giovedì 23 ottobre 2014

Le origini della psicoanalisi

"La Volontà è stata considerata come un atto di pensiero e di giudizio: ciascun uomo diventerebbe quel ch'egli è solo per effetto della sua conoscenza. Nascerebbe al mondo privo di quasiasi predisposizione morale; quivi conoscerebbe le cose, e si risolverebbe allora a esser questo o quello, ad agire così o così; potrebbe, anche in seguito a nuova conoscenza, scegliere una nuova linea di condotta, ossia diventare affatto un altro. Inoltre, quando così fosse, nel momento in cui riconoscesse un oggetto per buono, come tale dovrebbe volerlo, invece che prima volerlo e solo per effetto di codesto suo volere chiamarlo buono.

Secondo me tutto ciò è un capovolgere lo stato vero delle cose. La Volontà originaria è l'elemento primo; la conoscenza non sopraggiunge che più tardi, come strumento della Volontà.


Ciascun uomo è quindi quel ch'egli è per la sua Volontà inconscia, e il suo carattere è originario, essendo il volere la base del suo essere. Dalla sopravveniente conoscenza apprende, nel corso dell'esperienza, ciò ch'egli è; ossia, apprende a conoscere il proprio carattere. Conosce se stesso dunque per effetto e in conformità della natura del suo volere: e non già vuole per effetto e in conformità del suo conoscere. 


Se fosse vero che il suo volere deriva dalla conoscenza basterebbe ch'egli riflettesse sul come più gli piacerebbe essere, e così sarebbe: tale è la libertà del volere, secondo la concezione suddetta. La quale dunque consiste propriamente nel ritenere che l'uomo si faccia da sé, nella luce della conoscenza. Io viceversa dico: l'uomo si fa da sé prima d'ogni conoscenza, e questa interviene per dar lume a quel ch'è già fatto. Quindi non può l'uomo decidere d'esser fatto in un modo piuttosto che altrimenti, né può diventare un altro: bensì egli è, e quel che sia conosce successivamente. Per i seguaci della vecchia concezione, egli vuole ciò che conosce; per me, conosce quel che vuole."

(Schopenhauer, Il mondo)
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In condizioni ambientali non strettamente e violentemente condizionanti, ciò che dice Schopenhauer è onesto, coraggioso, quasi certamente vero per la singola persona, per l'individuo.
Io sono ciò che ho fatto e faccio della mia vita: questa è stata ed è la mia vera volontà, anche se ho coltivato a livello di coscienza altra volontà ideale, un "vorrei essere ciò che non sono", o peggio un "sono ciò che non sono". In relazione con una realtà non annullante, io infine io sono ciò che ho voluto essere all'interno di limiti ed ostacoli che avrei potuto evitare o superare; in condizioni vivibili, io sono ciò che la mia volontà inconscia mi ha portato ad essere: con sguardo ampio sulla mia vita reale, dall'insieme delle scelte che ho materialmente compiuto posso sapere chi veramente sono.
Al più, su questa linea di pensiero indicata qui da Schopenhauer, posso arrivare a pensare di me stesso che sono il prodotto reale della mia volontà e che questa realtà comprende una falsa coscienza, una errata autostima, un ideale di me stesso che ho avuto bisogno di coltivare, un conflitto tra ciò che sono e ciò che idealmente vorrei essere - e con ciò potrei cominciare a non avere più bisogno di questo narcisistico io ideale. 

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