mercoledì 10 luglio 2013

L'architetto e gli indù


L'uomo nobile non si fa ingannare dalla distanza che può mettere tra sé e gli altri.
"Egli diviene consapevole che la differenza tra lui e gli altri, che per il malvagio è un abisso così grande, appartiene soltanto ad una apparenza transitoria e ingannevole: egli conosce, direttamente e senza argomentazioni, quella volontà di vivere che costituisce l'essenza di ognuno e che vive nel tutto; anzi, egli riconosce che tale essenza si estende persino agli animali e alla natura intera: di conseguenza egli non tormenterà neppure un animale."

A questa impegnativa affermazione Schopenhauer fa seguire una nota:
"Il diritto dell'uomo sulla vita e le forze degli animali si fonda sulla opinione che, poiché la sofferenza aumenta nella stessa misura in cui aumenta la chiarezza della coscienza, il dolore che patisce l'animale per la morte o per il lavoro non è così grande come quello che patirebbe l'uomo per la mancanza della carne o delle forze dell'animale. L'uomo, dunque, nell'affermazione della propria esistenza, può arrivare fino alla negazione dell'esistenza dell'animale, e la volontà di vivere ne avrebbe, nel complesso, meno sofferenza di quella che si avrebbe mantenendo questa esistenza. Ciò determina, al tempo stesso, il grado d'uso che può fare l'uomo della vita e delle forze dell'animale senza commettere ingiustizia: un uso che spesso viene trasceso. Quel diritto non può estendersi comunque, a mio parere, alle vivisezioni, soprattutto degli animali superiori. L'insetto, invece, con la sua morte non soffre tanto quanto l'uomo per la sua puntura: gli indù questo non lo condividono."

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)

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