giovedì 31 luglio 2014

Na nanna nana na nanà


... e io son io


 Trasimaco - Insomma che cosa sarò dopo la morte? - rispondi in modo chiaro e preciso!

Filalete - Tutto e nulla.

Trasimaco - Eccolo ancora! Per risolvere un problema enuncia una contraddizione. Il trucco ormai è scontato.

Filalete - Rispondere a questioni trascendenti con il linguaggio creato per la conoscenza immanente non può che condurre a contraddizioni. (…) La conoscenza trascendente è quella che, oltrepassando ogni possibilità dell'esperienza, aspira a determinare l'essenza delle cose quali esse sono in se stesse; conoscenza immanente, invece, è quella che si mantiene entro i limiti della possibilità dell'esperienza; ma, per questa ragione, non può parlare altro che di apparenze. - Tu, in quanto individuo, finisci con la tua morte. Ma l'individuo non è la tua vera e ultima essenza, bensì una mera manifestazione di essa: non è la cosa in sé, ma solo la sua apparenza, che si rappresenta nella forma del tempo e, conformemente a ciò, ha principio e fine. La tua essenza in sé, invece, non conosce né tempo, né principio, né fine, né la barriera di una data individualità: perciò non può venire esclusa da alcuna individualità, bensì esiste in tutti e in ognuno. Nel primo senso, dunque, a causa della morte diventi nulla; nel secondo, sei e rimani tutto. Per questo ho detto che, dopo la morte, sarai tutto e nulla. Difficilmente la tua domanda permette, cosi in breve, una risposta più giusta di questa; la quale certamente contiene una contraddizione, proprio perché la tua vita è nel tempo, ma la tua immortalità è nell'eternità.

Trasimaco - Ascolta: senza la persistenza della mia individualità, io non do un soldo per tutta la tua immortalità.

Filalete - Forse è possibile trattare ancora con te. Supponi che io ti garantissi la persistenza della tua individualità, ma ponessi come condizione che il risveglio dell'individualità dovesse essere preceduto da tre mesi di completo e incosciente sonno nella morte.

Trasimaco - Ci potrei stare.

Filalete - Ma, siccome in uno stato di completa incoscienza, non abbiamo alcuna misura per il tempo, per noi è assolutamente indifferente, mentre ci troviamo in quel sonno di morte, che nel mondo cosciente siano passati tre mesi, o diecimila anni. Infatti l'una cosa come l'altra dovremmo accettarla sulla fiducia, al risveglio. Perciò, può esserti indifferente se la tua individualità ti venga restituita dopo tre mesi o dopo diecimila anni.

Trasimaco - In fondo non si può negare.

Filalete - Ma se ora, passati diecimila anni, ci si dimenticasse di risvegliarti, io credo che quel lungo non essere, seguito a una così breve esistenza, dovrebbe esserti diventato così consueto che la disgrazia non sarebbe troppo grande. È certo, a ogni modo, che non potresti accorgertene affatto. Poi finiresti per consolarti completamente, se tu sapessi che il meccanismo segreto, il quale tiene in movimento la tua attuale apparenza, non avrebbe cessato in quei diecimila anni, neppure per un attimo, di muovere e di rappresentare altre apparenze dello stesso tipo.

Trasimaco - Come?! - E in questo modo tu pensi di frodarmi senza parere della mia individualità? A me non la si fa! Io ho posto come condizione la persistenza della mia individualità, e non valgono a consolarmene né molle segrete né apparenze. Essa mi sta a cuore, e non la voglio abbandonare.

Filalete - A quanto pare, ritieni la tua individualità così gradevole, eccellente, perfetta e incomparabile, da non potercene essere un'altra migliore; perciò tu non la vorresti scambiare con nessun'altra, neppure essa potrebbe essere migliore e più facile?

Trasimaco - Vedi, la mia individualità, sia quello che sia, sono io. Niente al mondo m'importa più di me: <perché Dio è Dio, e io son io>. lo, io, io voglio esistere! Questo m'importa, e non di un'esistenza della quale mi si vorrebbe convincere che sarebbe la mia.

Filalete - Ma guardati intorno! Ciò che grida <io, io, io voglio esistere>, non sei tu solo, ma tutto, assolutamente tutto ciò che abbia anche soltanto una traccia di coscienza. Conseguentemente, proprio questo desiderio in te è ciò che non è individuale, ma comune a tutti senza differenza: esso ha origine non dall'individualità, ma dall'esistenza in generale, è essenziale a ognuno che esista, anzi è ciò per cui ognuno esiste... Ma questa è mera parvenza, alla quale certamente si aggrappa l'insicurezza dell'individuo, e che, tuttavia, la riflessione può distruggere, liberandocene. Ciò che infatti esige così impetuosamente l'esistenza, è solo in modo mediato l'individuo; ma, immediatamente e in senso vero e proprio, è la volontà di vivere in generale, che è unica e identica in tutti… Alla volontà sono indifferenti le individualità: propriamente, essa non parla di esse; sebbene sembri parlarne all'individuo, che percepisce immediatamente la volontà soltanto dentro di sé. Da ciò discende che la volontà vigila questa sua propria esistenza con una cura che altrimenti non avrebbe luogo, e proprio così garantisce la conservazione della specie. Ne deriva che l'individualità non è perfezione, bensì limitazione: perciò liberarsene non è una perdita ma un guadagno. Lascia perciò andare una preoccupazione che, se tu conoscessi interamente e fino in fondo il tuo essere, cioè se tu lo conoscessi come volontà universale di vivere, quale tu sei, ti apparirebbe puerile ed estremamente ridicola.

Trasimaco - Puerile ed estremamente ridicolo sei tu e tutti i filosofi! E solo per passare il tempo e per divertirsi avviene che un uomo posato come son io si induca a passare un quarto d'ora con questa specie di folli. Ora ho da fare cose più importanti: addio!

(Schopenhauer, Parerga)


mercoledì 30 luglio 2014

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La morte di chi?



“Forse ognuno nel più profondo del suo io avvertirà di tanto in tanto la consapevolezza che per lui sarebbe adeguata e gli competerebbe un tipo di esistenza del tutto diverso da questa, così indicibilmente miserevole, temporale, individuale, oppressa da continue miserie; e, allora, penserà che la morte potrebbe ad essa ricondurlo.”

(Schopenhauer, Parerga)
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Una versione discorsiva di quel movimento psichico che, se intensamente repulsivo del qui ed ora e fortemente orientato al ritorno ad uno stato di quiete che precede la nascita, è stato definito dalla psicoanalisi "istinto di morte". 

la morte potrebbe ad essa ricondurlo

la morte di chi? se è la mia, dipende da quando il movimento "contro" si arresta, frenato dal piacere di vivere - spesso può essere salutare, per esempio, un movimento di allontanamento dalla realtà quanto basta per vederla meglio - oppure, sempre in senso salutare, posso aggredire un me stesso che ho imparato a riconoscere come stolto, ingenuo, falso, cieco, violento - per vedere meglio, per sentire meglio, per vivere meglio, mi serve proprio quel movimento inizialmente "contro".
I problemi psichici e comportamentali cominciano quando la morte - senza freno correttivo, cosa che in questo caso diventa più probabile - è quella della realtà esterna, delle cose e di come stanno le cose, e soprattutto degli altri - li faccio fuori per tornare alla pace di un prima che comparissero, e anche se non lo faccio fisicamente, trovo il modo di farlo in fantasia, per cui la conoscenza delle cose, di come stanno, la conoscenza degli altri, il rapporto con loro, va a perdersi, e diventano possibili comportamenti di indifferente violenza distruttiva che immediatamente corrispondono all'espressione verbale "istinto di morte".


lunedì 28 luglio 2014

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Il qui ed ora delle donne

"Le donne dimostrano più compassione e perciò più amore per gli esseri umani e più simpatia per i disgraziati in confronto con gli uomini; invece, quanto a giustizia, onestà e coscienziosità le donne sono inferiori agli uomini. A causa della loro minore razionalità, infatti, ciò che è presente, concreto, direttamente reale, esercita su esse un potere contro il quale i pensieri astratti, le massime stabili, le decisioni ferme, in generale ciò che riguarda il passato e l'avvenire, ciò che è assente e lontano, di rado riesce a farsi valere. Conseguentemente le donne possiedono, è vero, il presupposto principale della virtù, ma difettano delle condizioni secondarie, dello strumento spesso necessario per raggiungere la virtù."

(Schopenhauer, Parerga)
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i pensieri astratti 
le massime stabili 
le decisioni ferme 
ciò che è assente e lontano


domenica 27 luglio 2014

La via più breve per raggiungere la meta

"Non è affatto sbagliato chiedere consiglio anche alle donne in circostanze difficili, secondo l'uso degli antichi germani. Il loro modo di concepire le cose, infatti, è del tutto diverso da quello dell'uomo, in particolare per la tendenza femminile a prendere volentieri in considerazione la via più breve per raggiungere la meta, e in generale ciò che si trova più vicino; e che noi, appunto perché I'abbiamo sotto il naso, di solito non vediamo e trascuriamo; è perciò necessario che vi siamo ricondotti per acquistare di nuovo un'opinione immediata e semplice. A ciò si aggiunga che le donne sono decisamente più pratiche degli uomini, e quindi non vedono nelle cose più di quel che realmente vi sia; mentre l'uomo, se le sue passioni sono agitate, ingrandisce facilmente le cose reali oppure vi aggiunge tratti immaginari."

(Schopenhauer, Parerga)
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... un'opinione immediata e semplice

in un altro passo Schopenhauer si era schierato a favore della semplicità:

“Ma, in generale, una legge essenziale vale per ogni arte, per tutto ciò che è bello, per ogni rappresentazione spirituale – essa è la semplicità, che è solita inerire anche alla verità; o per lo meno è sempre pericoloso allontanarsene.”

così come in generale considera l'immediatezza una caratteristica essenziale della genuinità

... non vedono nelle cose più di quel che realmente vi sia

e anche questa è una condizione della conoscenza: focalizzare l'oggetto reale senza aggiungere o sovrapporre aspetti che non sono dell'oggetto 
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anche se queste affermazioni di Schopenhauer sulle donne non corrispondessero alla realtà (di chi? della norma delle donne del suo tempo e della sua cultura?), sono però significative del suo atteggiamento verso di loro: una strana misoginia, la sua


sabato 26 luglio 2014

La mosca sul naso

“Bisognerebbe scegliere la mosca a simbolo della sfacciataggine e dell'insolenza degli stupidi. Infatti, mentre tutti gli animali temono più di tutto l'uomo e lo sfuggono già da lontano, la mosca gli si posa sul naso."

(Schopenhauer, Parerga)

Eppur si ferma

“Riguardo all'apprezzamento della grandezza di un uomo, vale per la grandezza spirituale la legge opposta a quella della grandezza fisica; quest'ultima viene rimpicciolita dalla lontananza, l'altra invece ne viene ingrandita.”

(Schopenhauer, Parerga)

venerdì 25 luglio 2014

I porcospini di Schopenhauer

“Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d'inverno, si strinsero vicini vicini per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l'uno dall'altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell'altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.”

(Schopenhauer, Parerga)
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I due cinesi

“Due cinesi in Europa si trovavano per la prima volta in un teatro. Uno si preoccupò di studiare i congegni del macchinario e riuscì nel suo intento. L'altro cercò di penetrare il senso dell'opera, benché non conoscesse la lingua del paese. - L'astronomo somiglia al primo, il filosofo al secondo.”

(Schopenhauer, Parerga)

mercoledì 23 luglio 2014

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L'allora del qui ed ora

“Quello che si sa ha un doppio valore se al tempo stesso si confessa di non sapere quello che non si sa. In tal modo infatti ciò che si sa sarà esente dal sospetto al quale invece ci si espone se si pretende di sapere anche quello che non si sa.”

(Schopenhauer, Parerga)
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Ma, come insegnava Socrate, arrivare a sapere di non sapere è molto difficile. 
Se mi fermassi a ciò che veramente so, porrei i limiti della mia esperienza, cioè di ciò che ho percepito, vissuto, e ricordo - porrei i limiti della percezione e della memoria, e dovrei comunque essere prudente, soprattutto in circostanze velocemente complesse e a forte impatto emotivo, sulla attendibilità della mia percezione.
Limitandomi a percezione e memoria, io so con certezza piena che il sole si muove nel cielo, va da lì, all'alba, a lì, al tramonto. Poi ho imparato che è una illusione percettiva, che è invece la terra su cui sto che gira. Ma mi devo fidare degli scienziati. Qualche pericolo questa fiducia lo ha: quello che se comincio a fidarmi che non è come vedo e ricordo, poi se non sto attento finisco con l'allargare la fiducia anche a chi non se la merita, e mi riempo la testa di un sacco di sciocchezze. 
Se andassi a guardare tutto ciò che dico nella giornata con gli occhi della percezione e della memoria, dovrei spesso stare zitto, non dire molte delle cose che dico. E sì che per tendenza e per formazione di studi sono orientato scientificamente. 
Non c'è bisogno di scomodare la verginità della Madonna, asserita da tanti come avessero assistito ginecologicamente alla nascita di Gesù, per rendersi conto di nuotare mentalmente ogni giorno in acque infestate da meduse cognitive. 
Non c'è bisogno di scomodare Buddha quando dice: in ciò che vedi ci sia solo ciò che vedi, in ciò che ascolti ci sia solo ciò che ascolti, in ciò che percepisci ci sia solo ciò che percepisci, in ciò che sai ci sia solo ciò che sai, e quando sarai riuscito a fare questo, allora - ed è meglio fermarsi qui, e l'allora scoprirlo da sé. 

La veste della bellezza


“La mancanza di spirito assume tutte le forme per nascondersi; essa si riveste di frasi gonfie e ampollose, di un tono di superiorità e di distinzione e di centinaia di altre forme; soltanto l'ingenuità non l'attira: perché qui rimarrebbe subito spoglia e dovrebbe smerciare null'altro che stoltezza. Perfino una buona testa non può essere ingenua, perché apparirebbe arida e scarna. Perciò l'ingenuità rimane la veste che onora il genio, come la nudità la bellezza.”

(Schopenhauer, Parerga)

Quando ci gira male

"Talvolta siamo disposti alla rabbia, alla lite, alla collera, e cerchiamo proprio le occasioni adatte: se non ne troviamo all'esterno, rievochiamo nel pensiero malumori da lungo tempo dimenticati per arrabbiarci e infuriarci di nuovo."

(Schopenhauer, Parerga)

martedì 22 luglio 2014

Bella domanda

“Si provi a immaginare l'atto della generazione non accompagnato da bisogno né da voluttà, ma come una questione di pura riflessione razionale: potrebbe, allora, il genere umano sussistere? O forse, piuttosto, ciascuno non avrebbe tanta compassione della generazione futura da risparmiarle volentieri il peso dell'esistenza o per lo meno da non volersi assumere la responsabilità di imporglielo a sangue freddo?“

(Schopenhauer, Parerga)
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E' un senso di fastidio, quello che provo quando intervistano qualcuno e alla domanda che gli fanno risponde: "Guardi,...". 
Guardi che? 
Vedo te, e non sempre sei una faccia simpatica. Devo guardare e non ascoltare? Non ascoltare i giri di parole che stai per fare per non rispondere?
Senso di fastidio simile, meno automatico, provo quando dicono: "Bella domanda." - dipende da chi lo dice, dal modo, dalla situazione, non è come per il "Guardi,...", però mi allerto: sta per arrivare una brutta risposta? non sai che dire? ti senti sminuito a dire: non so che dire, non ho una risposta a questa domanda, non me la sono mai fatta così direttamente, mi fa paura pensare a questa cosa - oppure: non c'è risposta a questa domanda, qualsiasi cosa dicessi, qualsiasi cosa dicessimo, sarebbe una finzione, una falsità, un modo di evitare se stessi con una frase fatta, un sentimento coltivato artificialmente, un tappo fideistico, una barriera di contenimento - mi dia tempo, un'ora, un giorno, un mese, un anno, una vita, poi forse saprò dire qualcosa di vero, di vero per me, che corrisponde, seppur parola, a ciò che sento, e non escludo che tra cent'anni io non risponda: non lo so, oppure: lo so, ma non lo so dire. 

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lunedì 21 luglio 2014

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Vita timet verba

“Dire molte parole e comunicare pochi pensieri è dovunque segno infallibile di mediocrità; invece segno di testa eccellente è il saper rinchiudere molti pensieri in poche parole.”

(Schopenhauer, Parerga)
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Sì, certo. Però, condizione è che uno i pensieri, suoi, forti, genuini, emergenti dall’acque di vita vissuta e approdati a prender sole su spiaggia tra terra coltivata e mare libero, li abbia, in su occhi, in su respiro d’anima viva. Poi, che sappia ch’essi temono il chiuso delle parole come i vampiri temono la luce di quel sole, di quella spiaggia.



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domenica 20 luglio 2014

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Maturation

“Quando dobbiamo prendere una decisione relativa a una questione personale, non possiamo metterci a sedere in un momento qualsiasi scelto a piacere per ponderare le ragioni e poi decidere: poiché spesso proprio in quel momento non ci riesce di fissare il nostro pensiero su quella questione, bensì esso devia verso altri oggetti, e alle volte può esserne responsabile perfino la nostra ripugnanza per quella questione. In tal caso non dobbiamo forzare il nostro pensiero, ma aspettare che anche qui si presenti da sé lo stato d'animo adatto: esso verrà spesso in modo inatteso e ripetutamente; e ogni diverso stato d'animo in un momento diverso porrà la questione in una luce diversa. Questo lento processo è ciò che s'intende quando si parla di far maturare le decisioni. Questo compito, infatti, deve essere ripartito, certe cose che ci erano sfuggite ora ci vengono in mente, e anche la ripugnanza finirà con lo scomparire, perché le cose, viste con chiarezza, sembrano di solito più sopportabili.”

(Schopenhauer, Parerga)

venerdì 18 luglio 2014

L'irrimediabile dissonanza



“Contro una veduta del mondo in quanto opera riuscita di un essere onnisciente, infinitamente buono e per di più onnipotente, grida da un lato troppo forte la miseria di cui il mondo è pieno, e dall'altro l'evidente imperfezione della più perfetta delle sue apparenze, quella umana. Qui è un'irrimediabile dissonanza.“

(Schopenhauer, Parerga)

Genzano


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giovedì 17 luglio 2014

I ficcanaso


“Ciò che rende gli esseri umani tanto curiosi, come si rileva osservando il loro spiare e ficcare il naso negli affari altrui, è il polo della vita opposto alla sofferenza, vale a dire la noia, benché spesso vi collabori l'invidia.”

(Schopenhauer, Parerga)