venerdì 29 maggio 2015

Anna


"Dal cibo nascono le creature che si trovano sulla terra. Esse vivono di cibo e in esso ritornano al momento della morte. Le creature nascono dal cibo, crescono in grazie al cibo. Il cibo è mangiato e mangia: per questo è chiamato cibo (anna)"

"Io sono il cibo e mangio il mangiatore di cibo."

Annotazione personale. Non so cosa significhi "anna" nell'antica lingua lontana delle Upanishad, ma quando ho letto mi è venuto da sorridere. Mio figlio quando era piccolo e cominciava a pronunciare le sue prime parole ogni tanto se ne usciva con questa: “anna”. Io la pensavo con la maiuscola, “Anna”, cioè nome di donna, nonostante noi non conoscessimo nessuna Anna e non era suono, nome, che lui avesse sentito e ripeteva. Chissà cosa vuole, ci chiedevamo quando pronunciava quella parola senza che altri indizi ci permettessero di capire, e scherzando avevo risolto così: sarà il nome della donna della sua vita. 
Così, leggendo che “anna” nell’antica lontana lingua delle Upanishad significa cibo, ho ricordato e mi è venuto da sorridere. Ma sono propenso a pensare che sia solo una divertente coincidenza: piuttosto, oggi penso che lui avesse già respirato il dialetto romanesco, e “anna” poteva essere una forma abbreviata di “annamo”, cioè “andiamo” - il nobilissimo “andiamo”, l’invito, l’accettazione, la presa visione, del flusso continuo della vita, dello scorrere, del tutto passa - andare, andare, ancora andare: anna. Anche questa, comunque, ipotesi assai poetica.

Qui, invece, leggo che “anna” è parola, in quella antica lontana lingua, che comprende la simmetria per cui il cibo è mangiato e mangia. Questo è un dato di realtà osservabile, in alcuni casi: è per esempio la condizione del gatto tra topo e cane. Ma non è questo, il senso di quel “è mangiato e mangia”. Non riguarda solo alcuni casi, ma piuttosto esprime l’idea complessiva, l’intuizione portante che emerge in questa Upanishad, che la vita nutre se stessa, il Sé nutre il Sé, e il cibo è il "rimedio universale" che permette la vita. 
Idea che verrà ripresa da Schopenhauer: il leone non sa che quando affonda i suoi denti nella carne della gazzella li affonda nella sua stessa carne.

La simmetria di quel “è mangiato e mangia” è una delle caratteristiche essenziali dei processi inconsci, secondo Matte Blanco: mentre la logica dei processi mentali della veglia è asimmetrica, per cui il leone mangia la gazzella e l’azione è a senso unico, la logica dei processi inconsci, per esempio quelli del sogno ma non solo, tende alla simmetria quanto più ci si allontana dalla veglia e la sua capacità di distinguere le cose, i rapporti causa-effetto, le azioni transitive nella relazione soggetto-oggetto. Se io mangio una mela, l’azione è a senso unico, ma andando verso i processi inconsci si va verso la mela che mi mangia, oltre ad essere mangiata – la “bilogica” umana, secondo Matte Blanco. 

La mela che mi mangia può suonare assai strano, ma se si pensa ad altre azioni la cosa diventa meno bizzarra. Per esempio: io amo una persona, e nella veglia sono consapevole che sono io ad amare quella persona, il che non significa certamente che quella persona necessariamente ami me. Ma questa logica asimmetrica assai razionale, realistica, capace di distinguere le persone una dall’altra e il senso delle azioni, tende a sfumare nei sogni e non solo: a livelli meno coscienti di me si fa sentire la possibilità che il mio amare sia magicamente essere amato, e quella precisa persona tende a diventare un insieme di persone, per cui tanto più ci si “con-fonde”, tanto più l’insieme si allarga, fino a diventare tutte le persone – fino a diventare un insieme infinito, indistinto: appunto, come diceva Matte Blanco, l’inconscio come insiemi infiniti. Là il cibo è mangiato e mangia, come per le Upanishad, come per la “Volontà” di Schopenhauer.

(Taittiriya Upanishad, Upanishad vediche, Tea 1988, pp. 227-246)

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