sabato 27 settembre 2014

Noi, qui, muoviamo

"Noi, qui, muoviamo da quel che conosciamo direttamente, nel modo più pieno, e che ci è più famigliare; moviamo da quel che ci sta più vicino, per comprendere ciò che ci è noto solo da lontano, unilateralmente e mediatamente: e dal fenomeno più vivace, più significante, più chiaro vogliamo apprendere a capire il meno compiuto e più debole.

Di tutte le cose, eccettuato il mio proprio corpo, è a me conosciuto un solo aspetto, quello della rappresentazione: la loro intima essenza mi rimane chiusa, ed è un profondo mistero, anche se io conosco tutte le cause, in seguito a cui si producono le loro modificazioni.


Solo dal confronto con ciò che accade in me, se, mentre un motivo mi scuote, il mio corpo compie un'azione, posso penetrare il modo con cui i corpi inanimati si modificano sotto azione di cause, e comprendere così che cosa sia l'intima essenza loro; poiché il conoscer la causa, per cui quell'essenza si manifesta, mi dà semplicemente la regola del suo entrar nel tempo e nello spazio, ma non più. E questo confronto posso fare, perché il mio corpo è l'unico oggetto del quale io non un solo aspetto - quello della rappresentazione - conosca: bensì anche l'altro aspetto, che chiamo Volontà."


(Schopenhauer, Il mondo)
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Oppure, nel caso si segua il suo dire e poi ci si impunti al termine Volontà, se ne può usare un altro, di proprio gradimento: si tratta di nominare l'innominabile, in fondo, per cui ciò che vale, avendo fatto il percorso di lettura, è capire, intuire, mettendo da parte l'eventuale fastidio del nome.
E' affascinante che Schopenhauer parta dal proprio corpo, la realtà più immediatamente conoscibile da ciascuno, per arrivare a conoscere quella realtà che fino ad allora era considerata più che innominabile: era considerata inconoscibile - la cosa in sé. Non è solo la soluzione filosofica di un antico problema del pensiero umano, è anche l'indicazione dell'unica via che abbiamo per sapere degli altri esseri umani: la partecipazione immediata, istintiva, senza mediazioni astratte, alla loro sorte, alla loro gioia o al loro dolore, possibile solo per estensione agli altri della conoscenza immediata del proprio corpo e dei propri vissuti più intimi - quella che Schopenhauer chiama compassione.


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