venerdì 13 giugno 2014

L'indifferenza vitale



“La conoscenza, in se stessa, è sempre indolore. Il dolore colpisce soltanto la volontà, e insorge quando essa è inibita, ostacolata, arrestata: tuttavia, perché vi sia dolore, si richiede che l'inibizione sia accompagnata dalla conoscenza. Come, cioè, la luce illumina lo spazio solo quando vi sono oggetti che la riflettono; come la nota ha bisogno della risonanza, proprio nello stesso modo l'inibizione della volontà, per essere percepita come dolore, deve essere accompagnata dalla conoscenza, alla quale tuttavia, in se stessa, è estraneo qualsiasi dolore.”

(Schopenhauer, Parerga)
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Se ho capito bene, è una versione di "Occhio non vede, cuore non duole". La sola visione dell'occhio è indolore: deve intervenire il cuore, sede della "volontà", per una conoscenza affettiva - può essere anche una gioia, ma il proverbio sembra seguire l'orientamento più volte indicato da Schopenhauer, del privilegio che noi esseri umani diamo al dolore, o, se non dipendesse da un privilegio dato, dal maggior peso che ha di solito la sofferenza rispetto alla sua assenza nelle nostre vite.
La conoscenza indolore può essere cercata: per esempio quando dobbiamo affrontare una situazione drammatica in cui dobbiamo richiamare il nostro "sangue freddo". Una dissociazione voluta, utile sul momento, un distacco necessario alla conoscenza e all'azione. Esperienza comune, questa, anche a quelli che poi pensano di non avere esperienze di riferimento per capire quello che intende il buddhismo, o lo stesso Schopenhauer, quando suggeriscono di cercare e praticare un assetto interno di distacco rispetto alle gioie e ai dolori della vita. Soluzione drastica, a mio parere non necessaria se l'equilibrio interno con cui nasciamo non ha subito gravi alterazioni, soprattutto nell'infanzia e nell'adolescenza, per cui restiamo inconsciamente capaci di superare difficoltà e dolori anche molto gravi, senza sapere come, oltre la percezione di un tempo necessario affinché la soluzione possibile - se lo è - si realizzi. 
Abbiamo tutti, o molti di noi, la capacità di distacco emotivo, quando sentiamo che l'affettività ci travolgerebbe e cerchiamo allora rapidamente, istintivamente, una condizione interna che privilegi al massimo la conoscenza - che in sé, come scrive Schopenhauer, è indolore, ma possiamo estendere e dire che è anaffettiva. In una condizione interna di massima indifferenza affettiva possibile cerchiamo il massimo della differenza conoscitiva possibile, cioè il massimo della nostra capacità di vedere come stanno le cose, capire e agire di conseguenza.

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