lunedì 15 agosto 2016

La fede è violenza

"La violenza è volere che qualcosa divenga altro da quello che è", dice Severino, e capisco: non sempre volere che qualcosa divenga altro da quello che è = violenza, ma la violenza è caratterizzata dal volere che qualcosa divenga altro da quello che è.

Si può anche dire così, mi pare: nel momento in cui voglio che qualcosa, o qualcuno, divenga altro da quello che è, ecco, in questo momento posso essere violento, e fare violenza. Si spalanca una complessità: è anche il momento in cui posso agire verso il bene, e poi occorre mettersi in situazione e vedere se, nel caso di un altro vivente e non una cosa, l'altro è d'accordo, e così via. 


Ma, anche se non sempre volere che qualcosa o qualcuno divenga diverso è violenza, resta la validità della proposizione: la violenza è sempre volere che qualcosa o qualcuno sia diverso da quello che è.


E' per questo che il linguaggio, dice Severino, è sempre violento, perché vuole che il contenuto divenga un designato.  


E' per questo, dice Severino, che la fede è violenta. E finché è possibile muoversi negli spazi comuni, è possibile l'accordo, ma là dove si confrontano le specificità, accade che: o la specificità accetta di eliminarsi oppure si tiene ferma e allora è inevitabile la conflittualità che si sviluppa in tutti i modi del far diventare altro l'interlocutore, l'avversario, il nemico. Diventa guerra.

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