martedì 20 maggio 2014

Modi di vivere senza false speranze


"Per la cultura greca il dolore non è la conseguenza di una colpa, ma è il costitutivo dell'esistenza, di cui bisogna accogliere per intero la caducità, senza illudersi con speranze ultraterrene o con ipotesi di salvezza da colpe originarie. Accolta la caducità dell'esistenza, occorre poi imparare a vivere tutta l'espansione della vita e tutto il suo contrarsi, perché questa è la condizione del mortale che nessuna narrazione può modificare. La pratica filosofica è inscritta in tale visione del mondo, e perciò non conosce speranze salvifiche e concomitanti disperazioni, ma solo la temperata saggezza che il dolore lo si può reggere e, entro certi limiti, dominare."

(U. Galimberti, La casa di Psiche, Feltrinelli)

La proposta della cultura greca presuppone che noi esseri umani siamo attrezzati per sostenere il dolore che la vita può comportare. "Il dolore lo si può reggere e, entro certi limiti, dominare".
Non c'è quindi bisogno di ricorrere alla "cieche speranze",  non c'è bisogno di svilire o annullare la nostra intelligenza che sa ben distinguere tra realtà e illusione, tra verità e bugia.
Accolta l'impermanenza - tutto passa - possiamo "vivere tutta l'espansione della vita e tutto il suo contrarsi".

Per il buddhismo, diversamente, accolta l'impermanenza senza ricorrere a false speranze, dobbiamo imparare a metterci in una posizione di sicurezza, di distacco da ogni desiderio: se non facciamo questa operazione psichica non riusciremo a sopportare, quando ce ne sarà inevitabilmente bisogno, il dolore che deriva da desideri irrealizzabili come quello di non invecchiare, di non ammalare, di non morire, di non essere mai separati da chi amiamo.





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