mercoledì 3 settembre 2014

La vita teme il potere delle parole

"Il sapere, la conoscenza astratta, ha il suo maggior pregio nella comunicabilità e nella possibilità di venir conservato in forma fissa: con ciò solo diventa così inestimabilmente importante per la pratica. Taluno può avere nel puro intelletto una conoscenza immediata, intuitiva del nesso causale dei cambiamenti e dei moti dei corpi naturali, e trovare in quella una piena soddisfazione; ma essa diviene atta ad esser comunicata, solo dopo che egli l'ha fissata in concetti." 

(Schopenhauer, Il mondo)
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Per comunicare le sensazioni, percezioni, intuizioni che ci vengono nel rapporto fisico con la realtà, dobbiamo ricorrere alla comunicazione linguistica, che usa concetti, rappresentazioni astratte connesse tra di loro secondo regole grammaticali e sintattiche. Come sto facendo ora. Questo passaggio è possibile solo con un allontanamento dalla realtà immediatamente percepita e sentita. 
Anche un grido che emetto con intento comunicativo per far sapere che ho provato un dolore, un poco si allontana da quel dolore. Molto spesso la comunicazione non è però così immediata: diventa interpretazione delle mie sensazioni, percezioni e intuizioni. Se quel dolore non è una spina che mi si è infilata nel piede, per esempio, ma è qualcosa di meno definito, fioccano le interpretazioni di ciò che mi sta accadendo, passate come definizioni di ciò che invece dovrebbe restare indefinito, volendo restare sulla "cosa" o nei suoi immediati paraggi.
Caso tipico di allontanamento dalla realtà verso lidi sconosciuti è quello dei sentimenti.
La definizione dei sentimenti che si provano chiede confidenza percettiva con le proprie sensazioni, competenza emotiva fine, competenza linguistica, e comporta comunque, sempre, la possibilità di errori di interpretazione. La prudenza è d'obbligo: un amore può essere solo un nome d'amore, un odio può essere solo un nome d'odio, ma la scelta inappropriata di quel nome può avere effetti pratici decisivi di tutta una vita.

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