martedì 18 novembre 2014

Torna l'indiana

"Il mito della migrazione delle anime insegna come tutti i dolori che nella vita s'infliggono ad altri esseri, in una vita successiva su questo stesso mondo devono essere scontati precisamente coi medesimi dolori; e ciò va tanto lontano, che chi uccide anche un semplice animale, rinascerà un giorno nel tempo infinito con la forma di codesto animale e subirà la stessa morte.

Insegna che cattiva condotta trae con sé una futura vita, in questo mondo, in forma d'esseri miseri e spregiati. Tutti gli affanni che il mito minaccia li documenta con intuizioni tratte dalla vita reale, mediante creature dolorose, le quali neppur sanno come abbiano meritata la loro pena; e non ha bisogno di prendere per appoggio nessun altro inferno.


Come ricompensa invece promette rinascita in forme migliori e più nobili. La più alta ricompensa, che attende gli animi più nobili e la più compiuta rassegnazione, il mito può esprimerla solo negativamente nel linguaggio terreno, mediante la promessa tanto spesso ripetuta di non più rinascere, oppure come l'esprimono i Buddhisti: «Tu raggiungerai il Nirvana, ossia uno stato in cui non sono quattro cose: nascita, invecchiamento, malattia e morte».


Pitagora e Platone hanno accolto con ammirazione questa rappresentazione mitica, e tratto dall'India, o dall'Egitto, e onorato, e applicato, e, non sappiamo fino a qual punto, essi stessi creduto. Noi invece spediamo oramai ai bramani, clergymen inglesi e fratelli moravi esercenti la tessitura, per ammonirli compassionevolmente d'una verità superiore e spiegar loro che son creati dal nulla, e che di ciò devono con gratitudine rallegrarsi. Ma ci succede come a chi tira una palla contro una roccia. In India le nostre religioni non potranno metter mai radice:  la sapienza originaria dell'uomo non sarà soppiantata dagli accidenti successi in Galilea. Viceversa torna l'indiana sapienza a fluire verso l'Europa, e produrrà una fondamentale mutazione nel nostro sapere e pensare. " 


(Schopenhauer, Il mondo)

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