domenica 14 luglio 2013

Schopenahuer, analisi del pianto

L'analisi che Schopenahuer fa del pianto umano è un'altra delle sorprese di questa lettura del suo "Il mondo come volontà e rappresentazione". Quello che scrive non è facilissimo a seguirsi.
I passaggi sono questi:

- il pianto, come il riso, è una delle espressioni che distinguono l'uomo dall'animale

- il pianto "non è espressione assoluta del dolore, dal momento che si piange per dolori minimi" (credo voglia dire che non è misura assoluta del dolore, cioè non vale la relazione tanto pianto - tanto dolore, o poco pianto - poco dolore)

- non si piange "... direttamente per il dolore sofferto, ma sempre soltanto per il suo ripetersi nella riflessione"

- accade questo: "Si passa dal dolore sentito, anche se esso è corporeo, alla rappresentazione dello stesso" - bene, allora io piango non per il dolore fisico o psichico immediato, ma per la rappresentazione che mi faccio del dolore che sto sentendo? per la rappresentazione che mi faccio di me che prova quel dolore? non proprio, scrive Schopenhauer: adesso ti dico cosa ti accade passo per passo

- una volta che ci si rappresenta se stessi con quel dolore "... si trova la propria condizione talmente compassionevole che se a sopportarla fosse un altro si sarebbe fermamente e sinceramente convinti che lo si aiuterebbe, pieni di compassione e di amore..." (quindi, nel vedere-rappresentare me stesso con quel dolore che sto sentendo, è come se avessi rapporto con un altro, e sono preso da compassione e pena per quest'altro)

- "... ma siamo noi stessi l'oggetto di quella sincera compassione: con l'animo più disposto ad aiutare, si è noi stessi i bisognosi di aiuto, e si sente che si sopporta più di quello che si potrebbe veder sopportare in un altro..." (questo si capisce subito: per esempio un genitore può accettare un qualche dolore in un figlio amato, ma fino a un certo punto, poiché se lo vedesse soffrire oltre preferirebbe averlo lui stesso quel dolore - qui Schopenhauer scrive che noi, che abbiamo sentito un dolore e ce lo siamo rappresentati e ci siamo visti alle prese con quel dolore, non solo proviamo compassione per quella persona che sono io che sta soffrendo, ma sentiamo che sta sopportando un dolore più forte di quello che mai vorremmo che un'altra persona amata sopportasse)

- "... e in questo stato d'animo singolarmente complesso, in cui la sofferenza immediatamente avvertita è rappresentata come sofferenza altrui, è condivisa come tale e poi, all'improvviso, è di nuovo percepita come direttamente nostra, la natura, mediante quella strana convulsione corporea, si procura sollievo."

- il pianto, dunque, "... è compassione di se stessi, o compassione respinta al suo punto di partenza."

- quindi "... il pianto è condizionato dalla capacità di amore compassionevole e dalla fantasia"

- infatti "... non piangono facilmente né gli uomini duri di cuore né quelli privi di fantasia..."

- per questo "... il pianto è anche considerato sempre un sintomo di un certo grado di bontà del carattere e disarma l'ira, poiché si sente che chi è ancora capace di piangere dev'essere anche necessariamente capace d'amore, cioè di compassione per gli altri, proprio perché questa entra in quello stato d'animo che porta al pianto."

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)

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