giovedì 9 ottobre 2014

Cosa prova questo?

"Lo sguardo dell'uomo in cui il genio vive e opera, fa distinguere costui facilmente, perché, vivace e fermo insieme, ha il carattere della contemplazione. Invece nell'occhio dell'altro - quando non sia, come è il più spesso, opaco o insignificante - si osserva facilmente il vero contrapposto della contemplazione: il cercare.

La conoscenza geniale, ossia conoscenza dell'idea, è quella che non segue il principio di ragione, l'altra invece che lo segue dà nella vita saggezza e raziocinio, e produce le scienze.


Eccellenti matematici hanno poca comprensione per le opere delle arti belle, come è espresso in modo particolarmente ingenuo dal noto aneddoto di quel matematico francese che dopo aver letta l'Ifigenia di Racine domandò alzando le spalle:
Qu'est-ce-que cela prouve? 

Un'acuta comprensione dei rapporti secondo la legge di causalità e motivazione costituisce l'intelligenza, mentre la conoscenza geniale non è rivolta alle relazioni, per cui ne viene che un uomo intelligente, in quanto e nel mentre è tale, non ha genio; e l'uomo di genio, in quanto e nel mentre è tale, non è intelligente.

È anche raro trovare grande genialità unita a predominante ragionevolezza, che anzi al contrario individui geniali sono spesso in preda ad effetti violenti e irragionevoli passioni. E di ciò non è punto causa debolezza di ragione, bensì, in parte, eccezionale energia che si manifesta con la vivacità di tutti gli atti volitivi, e in parte predominio della conoscenza intuitiva su quella astratta, predominio che dirige l'azione verso l'irazionalità: l'impressione del presente è su di loro potentissima, li trascina all'atto inconsapevole, all'affetto, alla passione. Che genialità e pazzia abbiano un lato in cui confinano, anzi si confondono, fu osservato sovente.


Platone, nel mito della caverna oscura, dice: Coloro che fuori della caverna hanno contemplata la vera luce solare e le cose davvero esistenti, non possono rientrando nella caverna più nulla vedere, perché i loro occhi hanno perduto l'abitudine dell'oscurità, né più sanno distinguere lì sotto le ombre; ed essi vengono perciò nei loro errori derisi dagli altri che non sono mai usciti da questa caverna e da queste ombre."


(Schopenhauer, Il mondo)


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