mercoledì 7 maggio 2014

Tu non morirai mai


Galimberti dice che pensare un passato connotato più o meno negativamente, un presente di attività finalizzata a risolvere il negativo del passato, e un futuro di avvenuta risoluzione, è un modo di pensare indotto dal cristianesimo. Lo schema proposto dal cristianesimo è questo: peccato originale - redenzione - salvezza.
Ebbene, questo schema è interiorizzato, fatto proprio, da tutti quelli che nascono e vivono in questa cultura. Gli stessi atei della cultura occidentale, dice Galimberti, sono cristiani nel loro modo di pensare.
Marx, per esempio: ingiustizia sociale - rivoluzione - giustizia.
Freud: male (traumi) - analisi - guarigione.
La stessa scienza si muove secondo questo schema, così caratterizzato: ignoranza - ricerca - progresso.
Questo schema è una conseguenza dello sfondamento del limite della vita di ognuno operato dal cristianesimo, il quale, come aveva evidenziato Nietzsche, con una mossa che gli ha fatto vincere la partita culturale dell'occidente, ha detto a ciascuno di noi: Tu non morirai mai.
 La morte, per la cultura cristiana, è solo un passaggio in attesa della resurrezione - che è del corpo, sottolinea Galimberti - verso un futuro infinito. Con ciò noi occidentali abbiamo perduto la cognizione culturale greca della vita, ciclica come le stagioni della natura (in cui l'uomo greco si muoveva senza pensare di sottometterla al proprio dominio come ha invece fatto la cultura giudaico-cristiana) e limitata dalla morte.

Pensavo che ci può essere una predisposizione del pensiero umano a questa cognizione triadica del tempo, presente anche in altre culture - per esempio la trimurti induista, creazione, conservazione, distruzione. Una cognizione che deriva dall'esperienza di nascita, sviluppo e morte di tutti gli esseri viventi, animali e vegetali e, almeno in parte, delle cose tutte. L'esperienza e la cognizione che tutto passa, e va da un passato che non c'è più verso un futuro che ancora non c'è.
Forse ciò che il cristianesimo ha indotto è la connotazione negativa dell'origine, della nascita: il peccato originale, la colpa da cui tutti dobbiamo redimerci per il fatto stesso di essere nati.
Di questa predisposizione il cristianesimo si è fatto forte - la ha occupata. Così come, secondo Schopenhauer, ha occupato la predisposizione naturale degli esseri umani alla compassione.
Connotazione negativa dell'origine, e sfondamento del limite della morte individuale verso un futuro che, se ci siamo comportati da buoni credenti, sarà infinito paradiso - o, al contrario, infinito inferno, ma comunque infinito.

Sul peccato originale qualche tempo fa ero arrivato alla convinzione che è intimamente connesso con l'esperienza della necessità di uccidere e nutrirsi di altra vita per vivere.
Vita mangia vita, fossero anche solo gli embrioni nei semi di una mela o il nucleo germinale di un uovo. Vita mangia vita, è sempre così, tranne che per le piante verdi: non mangiano altra vita, usano acqua, sali minerali ed energia solare per creare e mantenere le proprie strutture viventi.
Ma gli animali, noi, inevitabilmente mangiamo altra vita. Soltanto nutrendoci esclusivamente di prodotti di altri esseri viventi come il latte o il miele non uccidiamo altra vita: soltanto in questo caso usiamo altra vita ma non la uccidiamo per nutrircene. Altrimenti, come generalmente è, uccidiamo per vivere: la percezione di questo è la base esperenziale del "peccato originale".
Cioè è possibile, e penso probabile, che ci sia una consapevolezza, da qualche parte di noi, di questa necessità inevitabile, di questa "legge". Sappiamo, in qualche modo, che anche il più puro dei vegani uccide senza pensarci, con il proprio sistema di difesa corporeo, altre forme di vita che lo avessero contaminato, invaso e messo in pericolo. Dal momento in cui nasciamo siamo impegnati, di fatto inevitabile, in una lotta per il mantenimento della nostra vita, dotati di un istinto di sopravvivenza, un istinto di difesa della propria incolumità e della propria vita.
Ciò che differenzia gli umani è l'uso esclusivamente difensivo di questo istinto o la sua trasformazione in distruttività, crudeltà e indifferenza - che non è origine, ma disastroso punto d'arrivo, inferno presente.


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