giovedì 8 agosto 2013

Caro Schopenhauer



Caro Schopenhauer,
negli anni in cui studiavo biologia ero arrivato alla certezza che tutte le forme viventi, noi inclusi, in forme diverse, a diversi livelli di complessità, siamo energia nella materia, o energia-materia, non so come è meglio dire - e che ogni forma si impegna incessantemente a mantenersi in vita e riprodursi in altri individui della stessa forma. E quando poi passai a studiare psicologia, l'insistenza freudiana sul potere dell'istinto sessuale come forza che tende al mantenimento della specie al di là di tante coperture e travestimenti mi trovò subito concorde, anche se capii presto che la nostra complessità è tale da diventare capace di condursi senza tradirsi, poiché la tendenza alla realizzazione della complessità è più forte della spinta di qualsiasi sua parte. Perciò capisco quello che hai lasciato scritto. Ma il fatto che al di fuori della forza universale di cui sono espressione colloco il nulla, cioè per me nulla esiste al di fuori del mondo e della sua energia interna, non lo sento come un limite. Tu mi dici: guarda che sei portato a pensare così, sei per così dire programmato a pensare così, e io ti offro la possibilità di renderti consapevole sia dei modi in cui tu conosci il mondo, sia dei loro limiti, e ti suggerisco, seppure vuoi fermarti a questi limiti, di togliere a ciò che sei portato a pensare come nulla il segno negativo. Va bene, grazie, davvero, per aver capito cose così significative, e di averle dette. Ma il nulla non è solo un oltre di pensiero, per me, è anche un oltre di interesse emotivo: sono troppo preso dall'impegno che mi comporta la violenza nelle sue maledettamente infinite forme nell'al di qua, a cominciare dal gattino che vedo morto per strada andando in macchina -  mi fermo qui perché non mi va di proseguire verso tutte le atrocità di cui vengo a conoscenza accendendo la radio o il televisore o che mi vengono raccontate o che mi è capitato di vedere. I dolori naturali della vita possono impegnarmi ma è cosa diversa, come è diversa la morte di una persona anziana rispetto alla morte di un giovane, per non parlare di quella di un bambino. Il silenzioso e impotente grido di dolore che mi investe da dentro, davanti all'urto lacerante della violenza, è un effetto del nulla? Bè, allora, mi dispiace ma il segno negativo non glielo posso proprio togliere, al nulla. In questo sarò un servo della volontà di vivere, ma pazienza, per altri aspetti pratici capisco bene quello che proponi e non mi sento affatto un servo cieco, e violento, della volontà di vivere. O forse tu mi stai dicendo che quel grido di dolore potrei estinguerlo da dentro di me con quella che chiami rassegnazione, cioè l'annullamento della volontà di vivere? Come dire che io non appena vedo il gattino morto mi metto a volere che quel gattino morto nell'attraversare la strada torni a vivere e finisca di arrivare dall'altra parte e continui a vivere la sua vita, e questa impossibile volontà di vita diventa subito grido, mi scontro con una impossibilità, e l'impatto è così doloroso? Invece, se accettassi la cosa, avendo estinto ogni volontà, non ne soffrirei?

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