lunedì 18 maggio 2015

Vuoi conoscere l'universo? Ecco cosa devi fare.

"Non c'è nessun oggetto che si desideri per amore di esso oggetto, bensì si desiderano tutti gli oggetti per amore del proprio sé. E' il sé dunque che bisogna sentire e guardare, è al sé che bisogna pensare e rivolgere la propria attenzione; quando si ascolta, si pensa, si conosce il sé tutto l'universo è conosciuto."

Qui il traduttore usa "sé" per una parola che nel testo originale è diversa da "Atman" - quando nel testo originale c'è questa parola, il traduttore la lascia: Atman, termine che qui ho inteso in vari modi tra cui Sé, con la maiuscola, per indicare un nucleo inconoscibile di ciascuno, un "puro essere" senza storia nel mondo, senza distinzioni quindi senza dualismi - quando questo Sé si apre al mondo e comincia la sua storia, di soggetto in relazione con altre realtà distinte, inizia la storia del sé di cui qui il sapiente parla, che può essere ascoltato, sentito, conosciuto - non è il Sé-Atman, che può essere solo vagamente fiutato, intuito come esistenza, così come è per Schopenhauer la "Volontà di vivere" individuale, parte della "Volontà" del mondo tutto.
Giochi di parole? In parte forse sì, ma è un rischio necessario nel fare queste letture, mi pare, pur ritenendo necessario mantenere un atteggiamento scettico verso l'assunzione di termini che rischiano di diventare realtà immaginarie - quelle realtà create dalla parola e dal pensiero linguistico e non realtà percepite a cui si dà un nome.

(Brhadaranyaka Upanishad, 4° cap. 5° par., Upanishad vediche, Tea 1988, p. 82)

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