sabato 15 ottobre 2016

Maya



"Ti ho svegliato?"
"No."
"Ho portato giù Zorro e Maya, ma avevo poco tempo e Maya non ha fatto i suoi bisogni. Scusa, so che non vuoi essere coinvolto, ma se potessi..."
"Va bene. La riporto fuori io."
Mi vesto e vado. L'aria da ieri è tiepida di scirocco. Un gradevole bagno d'aria tiepida di primo mattino. Mi avvio con la cana al vicino parco Somaini, un vasto spazio abbandonato a se stesso chissà per quali annose questioni legali - un'oasi di campagna nella città che mi ricorda i campi, allora per me sconfinati, in cui giocavo quando ero piccolo.
Nel parco c'era fino a qualche giorno fa un rifugio per animali abbandonati in attesa di adozione, non riconosciuto ufficialmente ma ben tenuto da persone che amano gli animali, rifugio che è stato bruscamente chiuso con sfratto immediato di cani e gatti. Lì Maya, di circa quattro anni, era arrivata un mese prima, ho sentito dire per anni vissuta alla catena - corta, dicevano: vissuta per anni alla catena corta - ma ve lo ha detto lei? ho chiesto sorridendo, in parte perché a vederla non capivo come potrebbe, un cane vissuto alla catena, avere l'equilibrio che ho notato in lei, la sua sapiente intelligenza delle situazioni, la vitalità pronta a emergere pur da una tristezza pensosa dello sguardo, la buona disposizione verso gli altri cani e i gatti e gli umani - anche se, quanto a umani, la buona predisposizione mi sembra la abbia verso le donne, mentre verso gli uomini è più selettiva e può essere guardinga, pronta a schivare in caso di movimenti bruschi e inattesi.
Arrivata, infine, un mese prima dello sfratto al rifugio del parco abbandonato, curata, microchippata, sterilizzata, e come gli altri rifugiati, nel poco tempo concesso dai vigili, con rapido e allarmato giro di telefonate e messaggi, sistemata in un alloggio temporaneo - uno stallo, ho imparato a dire.
Certo, che non voglio essere coinvolto.

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