mercoledì 21 maggio 2014

Socrate torni tra noi


"L'idea giudaico-cristiana, che giustifica la sofferenza in questa vita terrena e transeunte, in vista di quella eterna senza dolore, mette in circolazione una concezione della vita come malattia, da cui un giorno sarà possibile liberarsi... Alla psicoanalisi dobbiamo essere grati per quanto ci ha fatto conoscere in ordine alle dinamiche pulsionali e ai processi di simbolizzazione, ma ciò non toglie che questo sapere, come è nelle intenzioni di ogni sapere, ha in vista un potere, il potere di curare il dolore dell'uomo. In questo modo la psicoanalisi è pienamente inscritta nella visione religiosa della tradizione giudaico-cristiana secondo la quale il dolore non è costitutivo dell'esistenza, ma qualcosa da essa separato, che va estirpato, guarito, seguendo procedure che, solo per il contenuto, differenziano la pratica psicoanalitica dalla pratica religiosa, perché, per la forma, entrambe sono inscritte in quella visione del mondo che concepisce il dolore non come un tratto inscindibile dell'esistenza, ma come una malattia da cui si può e si deve guarire. (...) Per entrambe, infatti, l'uomo deve essere salvato dal dolore, perché il dolore non è una condizione imprescindibile dell'esistenza come pensavano i Greci, ma ha una sua ben identificata causa-colpa da cui è possibile redimersi e, nel linguaggio secolarizzato, guarire. La potenza del sapere che guarisce è dunque la versione secolarizzata della potenza della fede che salva, per cui, in presenza del dolore, occorre affidarsi al sapere come un tempo ci si affidava alla fede. L'esito di questo affidamento è in entrambi i casi la rimozione del dolore come costitutivo dell'esistenza, per cui il dolore non ha più circolazione nella vita quotidiana degli uomini, ma viene relegato in quei luoghi dove la competenza del sapere esercita il suo potere."

(U. Galimberti, La casa di Psiche, Feltrinelli)

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Gli psicoanalisti non sono scemi, sanno distiguere tra dolore da curare e dolore esistenziale. Cioè sanno fare quella differenza che lo stesso Galimberti fa in un altro passaggio, quando scrive: "Dall'angoscia nevrotica si può guarire limitatamente ai sintomi con cui questa angoscia si manifesta, ma non in ordine allo sfondo a cui tali sintomi rinviano, che è poi lo sfondo dell'esistenza percepita come assoluta precarietà. Qui la pratica analitica è impotente, mentre la pratica filosofica ha ancora una parola da dire. E la dice inscrivendo la caducità dell'esistenza nell'universale caducità, che non è una malattia da cui si può guarire, perché è la condizione di ogni esistenza che vuol vederci chiaro e non illudersi con cieche speranze."
La teoria e la pratica psicoanalitica che perde il senso dei propri limiti, e pretende di spiegare e curare il dolore esistenziale, questa psicoanalisi onnipotente che medicalizza la vita, sì, è inscrivibile nella tradizione religiosa giudaico-cristiana.
Infatti, il primo sfondo a cui rinviano i sintomi non è, come scrive Galimberti, "lo sfondo dell'esistenza percepita come assoluta precarietà", bensì quello di ambienti familiari in cui non c'è stata sufficiente cura o peggio, con danni più o meno gravi che chiedono ascolto, partecipazione, cura, sollievo, e se possibile superamento, guarigione.
Per la psicoanalisi onnipotente, o la psichiatria onnipotente, o la medicina onnipotente, vale in pieno l'analisi di Galimberti. Queste forme di sapere-potere religioso, falsarie d'onnipotenza, certamente non hanno nulla a che vedere con Socrate.

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