giovedì 3 luglio 2014

Serve volerlo?



“Il mondo della volontà è il mondo del desiderio, e quindi del dolore e dell'infelicità che han mille forme. Il mondo della rappresentazione, invece, è di per se stesso essenzialmente privo di dolore: inoltre esso rappresenta uno spettacolo degno di essere visto, assolutamente significativo, e per niente frivolo. Nel godimento di questo spettacolo consiste la gioia estetica. La completa soddisfazione, l'acquietarsi finale, il vero stato desiderabile ci si presentano sempre e soltanto nell'immagine, nell'opera d'arte, nella poesia, nella musica. Diventare soggetto puro della conoscenza significa liberarsi di se stessi. Il soggetto puro della conoscenza subentra in quanto si riesce a dimenticare se stessi per essere completamente assorbiti dagli oggetti contemplati; di modo che essi soli rimangono nella coscienza. Ma, siccome di solito gli esseri umani non sono capaci di far ciò, essi, di regola, non hanno il dono di una apprensione delle cose puramente oggettiva, che costituisce il talento dell'artista.”

(Schopenhauer, Parerga)
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Il mondo della rappresentazione è di per se stesso essenzialmente privo di dolore

In un altro passo Schopenhauer aveva scritto:

La conoscenza, in se stessa, è sempre indolore. Il dolore colpisce soltanto la volontà, e insorge quando essa è inibita, ostacolata, arrestata: tuttavia, perché vi sia dolore, si richiede che l'inibizione sia accompagnata dalla conoscenza.

Insomma, per vivere abbiamo bisogno della conoscenza affettiva delle cose: questo mi fa piacere, questo invece dispiacere, questo non lo so: lo vedo ma non sento niente. E' così che ci orientiamo tra bene-buono e male-cattivo, o non lo so. Se però l'affettività prende il sopravvento senza che glielo abbiamo permesso - senza comunque mantenere una visione anche se ci siamo lasciati andare chiudendo gli occhi - se l'emotività ci travolge e siamo ridotti a budini tremolanti o mostri con gli occhi iniettati di sangue, sarebbe il caso di riuscire ad arginare l'onda anomala. Sarebbe il caso di camminare verso il polo della conoscenza percettiva in sé senza gioia, senza dolore, senza rabbia, senza tremore - senza desiderio. Camminare, correre, volare, saltare, strisciare, nuotare, verso quella parte, quell'essere. Serve volerlo? Sì. 

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