giovedì 12 giugno 2014

Il punto dove la scarpa fa male



“Come il ruscello non crea vortici finché non incontra ostacoli, così la natura umana, e anche quella animale, comporta che noi non ci accorgiamo e non ci rendiamo conto nettamente di tutto ciò che si conforma alla nostra volontà. Se lo notiamo, vuol dire che non è andato subito conformemente alla nostra volontà, ma ha trovato un qualche ostacolo.  Invece, tutto ciò che avversa, ostacola, contrasta la nostra volontà, dunque tutte le cose sgradevoli e dolorose, lo sentiamo direttamente, immediatamente e molto nettamente. Come noi non avvertiamo la buona salute di tutto il nostro corpo, bensì soltanto il punto dove la scarpa ci fa male; così non pensiamo ai nostri affari complessivi, che vanno perfettamente, bensì a qualche insignificante piccolezza che ci angustia.”

Per questo Schopenhauer considera il dolore di segno positivo – si fa sentire in sé – mentre il bene, ogni felicità e soddisfazione, è di segno negativo –  la soddisfazione di un desiderio, la fine di una pena comportano la scomparsa, l’assenza del desiderio o della pena.

“Disgrazie grandi e piccole sono l'elemento della nostra esistenza. Con ciò si accorda anche il fatto che, di regola, troviamo le gioie molto al di sotto e le sofferenze molto al di sopra delle nostre aspettative.  Chi vuole brevemente esaminare l'affermazione secondo cui nel mondo il godimento predominerebbe sul dolore, o per lo meno che essi si equilibrano l'un l'altro, paragoni la sensazione di un animale che ne divora un altro con la sensazione di quest'ultimo.”

(Schopenhauer, Parerga)
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Mi sembra una indicazione utile, quest’ultima, nonostante il  carattere traumatico dell’immagine usata da Schopenhauer – ma, sapendo il suo amore per i “fratelli animali”, penso che usi certe immagini per far arrivare ciò che vuole dire al lettore.
L’orrore, il terrore, l’urlo del cosmo dilaniato della preda, non ha, probabilmente, una reciprocità di tale infinita intensità nel piacere del predatore. Così come, dice Schopenhauer, il dolore si presenta  nelle nostre vite con intensità tale da non essere mai raggiunta, reciprocamente, dal piacere –  il piacere presto si trasforma nella noia.
A pareggiare le nostre angosce, in nostri tremori, a volte il panico o il terrore, dovremmo provare altrettanti stati di piacere intensissimo, di estasi totale e prolungata. Ebbene, Schopenhauer pensava che solo con una contrapposizione consapevole alla automaticità inconscia della“volontà di vivere” riusciremmo a trovare uno stato di più o meno continua assenza di dolore e una conseguente beatitudine, come ci insegnano gli uomini “santi” esistiti prima di noi. Altrimenti, nelle nostre vite vale la disparità tra ciò che prova l’animale che sbrana – piacere, realizzazione di un istinto – con ciò che prova l’animale sbranato – molto più di un dolore di pari peso del piacere dell’altro.

Il suggerimento conseguente potrebbe essere: accorgiti, se è così, della disparità del peso delle tue pene rispetto a quello dei tuoi piaceri. Accorgiti anche, se è così, che la tua tendenza è quella di scivolare sui tuoi piaceri e sul tuo benessere e sostare invece a tutto peso sui tuoi dolori e le tue preoccupazioni. Accorgiti cioè, se è così, che sei portato a dare molta più importanza all’assenza che alla presenza, a sentire intensamente e lungamente il dolore, lievemente e brevemente il piacere.

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