l'uomo verso una data meta."

Già, per esempio la promessa del paradiso in cambio di una vita terrena morale - ma per te non è vera moralità nessun comportamento agito in vista di un premio o per evitare un castigo, religiosi o statali che siano: è appunto egoismo, che per te può essere stupido o saggio, ma non è morale.

"Per sua natura l'egoismo è sconfinato: l'uomo vuole assolutamente conservare la sua esistenza, la vuole assolutamente libera da dolori, tra i quali c'è anche ogni mancanza o privazione, vuole la somma più alta possibile di benessere e ogni godimento del quale è capace, anzi cerca sottilmente di sviluppare in sé anche nuove capacità di godimento. Vuole godere possibilmente tutto, avere tutto, ma siccome questo non è possibile, almeno dominare tutto. Non esiste un contrasto maggiore di quello tra la parte elevata ed esclusiva che ognuno riserva al proprio io, e l'indifferenza con la quale normalmente tutti gli altri considerano proprio quell'io, e viceversa."

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)
 



Boni se nasce, cattivi se diventa


Un detto romano che forse sarebbe piaciuto a Schopenhauer. Non si nasce con il peccato originale, non si nasce con l'istinto di morte, non si nasce cattivi, malati d'egoismo e peggio: si diventa, poi, cattivi. Tutti tutti diventano cattivi? Sempre? Non c'è nessuno che abbia la fortuna di trovarsi una madre sufficientemente madre, un padre sufficientemente padre, e così via per un po' fino a che poi, anche se si trova per la strada gli stronzi, sa d'istinto come evitarli senza farsi fregare, senza incattivirsi? Se boni se nasce, comunque, una qualche speranza in più, per chi lo pensa, c'è. Ci si può sempre salvare, qualcuno ce la fa, e poi, per chi si incattivisce un po' senza perdere le origini, resta il ricordo vivo dell'esser buono, che ha imparato a non esser fesso. Se uno viene da una sanità, può sempre guarire, eventualmente si ammalasse, tornare alla sanità.
Ma chi pensa che cattivi si nasce, ha una sola via: la repressione, la minaccia di castighi ora o nell'al di là, l'elettrochoc, la prigione di muri o di idee. Non ha una sanità a cui tornare, in caso di malattia, ha solo uno stato, costruito da preti psichiatri poliziotti, di minor malattia.
Il prete, lo psichiatra, il poliziotto, sono necessari sempre comunque dovunque ci sia l'uomo, sono l'antitodo inevitabile del veleno che prete, psichiatra e poliziotto teorizzano innato nell'homo sapiens?

giovedì 22 agosto 2013

Il gioiello a molla


Affermazioni come "L'egoismo è colossale, domina il mondo." sono impressionanti e lasciano capire che "... l'insaziabile avarizia, la vile avidità di denaro, la falsità profondamente celata, la perfida cattiveria degli uomini..." non sfuggono certamente a Schopenhauer, che però non si arrende alla morale esterna come unica possibilità di convivenza tra gli esseri umani: per lui, lo Stato con i suoi poteri repressivi e l'indottrinamento religioso precoce e pervasivamente insistito producono comportamenti che sono morali solo in apparenza, in quanto dettati dal timore della punizione o dal calcolo del premio, mentre egli cerca un fondamento della morale che sia espressione dell'essere dell'uomo, e sia espressione genuina, reale, di fatto, interna e non astratta, ipotetica, assoluta, esterna.

"Mi si contesterà  forse che la morale non ha a che fare col modo in cui gli uomini agiscono realmente, ma è la scienza che indica come essi devono agire. Questo è decisamente il principio che io rifiuto, poiché la forma imperativa vale solo nella morale religiosa, mentre al di fuori perde ogni importanza e significato. Io pongo all'etica il compito di interpretare, spiegare e riportare alla sua ultima ragione il modo di agire degli uomini che è moralmente diversissimo. Per scoprire il fondamento della morale non rimane dunque altra via che quella empirica, di indagare cioè se esistono azioni alle quale dobbiamo riconoscere un autentico valore morale, azioni di giustizia volontaria, di puro amore per gli altri, di reale nobiltà d'animo. Questi sono i fenomeni dati che dobbiamo far risalire ai loro veri motivi, mostrando lo stimolo sempre peculiare che spinge gli uomini ad azioni di questa specie, specificamente diversa da ogni altra. Questa molla, insieme alla facoltà di accoglierla, sarà l'ultima ragione della moralità, e la conoscenza di essa il fondamento della morale."

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)

Nessun dorma


Contro la necessità di una morale esterna all'uomo, che poggi su basi teologiche, Schopenhauer, pur consapevole della tremenda forza dell'egoismo, esprime la certezza della possibilità di un fondamento interiore, insito nell'essere umano.

Uno dei passaggi in cui esprime questa sua certezza è questo:

"Nel riflettere sulle nostre azioni, ci prende a volte una insoddisfazione di noi stessi di natura particolare, la quale ha questo di singolare: che non riguarda l'esito, ma l'azione stessa, e non poggia su ragioni egoistiche. Qui invece siamo scontenti di aver agito troppo egoisticamente, di aver pensato troppo al bene nostro, troppo poco a quello altrui, o di aver perseguito, senza nostro vantaggio, il male altrui per se stesso. Che si sia scontenti di noi stessi e ci si possa rattristare dei dolori che non abbiamo sofferti, ma causati, è un fatto nudo e crudo, e nessuno lo negherà"

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)


mercoledì 21 agosto 2013

Se ti permetti di vederli


"Soltanto dai fatti ognuno impara empiricamente a conoscere se stesso e gli altri."

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)
 

martedì 20 agosto 2013

Kant e gli animali: lo sdegno di Schopenhauer


Schopenhauer ritiene che quella di Kant sia stata un ricerca falsa sui fondamenti della morale, come è falsa la ricerca del prestigiatore che va a cercare il coniglio là dove sa bene di averlo messo: la morale a cui Kant finge di arrivare razionalmente, filosoficamente, è quella teologica cristiana da cui è nascostamente partito. Schopenhauer ne segue passo passo lo sviluppo, evidenziandone i punti che "offendono la logica", ma su un punto esprime senza smussature un vero e proprio sdegno. Riguarda gli animali.

"La vera morale è offesa dall'affermazione kantiana che gli esseri privi di ragione (cioè gli animali) siano cose e quindi debbano essere trattati soltanto come mezzi. Dice "L'uomo non può avere alcun dovere verso esseri che non siano l'uomo", e poi "Il trattamento crudele degli animali è contrario al dovere dell'uomo verso se stesso, perché smorza nell'uomo la compassione per le loro sofferenze, indebolendo così una naturale disposizione molto utile per la moralità nei rapporti con altri uomini." Dunque, bisogna avere pietà per gli animali soltanto per esercizio: essi sono, per così dire, il fantasma patologico per l'esercizio della pietà verso gli uomini. Qui si vede un'altra volta come questa morale kantiana, che come abbiamo dimostrato è soltanto una morale teologica travestita, dipenda a rigore da quella biblica. Siccome infatti (e ne parleremo anche più avanti) la morale cristiana non prende in considerazione gli animali, essi sono messi subito al bando filosoficamente da Kant, ridotti a cose, soltanto mezzi per qualsiasi fine, come, poniamo, vivisezioni, cacce a cavallo, corride, gare di corsa, fustigazioni fino a morte davanti al carro di pietre inamovibile, o altro. Puh, che morale da paria, da ciandàla, la quale misconosce l'essenza eterna che esiste in tutto ciò che ha vita e con insondabile significato risplende da tutti gli occhi che vedono la luce del sole!"

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)

lunedì 19 agosto 2013

Le due radici dei delitti più grandi





Kant aveva cercato nella ragione pura il fondamento della morale. La sua identificazione tra razionalità e moralità è respinta energicamente da Schopenhauer. "Razionale si è chiamato in tutti i tempi l'uomo che si fa guidare da pensieri e concetti, e perciò si mette sempre all'opera dopo aver riflettuto, con valutazione e logica. Questo modo di agire si chiama dappertutto un agire razionale. Esso però non comprende la rettitudine e l'amore per il prossimo: infatti si può operare ragionevolissimamente, con metodo e logica, pur seguendo gli scopi più egoistici, ingiusti, persino malvagi. Razionale e vizioso si possono unire benissimo, anzi soltanto con la loro fusione sono possibili i delitti grandi e di vasta portata."

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)

domenica 18 agosto 2013

Egoismi camuffati

 
"Tutto ciò che avviene in vista di una ricompensa o di un castigo è necessariamente un'azione egoistica e come tale priva di un valore puramente morale."

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)

Tutto, dopo

 
Nell'etica cristiana "... il dovere assoluto presuppone un premio, addirittura la vita eterna del premiando, e uno che conferisce il premio. Questa ricompensa viene postulata in un secondo tempo per la virtù, la quale dunque ha lavorato gratuitamente solo in apparenza."

(A. Schopenhauer, Il fondamento dell'etica)

sabato 17 agosto 2013

Se non per sempre, sempre


Comandamenti


"Una voce imperante, venga dal di fuori o dal di dentro, non la si può pensare altro che minacciosa o promettente; ma allora l'obbedienza sarà, secondo le circostanze, saggia o stupida, ma sempre interessata, e quindi senza valore morale."

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)


giovedì 15 agosto 2013

Atagartis - Ama te stesso come il tuo prossimo


Nel suo saggio "Il fondamento della morale", Schopenhauer a un certo punto prende in considerazione i doveri verso se stessi. Questi possono essere doveri di diritto o doveri d'amore, come tutti i doveri.

Ebbene, i doveri di diritto verso se stessi sono impossibili "... perché ciò che faccio è sempre ciò che voglio" - infine, è comunque sempre così, anche quando ho la sensazione che ciò che faccio verso me stesso è un obbligo esterno, poiché questo obbligo me lo assumo e diventa ciò che voglio -  ma io vorrei altro! - sì, va bene, ma alla fine non lo fai, quindi prevale un altro volere, quello di ciò che fai: "Da parte di me stesso mi accade sempre soltanto ciò che voglio io, e per conseguenza mai un torto." - come, mai un torto! altroché! - dài, non ti poggiare su una finzione: quello che ti sembra un torto verso te stesso, è ciò che vuoi, quindi non è un torto - va bene, diciamo che una parte di me lo considera il minore dei torti che potrei farmi, ma non venirmi a dire che non mi faccio torti, io, a me, che meriterei chissà cosa!

Per quanto riguarda i doveri d'amore verso noi stessi, scrive Schopenhauer, la strada è spianata: "L'impossibilità di trasgredire il dovere dell'amore di sé è già presupposta dal supremo comandamento della morale cristiana: Ama il tuo prossimo come te stesso, per cui l'amore che ognuno nutre per se stesso è accettato in anticipo come il massimo ed è condizione di ogni altro amore; ma non viene aggiunto: Ama te stesso come il tuo prossimo, poiché ognuno sentirebbe che vi è richiesto troppo poco."

(A. Schopenhauer, Il fondamento della morale)

domenica 11 agosto 2013

Divinità


La lettera di Schopenhauer

"Il mondo come volontà e rappresentazione" finisce con queste considerazioni:

"... allora, invece dell'istinto e dell'attività incessante, invece del passaggio continuo dal desiderio al timore e dalla gioia al dolore, invece della speranza mai realizzata e che mai viene meno, e nella quale consiste il sogno della vita dell'uomo volente..."

dunque, invece dell'inquietudine, del disagio, del malessere che secondo Schopenhauer è inevitabile se ci si lascia andare alla Volontà di vivere

"... si manifestano a noi quella pace profonda, quell'incrollabile fiducia e serenità" di quegli uomini che hanno superato il mondo, nei quali la Volontà "... pervenuta alla piena autoconoscenza, ha ritrovato se stessa in ogni cosa e ha poi liberamente rinnegato se stessa..." - tranne che per la sopravvivenza corporea (Schopenhauer ha chiarito più volte nel corso dei suoi ragionamenti perché è assolutamente contrario al suicidio, che è piena affermazione della Volontà di vivere anziché sua negazione: questa sua posizione permette di capire meglio perché dovremmo affrancarci dall'adesione impulsiva alla Volontà di vivere, che ci porterebbe a tanti "suicidi" in vita)

"In questo modo, dunque, con la contemplazione della vita e della condotta dei santi, noi dobbiamo scacciare la sinistra impressione di quel nulla che si libra come ultima meta dietro ogni virtù e santità, e che noi temiamo come i bambini temono il buio..."

Schopenhauer, prima di chiudere la sua opera, ripete, nel caso non avessimo capito, quello che aveva già detto o lasciato intendere. Immagino una sua, di lettera.

Caro lettore, 
per caso tu ancora speri che, essendo diventato consapevole di te stesso e del mondo, avendo conosciuto intuitivamente la Volontà che in te e nel mondo si manifesta e tutto usa per mantenersi e perpetuarsi, avendo scelto la via della liberazione dall'essere inconsapevole strumento della Volontà, avendola radicalmente respinta in te stesso per non essere travolto prima o poi dal dolore, tu forse ancora speri che così sarai premiato con una eterna beatitudine? Allora ti ripeto: dietro l'angolo di ogni via virtuosa c'è il nulla - come dietro l'angolo di ogni via. Ecco perché ho tanto insistito nel cercare di farti togliere la connotazione negativa a questa "cosa" che dovrebbe essere impensabile e che invece noi pensiamo e ci affanniamo inutilmente a immaginare, il nulla.

Scusa, caro Schopenhauer, aspetta, un'ultima domanda: e l'estasi dei santi occidentali, il nirvana di quelli orientali? Non è quello il premio della massima autoconsapevolezza e liberazione dai condizionamenti della Volontà di vivere? E la pace di cui ognuno di noi gode nei momenti di incanto estetico, quando diventiamo puri osservatori della realtà, quando siamo solo conoscenza e non Volontà?

"... noi dobbiamo scacciare la sinistra impressione di quel nulla, che si libra come ultima meta dietro ad ogni virtù e santità, e che noi temiamo come i bambini temono il buio, anziché eluderlo come fanno gli Indiani, con miti e parole prive di significato, quali l'assorbimento nel Brahma, o nel Nirvana dei Buddhisti."


Va bene, abbiamo capito. Figuriamoci, allora, anche se non lo dici qui, cosa pensi dei "santi" cristiani, di cui hai apprezzato l'dentità di vita e di intenti con i "santi" orientali. I "santi" cristiani coltivavano l'idea di aver trovato non solo in questa vita, ma anche nell'eternità successiva, l'opposto del nulla, l'assoluto essere! Ma qui, la continua analogia che hai così ben illustrato tra i due mondi culturali, viene meno: evidenti ragioni di opportunità, o inconscia reminiscenza dei roghi e degli strumenti di tortura dell'Inquisizione?

Ed ora, di seguito, l'ultima frase de "Il mondo come volontà e rappresentazione" nella traduzione di Gian Carlo Giani - la maiuscola alla Volontà è mia.

"Noi, invece, dichiariamo liberamente che ciò che rimane dopo l'annullamento totale della Volontà è, invero, per tutti coloro che sono ancora pieni della Volontà, il nulla; ma anche, inversamente, per coloro in cui la Volontà si è rovesciata e negata, questo nostro mondo così reale, con tutti i suoi soli e le sue Vie Lattee, è esso stesso il nulla."

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)

giovedì 8 agosto 2013

Come essa è il nostro mondo


"A dire il vero, davanti a noi non rimane che il nulla, ma ciò che si oppone alla dissoluzione nel nulla, la nostra natura, è propriamente soltanto quella volontà di vivere che siamo noi stessi, come essa è il nostro mondo."

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)

Caro Schopenhauer



Caro Schopenhauer,
negli anni in cui studiavo biologia ero arrivato alla certezza che tutte le forme viventi, noi inclusi, in forme diverse, a diversi livelli di complessità, siamo energia nella materia, o energia-materia, non so come è meglio dire - e che ogni forma si impegna incessantemente a mantenersi in vita e riprodursi in altri individui della stessa forma. E quando poi passai a studiare psicologia, l'insistenza freudiana sul potere dell'istinto sessuale come forza che tende al mantenimento della specie al di là di tante coperture e travestimenti mi trovò subito concorde, anche se capii presto che la nostra complessità è tale da diventare capace di condursi senza tradirsi, poiché la tendenza alla realizzazione della complessità è più forte della spinta di qualsiasi sua parte. Perciò capisco quello che hai lasciato scritto. Ma il fatto che al di fuori della forza universale di cui sono espressione colloco il nulla, cioè per me nulla esiste al di fuori del mondo e della sua energia interna, non lo sento come un limite. Tu mi dici: guarda che sei portato a pensare così, sei per così dire programmato a pensare così, e io ti offro la possibilità di renderti consapevole sia dei modi in cui tu conosci il mondo, sia dei loro limiti, e ti suggerisco, seppure vuoi fermarti a questi limiti, di togliere a ciò che sei portato a pensare come nulla il segno negativo. Va bene, grazie, davvero, per aver capito cose così significative, e di averle dette. Ma il nulla non è solo un oltre di pensiero, per me, è anche un oltre di interesse emotivo: sono troppo preso dall'impegno che mi comporta la violenza nelle sue maledettamente infinite forme nell'al di qua, a cominciare dal gattino che vedo morto per strada andando in macchina -  mi fermo qui perché non mi va di proseguire verso tutte le atrocità di cui vengo a conoscenza accendendo la radio o il televisore o che mi vengono raccontate o che mi è capitato di vedere. I dolori naturali della vita possono impegnarmi ma è cosa diversa, come è diversa la morte di una persona anziana rispetto alla morte di un giovane, per non parlare di quella di un bambino. Il silenzioso e impotente grido di dolore che mi investe da dentro, davanti all'urto lacerante della violenza, è un effetto del nulla? Bè, allora, mi dispiace ma il segno negativo non glielo posso proprio togliere, al nulla. In questo sarò un servo della volontà di vivere, ma pazienza, per altri aspetti pratici capisco bene quello che proponi e non mi sento affatto un servo cieco, e violento, della volontà di vivere. O forse tu mi stai dicendo che quel grido di dolore potrei estinguerlo da dentro di me con quella che chiami rassegnazione, cioè l'annullamento della volontà di vivere? Come dire che io non appena vedo il gattino morto mi metto a volere che quel gattino morto nell'attraversare la strada torni a vivere e finisca di arrivare dall'altra parte e continui a vivere la sua vita, e questa impossibile volontà di vita diventa subito grido, mi scontro con una impossibilità, e l'impatto è così doloroso? Invece, se accettassi la cosa, avendo estinto ogni volontà, non ne soffrirei?

martedì 6 agosto 2013

Forse la donna non lo pensa

"Che noi detestiamo tanto il nulla non è nient'altro che un'altra espressione del fatto che noi vogliamo intensamente la vita e che non siamo nulla al di fuori di questa Volontà, e nulla conosciamo al di fuori di questa."

Uomo, pensi forse di essere il soggetto totale del tuo volere? - sembra dire Schopenhauer - ebbene, stai in una condizione mentale di ingenua adesione all'apparenza, la stessa di quelli che pensavano o ancora pensano che il sole giri intorno alla terra, e che la terra sia il centro dell'universo - non ti accorgi di essere lo strumento di una forza universale che tende verso la propria espressione materiale in forme sempre più complesse e capaci di imporsi e mantenere la propria esistenza - non ti accorgi che molte delle tue manifestazioni sono finalizzate al mantenimento di questa forza nella materializzazione che tu sei e, prima che il tuo ciclo vitale finisca, al suo mantenimento in altre materializzazioni della tua specie - non ti accorgi di essere vissuto e usato nel momento stesso in cui tu pensi di vivere e usare - non ti accorgi che la tua stessa vita mentale è espressione di questa forza universale, e quando la complessità della tua mente arriva alla consapevolezza di sé, la tua consapevolezza è la sua autoconsapevolezza, della forza universale di cui tu sei espressione anche nell'immaginare e nel pensare, per cui nulla tu puoi conoscere al di fuori di essa, per cui tutto ciò che è al di fuori di questa forza universale e delle sue manifestazioni materiali ti appare inevitabilmente come ignoto impensabile - nulla.

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)

I mori


Il nostro modo di pensare, scrive Schopenhauer, ci porta a definire l'opposizione alla Volontà di vivere come negativa. Cercandone una definizione positiva, la "perfetta negazione della Volontà" è stata chiamata estasi, estraniazione, illuminazione, unione con dio, ma essa è "una condizione che non si può chiamare propriamente conoscenza, poiché non ha più la forma di soggetto e oggetto ed è accessibile soltanto all'esperienza diretta, che non può essere ulteriormente comunicabile."
Noi dobbiamo continuare a pensare a modo nostro, scrive, come abbiamo fatto fin qui ragionando del mondo e della Volontà, "dobbiamo accontentarci della conoscenza negativa, contenti di aver raggiunto l'ultimo paletto di confine con quella positiva".

Dunque, "negazione della Volontà di vivere" - con una precisazione obbligata, oggi: quella di cui parla Schopenhauer non è la negazione a cui si è normalmente portati a pensare quando si sente o si legge questo termine. Con negazione si intende di solito, oggi, quell'atto mentale che ci impedisce di accettare che le cose stanno come stanno, che sono quello che sono, lì davanti a noi o in noi stessi. Tipico è l'atto di negazione quando qualcuno riceve una notizia terribile: no, non è vero, non può essere così, non ci credo - non ci voglio credere. E' stato mentale normalmente passeggero: in realtà si sta già prendendo atto della cosa terribile, sta già arrivando l'ondata di dolore. Se invece la negazione continua e vince, apre la porta ad una follia più o meno evidente, a un qualche delirio più o meno selettivo. Negazione e annullamento sono alla base di tutta la psicopatologia umana.
Altre negazioni sono meno evidenti: per esempio, se le cose non vanno bene e lo si vede ma si fa finta che così non sia. La negazione non è solo un atto mentale personale, a volte è un atto epidemico, di gruppo o anche di massa. Non c'è pensiero, su ciò che non va, non c'è valutazione se sia possibile oppure no cambiare le cose, ed eventualmente cosa e come fare: è un far finta, un evitamento.

Non è di questa negazione che scrive Schopenhauer: l'atto che egli analizza è una opposizione, un rifiuto molto consapevole - l'opposto dell'evitamento, del far finta: anzi, colui che compie quest'atto sta molto attento a non perder di vista il senso reale delle cose.
Perciò, ho preferito usare termini come opposizione, contrasto, rifiuto, a quello di negazione, sempre usato nella traduzione di Giani: forse è l'esatta traduzione del termine usato da Schopenhauer, ma, anche fosse, si capisce bene quello che Schopenhauer sta scrivendo, e certamente non è la negazione che evita la presa visione della realtà.

La "negazione della Volontà" di cui scrive Schopenhauer è atto di conoscenza di segno positivo, e lui così lo intende anche se usa il termine "negazione" - se è questo il termine che usa. Il negativo a cui si riferisce è nell'esito, di questo atto, che per il nostro pensiero risulta essere il non-mondo, il nulla - quello che Buddha chiamava "annullamento della nascita".


lunedì 5 agosto 2013

Pessimismo o realismo?


Se il desiderio può essere deluso, e la delusione provocare rabbia, e la rabbia a lungo amareggiare, intristire, e l'amarezza e la tristezza a un certo punto trasformarsi in odio - se il desiderio di attenzioni amorevoli e sincere del bambino viene deluso e si trasforma in una incessante ricerca di una pace che non sarà mai quella che avrebbe dovuto essere al momento giusto -  se il desiderio non placato può diventare una fissazione divorante - se il desiderio può aprire la strada alla sofferenza e alla follia - se il desiderio è il cardine di ogni follia, allora, dicono i "santi", l'unica via è quella di estirpare il desiderare, contrastare radicalmente ogni desiderio, e soddisfare solo i bisogni basali come respirare, mangiare, avere un riparo dalle aggressioni ambientali. Cioè, dicono i "santi", non esiste la possibilità che un essere umano che abbia avuto un' infanzia sufficientemente felice e una serena fanciullezza e una bella adolescenza poi nel corso della sua vita sappia desiderare senza recar danno a nessuno e, quando le cose gli si mettono contro, sappia istintivamente cavarsela con un po' di dolore ma senza farsi travolgere e stravolgere. 

La Volontà di vivere, scrive Schopenhauer, porta necessariamente al dolore, quello degli altri quando la persona è impregnata d'egoismo fino alla malvagità, e quello proprio quando è partecipe sensibile di una stessa condizione esistenziale sia con gli altri esseri umani sia anche con "i fratelli animali". Se ci si lascia andare alla Volontà di vivere senza intervenire drasticamente con la consapevolezza, e quindi con la rinuncia ad ogni desiderio fino alla "santità", non resta che sperare in un poco di distacco quando ormai i giochi sono fatti, quando la vita è passata - e non è detto che a questo distacco di pace ci si arrivi.

L'intervento drastico della consapevolezza mediante la presa visione della condizione umana in generale e quindi della propria è, secondo Schopenhauer, sempre necessario - sempre, non solo quando le cose non funzionano, non solo quando la persona è in grave disagio esistenziale e non riesce più a vivere bene facendo affidamento sulle proprie risorse istintive, non solo quando l'equilibrio dell'assetto psichico è stato danneggiato in età sensibili, per cui, da adulti, può essere necessaria, per così dire, una terapia d'urto.

domenica 4 agosto 2013

Finché


"Finché noi siamo la Volontà di vivere, il nulla può essere da noi conosciuto e designato soltanto negativamente."

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)

 

sabato 3 agosto 2013

Non avendo un dove e un quando


"La negazione, l'annullamento, il cambiamento della Volontà, è anche annullamento e scomparsa del mondo, della sua immagine speculare. Se noi non scorgiamo più la Volontà in questa immagine, chiediamo invano dove essa si sia rivolta, e ci lamentiamo poi che si sia perduta nel nulla non avendo un dove e un quando."

Proprio perché scorgiamo la Volontà nella rappresentazione che ci facciamo del mondo, Schopenhauer ha indicato la via dei "santi" come soluzione alla sofferenza insita nel mondo.
Vedo la Volontà attuarsi nel mondo di cui sono parte, e metto in atto una negazione, o forse meglio una opposizione alla Volontà, sulla base di una ampia presa visione di come stanno le cose.
La consapevolezza che lasciarsi andare alla Volontà ci porterebbe ad una vita vissuta a rincorrere la pace nella soddisfazione dei desideri - cosa che Schopenhauer ritiene impossibile e feconda di delusioni dolorose -  questa consapevolezza, dunque, dovrebbe portarci a rifiutare, opporci, al nostro essere strumenti di realizzazione della Volontà: è cosa ben diversa dal non vedere più la Volontà nella immagine del mondo. Il nulla verso cui si sarebbe portati deriverebbe allora dalla mancanza di una alternativa al mondo che abbiamo rifiutato: la Volontà non è scomparsa, è confluita nella volontà personale che si oppone ad essa, e il dove e il quando è qui, in me, ora.

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)

Vuote composizioni di parole


"Non voglio affatto nascondere un'obiezione a cui dà luogo l'ultima parte del mio pensiero, che nella perfetta santità abbiamo davanti agli occhi la negazione e l'annullamento di ogni volere, e proprio con ciò la liberazione da un mondo la cui intera esistenza ci si è manifestata come sofferenza. L'obiezione è questa: che la liberazione ci appare ora come un passaggio al vuoto NULLA. Ma ogni nulla è tale solo se pensato in relazione a qualcos'altro, e presuppone questa relazione, e quindi quell'altro. Persino una contraddizione logica è solamente un nulla relativo: essa, infatti, è una composizione di parole, è un esempio dell'impensabile."

(A.Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)