mercoledì 17 settembre 2014

Quell'alcunché direttamente conosciuto

Se noi fossimo solo rappresentazione sensoriale del nostro corpo come è per il resto del mondo, scrive Schopenhauer, vedremmo la nostra condotta "regolarsi con la costanza d'una legge naturale sui motivi che le si offrono, proprio come le modificazioni degli altri oggetti sono regolate da cause, stimoli, motivi."  Non avremmo di noi stessi un'esperienza diversa da quella che abbiamo di ogni altro oggetto del mondo, e di noi e del nostro vivere avremmo solo una visione dal di fuori, in termini di forze, qualità, carattere, cause ed effetti.

"Ma le cose non stanno così: al soggetto conoscente, che appare come individuo, è data la parola dell'enigma. Al soggetto della conoscenza, il quale per la sua identità col proprio corpo ci si presenta come individuo, questo corpo è dato in due modi affatto diversi: è dato come rappresentazione nell'intuizione dell'intelletto, come oggetto fra oggetti, e sottomesso alle leggi di questi; ma è dato contemporaneamente anche in tutt'altro modo, ossia come quell'alcunché direttamente conosciuto da ciascuno, che la parola volontà esprime. Ogni vero atto della sua volontà è immediatamente e ineluttabilmente anche un moto del suo corpo: egli non può voler davvero l'atto, senz'accorgersi insieme ch'esso appare come movimento del corpo. L'atto volitivo e l'azione del corpo non sono due diversi stati conosciuti oggettivamente, che il vincolo della causalità collega; non stanno fra loro nella relazione di causa ed effetto: bensì sono un tutto unico, soltanto dati in due modi affatto diversi, nell'uno direttamente, e nell'altro mediante l'intuizione per l'intelletto. L'azione del corpo è l'atto del volere oggettivato, ossia penetrato nell'intuizione."


(Schopenhauer, Il mondo)


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