venerdì 29 novembre 2013

Il presente al quadrato sghembo

"Quando dico: è il  mio presente, io faccio una narrazione a me stesso e agli altri della mia azione nel momento stesso in cui la eseguo. Il presente è un racconto dell'azione che noi facciamo mentre stiamo agendo. Il presente è un atto che riunisce narrazione e azione, e la narrazione implica necessariamente la memoria. Sembra paradossale: come si fa a mettere la memoria nel presente e perché raccontare un'azione nel momento del suo compiersi?"
"Il presente è dunque un'azione complessa e difficile. Non è un fatto primitivo e naturale, bensì un'acquisizione relativamente tardiva."


(Minkowski, "Il tempo vissuto")


Qui Minkowski sta esponendo la teoria di Janet sulla formazione della nozione di presente.
Noto - non è il solo passaggio, e non so se lo stesso errore faccia Janet - una confusione tra la cosa e la consapevolezza della cosa, e ancor più tra la cosa e il nome della cosa. Quando Minkowski scrive che il presente è un'azione complessa, intende dire che la consapevolezza del presente è complessa, e questa consapevolezza può includere oppure no il dirsi: questo è il mio presente, può includere oppure no un'attività di attenzione memorizzante per un successivo racconto. Ci mancherebbe altro, che noi, per vivere il presente, stessimo sempre lì ad allestire un racconto a noi stessi e agli altri di quello che stiamo vivendo.
Capisco che Minkowski trovi paradossale l'impegno della memoria nella formazione della nozione di presente - è questo che dice, credo, quando dice "mettere la memoria nel presente"- ma forse non sapeva che percezione e memoria sono funzioni strettamente connesse. E quando si chiede: perché raccontare un'azione nel momento del suo compiersi? si pone, credo, una domanda sulla genesi di una patologia, non della normalità del vivere il presente.

Sono formule.
Tutte formule. 
Matematica.
E nemmeno buona matematica.
 

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