giovedì 10 luglio 2014

Il qui ed ora come fuga


“Se si considera attentamente quanto grande e palese sia per noi il problema dell'esistenza, di questa esistenza ambigua, tormentata, fuggevole e simile al sogno - così grande e così palese, che, appena ce ne accorgiamo, esso mette in ombra e fa sparire tutti gli altri problemi e scopi - e se poi si osserva come tutti gli uomini - tranne alcuni pochi e rari - sembrano non rendersi conto di questo problema, anzi non esserne affatto consapevoli, bensì preoccuparsi di tutto meno che di esso vivendo soltanto alla giornata e per il loro avvenire personale che forse non è più lungo d'un giorno - se si riflette bene a ciò, io dico, si può cominciare a credere che l'uomo si chiami essere pensante soltanto in un senso assai lato della parola, e si saprà che l'orizzonte intellettuale dell'uomo normale supera, è vero, quello dell'animale ma, che, tuttavia, la distanza fra l'essere umano e l'animale non è così enorme come si suol credere.”

(Schopenhauer, Parerga)
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Il qui ed ora è la realtà presente, da essa deve partire ogni visione che non sia illusione. Allargando lo sguardo, nello spazio e nel tempo, come noi umani siamo capaci di fare, può emergere la problematicità dell’esistenza,“questa esistenza ambigua, tormentata, fuggevole e simile al sogno”.   
Allora può accadere di essere portati a fuggire dalla consapevole visione del “problema dell’esistenza”, ci mettiamo i paraocchi e ci rifugiamo nella visione presente - un presente a cui tagliamo i significati, un presente intorno a cui facciamo buio, indifferenza.   
Ma siamo animali complessi e, se siamo stati sfortunati negli incontri dopo la nascita, siamo diventati complicati, aggrovigliati. Accade allora che il qui ed ora scotomico, il rifugio a testa bassa nel presente, la fuga a suon di negazioni e paramagiche sparizioni della realtà, ci rende né uomini né animali. Incapaci d’essere uomini e incapaci d’essere animali.  

Se il qui ed ora, l’aderenza al presente è invece scelta istintiva o meditata, successiva alla presa visione del “problema dell’esistenza”, senza far sparire niente o negare ciò che è, resta l’esistenza e si dissolve la problematicità. Tanto più la scelta è istintiva, senza ragionamenti, senza parole, tanto meno il nulla e i fantasmi che di esso si nutrono hanno buon gioco delle nostre vite. 

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