domenica 5 ottobre 2014

Platone, Kant, Schopenhauer


"Stia davanti a noi un animale, in piena attività di vita.

Platone dirà: «Questo animale non ha alcuna esistenza effettiva, bensì solo apparente: un perpetuo divenire, una esistenza relativa, la quale può esser chiamata tanto un non-essere, quanto un essere. Effettiva esistenza ha soltanto l'idea, che in quell'animale si riproduce. Fin quando dunque riconosciamo in questo animale la sua idea, è affatto indifferente e senza importanza se noi abbiamo davanti questo animale di adesso o un suo progenitore vissuto mille anni fa; e così se esso sia qui o in una terra lontana; e se si mostri in questa o quella maniera, posizione o azione; e se infine sia esso o qualunque altro individuo della sua specie: tutto ciò non ha peso, e riguarda il solo fenomeno, mentre l'idea dell'animale unicamente ha effettiva esistenza ed è oggetto di vero conoscimento». 

Kant dirà su per giù: «Questo animale è un fenomeno nel tempo, nello spazio e nella causalità, che sono tutte condizioni a priori dell'esperienza possibile giacenti nella nostra facoltà conoscitiva, non già determinazioni della cosa in sé. Perciò quest'animale, sì come noi lo vediamo in un tempo determinato, in un dato luogo, quale individuo formatosi nella connessione dell'esperienza e necessariamente perituro, non è punto cosa in sé, ma soltanto un fenomeno che non vige se non in modo relativo alla nostra conoscenza. Per conoscer ciò che l'animale può essere in se medesimo si richiederebbe un modo di conoscenza diverso da quell'unico a noi reso possibile dai sensi e dall'intelletto».

Se si avesse con fedeltà e serietà meditato l'intimo senso e contenuto delle dottrine di questi due grandi maestri non si sarebbe potuto mancar di scoprire da gran tempo quanto concordino i due grandi sapienti, e come il significato puro, l'indirizzo ultimo delle due dottrine sia proprio il medesimo."

(Schopenhauer, Il mondo)
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Notevole il fatto che partendo da queste dimensioni di pensiero astratto, rivolto al “trascendente”, Schopenhauer risolva con un ritorno all’origine materiale, concreta, corporea: non ho bisogno di girare la testa verso la luce inguardabile nella caverna di Platone, così come non ho bisogno di arrendermi davanti alla pretesa inconoscibilità delle cose in se stesse di Kant – nella relazione del me che sente e pensa con il mio stesso corpo trovo l’idea, la “cosa in sé”, di me stesso, e questa la posso estendere al mondo intero, che così diventa conoscibile sia per i suoi aspetti formulabili a parole che per la sua indicibile – o difficilmente dicibile – essenza.



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