sabato 1 novembre 2014

Tra dolore e noia vive paranoia, e muore gioia

"Gli sforzi incessanti per eliminare il dolore non servono che a mutarne l'aspetto: è dapprima mancanza, bisogno, ansia per la conservazione della vita; quando questa sia soddisfatta, il che è assai difficile, ecco che presto si ripresenta in mille altre forme, variando secondo età e circostanze, come istinto sessuale, appassionato amore, gelosia, invidia, odio, paura, ambizione, avarizia, infermità, ecc. ecc.  

E se finalmente non riesca a trovar via in nessun'altra forma, viene sotto la malinconica, grigia veste del tedio e della noia, contro cui si tentano svariati rimedi. Quando poi si pervenga infine a scacciare anche i mali della noia, sarà difficile che accada senza riaprire con ciò la via al dolore in una delle precedenti forme, e ricominciar così il ballo da principio: ogni vita umana viene tra dolore e noia di qua e di là rimbalzata.

Per disanimante che sia questa considerazione, voglio tuttavia richiamare l'attenzione sopra un suo aspetto dal quale si può attingere conforto, o anzi addirittura trarre forse una stoica indifferenza per il proprio male, poiché la nostra intolleranza al dolore deriva in gran parte dal fatto che noi lo riteniamo venuto per caso, provocato da una catena di cause la quale potrebbe agevolmente essere diversa.


Per il male necessario e universale, come è per esempio la necessità della vecchiaia e della morte e di molti quotidiani disagi, non usiamo rattristarci. È piuttosto il considerare la casualità delle circostanze le quali ci hanno prodotto dolore che dà a questo il pungolo. Se invece abbiamo riconosciuto che il dolore come tale è inerente all'essenza della vita o è inevitabile, e che unicamente la forma in cui si presenta dipende dal caso - che, insomma, il nostro dolore attuale riempie uno spazio nel quale, se quello non fosse, immediatamente un altro subentrerebbe, per ora impedito dal primo - che quindi, in sostanza, ben poco potere ha su di noi il destino -  allora una simile riflessione, divenuta persuasione vivente, potrebbe portare con sé un notevole grado di stoica imperturbabilità, e diminuire l'angosciosa inquietudine per il nostro bene. Ma in realtà una così efficace signoria della ragione sopra il dolore direttamente sentito la si trova di rado, o mai."


(Schopenhauer, Il mondo)
-------------------------------

Arus,
tibi scrissim im proposo atque ribado accessoriatamente: ecché, unqué, esser lo nati in quivi aut in ivi non facet differenzias? Lé lé lé! Arusdisti ca filialononi pasciuti de agnellazzi cornuti a capomonte oh! pò! autto filialunuzzi de spallati lupanari incatanantati massacrassati sputazzati a imo buco de terra invasa intasa y abrasa a fundo barile ca saria aprile si nun fusse invernile a crucis infibulate de mani assanguate cumprate cinghiate abboccolate vaticannate - arudisti, Arus, ca istè a istissa iccosa?

Nessun commento:

Posta un commento