giovedì 5 giugno 2014

La vivacità di ciò che è superficiale



A proposito di Aristotele, Shopenhauer scrive: “… la sua tendenza empirica lo spinge sempre a diffondersi, e in tal guisa egli devia così facilmente e cosi spesso dal corso di pensieri assunto, da essere quasi incapace a seguire un filo logico per lungo tempo e sino alla fine: senonché proprio in questo consiste il pensare profondamente. Egli al contrario va ovunque in caccia di problemi, ma li tocca soltanto, per passare tosto a qualcos'altro, senza risolverli o anche solo discuterli a fondo. Il suo lettore pensa quindi spesso <ora ci siamo>, ma non è cosi: quando egli ha suscitato un problema e l'ha seguito per breve tratto, sembra spesso che la verità gli sia giunta proprio sulla lingua, ed ecco che improvvisamente si rivolge a qualcos'altro, lasciandoci nel dubbio. Egli non può afferrare saldamente nulla, e salta da ciò che sta meditando a qualcosa che proprio ora gli viene in mente, come un bambino lascia cadere un gioco per afferrarne un altro non appena lo scorga. Questo è il lato debole della sua personalità: si tratta della vivacità di ciò che è superficiale."

A questo modo di pensare e scrivere di Aristotele, Schopenhauer contrappone quello di Platone.
"L'antitesi radicale di Aristotele, tanto nel modo di pensare, quanto nell'esposizione, è Platone. Costui tiene saldo il suo pensiero fondamentale, con mano ferrea, ne segue il filo, per quanto sottile divenga, in tutte le ramificazioni, attraverso i labirinti dei più lunghi dialoghi, e lo ritrova di nuovo, dopo tutti gli episodi. Si vede da ciò che egli aveva riflettuto a fondo e ponderatamente sul proprio oggetto, prima di accingersi a scrivere, e aveva tracciato un ordine costruito per la sua esposizione. Ogni dialogo è dunque un'opera d'arte meditata, le cui parti hanno tutte una connessione ben calcolata, sovente a bella posta celata per un certo tempo, e i cui frequenti episodi riconducono automaticamente e spesso inaspettatamente al pensiero fondamentale, da essi ormai illuminato. Platone sapeva sempre, in tutto il significato dell'espressione, cosa voleva e a cosa tendeva…”

(Schopenhauer, Parerga)

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